Umanità Nova, n.24 del 21 giugno 2009, anno 89

Il bavaglio all’informazione o l’informazione con il bavaglio?


Non ci vuole molto. Basta sfogliare, in un qualsiasi giorno dell'anno, le prime pagine dei quotidiani, oppure ascoltare i titoli di apertura dei principali network radio-televisivi, per comprendere a chiare lettere quanto Karl Kraus ebbe a scrivere a proposito della "missione della stampa": diffondere lo spirito e al tempo stesso distruggere la recettività. Se poi dovessimo circoscrivere una simile osservazione alla realtà italiana nello stagno dove galleggiano le papere nostrane dell'informazione libera ed indipendente, il giudizio del boemo apparirebbe affatto impietoso, bensì del tutto appropriato. Eppure… eppure da alcune settimane forte ed assordante è lo starnazzare riguardo al bavaglio che il lodo Alfano sta ponendo al diritto di essere informati e al dovere di informare.
Chiariamolo subito: il disegno di legge in materia di sicurezza che verrà approvato in Senato attraverso il voto di fiducia al Governo in carica, segna un pesante giro di vite allo stato di diritto sancito dalla Costituzione nei confronti di tutti i cittadini, ed in particolar modo di chi cittadino non può neppure esserlo, in quanto discriminato, criminalizzato e sfruttato dal medesimo provvedimento; lo stesso – come, più volte, è stato ribadito dal nostro settimanale – introduce disposizioni legislative che riducono ampi spazi di libertà d'azione sul territorio locale, attuando una sua sistematica militarizzazione finora realizzata nelle cosiddette "situazioni d'emergenza" (la Campania e l'Abruzzo insegnano), e assuefacendo gli abitanti alla presenza sempre più massiccia delle divise militari, siano queste dell'Esercito, della Protezione Civile, della Croce Rossa e ora anche della Guardia Nazionale Italiana, dopo che le Camice Verdi avevano da tempo inaugurato la stagione delle ronde. Che, infine, il tutto sia accompagnato da un ddl sulle intercettazioni, evidenzia l'intenzionalità di soffocare sul nascere qualsiasi voce fuori dal coro, colpendo quella Magistratura e quella Stampa ree di un uso ampio ed esteso dei metodi d'indagine, ma che – a nostro avviso – ha ben poco a che vedere con una informazione libera e indipendente.
Certo: così come le inchieste giudiziarie, non potendo più avvalersi delle intercettazioni se non nei casi di comprovata colpevolezza, ossia solo «quando si riscontrino gravi indizi di colpevolezza e l'intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione dell'indagine», verranno di gran lunga ridimensionate, allo stesso modo il diritto di cronaca, non potendo più pubblicare le intercettazioni provenienti da atti di indagine preliminare fino a che esse non siano concluse «ovvero fino al termine dell'udienza preliminare», sarà monco di quegli aspetti che hanno caratterizzato il giornalismo d'assalto alla Marco Travaglio & Company. Ce ne dispiace per loro, e ne comprendiamo la loro preoccupazione dettata dal ritenere di non poter più svolgere la propria professione. Ciò è assolutamente vero. Pure, c'è un piccolo problema: la loro professione si è mai interessata della libertà d'informazione di tutti e non soltanto dei "professionisti dell'informazione"? Si sono mai preoccupati di estendere il loro dovere all'informazione (per cui l'informazione è fatta soltanto da chi è giornalista) anche a chi ha soltanto il diritto di essere informato? E in una "società dell'informazione" in cui ognuno è nella possibilità di rendere pubblica una notizia – testo o immagine che sia – grazie alla Rete, perché non si è mai promossa una campagna contro l'anacronistico Ordine dei Giornalisti, ma addirittura è in atto una proposta di riforma da parte dei "professionisti dell'informazione" a tutela della loro professionalità che vuole limitarne l'accesso?
Siamo anarchici e l'estensione della pratica della libertà in tutti i campi dell'agire sociale è il nostro obbiettivo immediato, quotidiano, imprescindibile. Questo settimanale, come tutti i mezzi di comunicazione da noi utilizzati, oltre che difendere strenuamente il diritto di sapere, rivendica il sapere come l'unico diritto che appartiene a tutti noi e pertanto non ha bisogno di "filtri", siano questi legislativi, giudiziari o corporativi.
Soprattutto ora, in una situazione di continua trasformazione tecnologica dove la produzione d'informazione non è più d'appannaggio dei professionisti dell'informazione e pertanto la selezione delle notizie trasmesse assumerà la funzione di cartina di tornasole per misurare la capacità di partecipare alle decisioni della collettività.
Ma selezionare non si declina con censurare, bensì migliorare la qualità dell'informazione, pulendola soprattutto dalla "chiacchiera" con la quale tutti i media mainstream l'adombrano con il fine di utilizzarla per scopi personali e del proprio clan di appartenenza (si veda a proposito in questi giorni come l'informazione italiana sta utilizzando le diverse teorie del "complotto", delle "scosse", e finanche del "bavaglio all'informazione"), dimenticandosi volutamente della realtà dei fatti. Fatti reali a cui Umanità Nova cercherà di dar concretezza, per contribuire nel suo piccolo ad un'opposizione sociale e radicale in grado di prendere forma contro questo stato di totale mancanza di recettività di cui i media sono i principali responsabili.

gianfranco marelli

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