Umanità Nova, n.24 del 21 giugno 2009, anno 89

Studiare, produrre, obbedire


Continuano in Europa le mobilitazioni degli studenti contro il processo di Bologna. In molte città tedesche si stanno preparando per una settimana di protesta, a partire dal 15 giugno, che culminerà il 19 giugno a Berlino in occasione del 10° "anniversario" del processo di Bologna (1).
L'Italia è stata tra i primi paesi ad applicare questo modello (a cominciare dalla legge Zecchino del 1999) e rappresenta un chiaro esempio di come questo sia deleterio per l'educazione superiore. Sono, infatti, trascorsi diversi anni dall'entrata in vigore della prima riforma e i tempi sono maturi per valutare quali siano stati gli effetti concreti sul sistema educativo.
Una delle questioni centrali è l'introduzione del sistema dei crediti formativi.
Il modello europeo
Il sistema dei crediti italiano si basa sul sistema ETCS (Sistema Europeo di Trasferimento e Accumulo di Crediti), il cui obiettivo dovrebbe essere incentivare la mobilità internazionale, favorendo il riconoscimento di un titolo anche in paesi diversi da quello in cui è stato conseguito.
Questo sistema, oltre a non aver raggiunto questo scopo, ha contribuito a consolidare un metodo educativo basato sulla frammentazione e la svalutazione del sapere. I crediti, infatti, non vengono utilizzati unicamente per il riconoscimento in caso di trasferimento ma sono diventati onnipresenti nella vita dello studente e stanno diventando sempre di più il metro con cui studenti, professori e organi amministrativi valutano i corsi e il rendimento degli studenti.
Cosa sono i crediti formativi
Il Credito Formativo Universitario (CFU) è un tentativo di quantificare le ore di impegno necessarie per il superamento di un determinato esame, prendendo in considerazione sia lezioni e laboratori che ore di studio individuale.
Con il decreto n.270/04 un credito è stato fissato pari a 25 ore di studio (sono concesse variazioni per diverse classi di laurea, stabilite da decreti ministeriali, entro un limite del 20%). E' lapalissiano che si tratti di una forzatura, in quando ciascuno ha i propri ritmi di studio, ed è impossibile standardizzare le necessità individuali riducendole ad un numero valido per tutti in qualunque situazione. Inoltre capita molto spesso che a parità di numero di crediti assegnati, il carico di studio realmente necessario risulti ben diverso.
Studiare a tempo pieno
In un anno l'impegno richiesto agli studenti è di 60 CFU (pari a 1500 ore totali). Lo stesso decreto riconosce che tale impegno può essere sostenuto solo da uno studente a tempo pieno. Possono quindi laurearsi nei tempi prestabiliti solo coloro che si dedicano esclusivamente all'università e che non necessitano di lavorare per pagarsi gli studi. Né consegne che i molti studenti-lavoratori siano destinati quasi automaticamente a diventare fuori corso. Lo stesso vale per chi si trovi ad affrontare qualunque tipo di problema che comporti un impegno gravoso o che non abbia ricevuto una formazione adeguata negli anni precedenti. Ma uno studio a tempo pieno ostacola anche qualsiasi attività extra-universitaria che non possa essere "convertita" in CFU. Gli studenti finiscono per limitare i propri interessi, divenendo magari super specializzati ed esperti nel proprio settore, ma privi della conoscenza necessaria per contestualizzarle.
La corsa ai crediti
Coloro che riescono a tenere i ritmi imposti e si laureano presto, col miglior voto possibile, vengono avvantaggiati, non solo dal punto di vista del prestigio ma anche da un punto di vista sostanziale. Infatti, l'erogazione delle borse di studio è vincolata non solo al reddito e ai voti, ma anche al numero di CFU conseguiti. Si finisce così spesso, per necessità o per abitudine, per acquisire un metodo di studio superficiale, volto a ricordare lo stretto indispensabile a passare gli esami, in modo da risultare più "produttivi". In questo modo però lo studio diviene puramente automatico e acritico, mancando il tempo a disposizione per approfondire le materie e ragionarci su. Gli stessi professori, che si ritrovano una materia frammentata in molti mini-corsi da pochi crediti, incontrano difficoltà maggiori ad articolare il corso in maniera tale da trasmettere qualcosa di più di un mero nozionismo ed instaurare un rapporto migliore con gli studenti.
Il conseguimento della laurea finisce con il diventare una sorta di corsa per accumulare crediti, più che per perseguire la conoscenza.
Pagare per lavorare
Va ricordato inoltre che non tutti i 180 crediti necessari si possono conseguire seguendo corsi e superando esami, ma vi è una categoria di crediti (i cosiddetti crediti F), che corrispondono ad un periodo di stage svolto presso l'università o un qualsiasi altro ente esterno riconosciuto. Il che si traduce molto spesso nello svolgimento gratuito di lavori ben poco formativi, oppure non inerenti alle aspettative e ai percorsi di studio individuali. Il tutto viene fatto ricadere all'interno del percorso formativo per il quale gli studenti pagano le tasse, spesso particolarmente salate (basti pensare a gran parte dei master). Siamo quindi arrivati al paradosso che non solo non si viene retribuiti per il lavoro svolto, ma bisogna perfino pagare per poter lavorare.
I trasferimenti restano problematici
Questo sistema non è servito a migliorare la mobilità internazionale. Chi ha avuto esperienze di studio all'estero sa bene che non è sempre facile ottenere il riconoscimento di un esame. I crediti in sé non sono sufficienti ma è necessario un riconoscimento formale da parte degli atenei.
Inoltre tale sistema ha creato ulteriori problemi alla mobilità tra diversi atenei italiani. Ciò è dovuto all'enorme discrezionalità garantita ai singoli atenei nella distribuzione di questi crediti tra le diverse materie. A ciò si aggiunge il fatto che le lauree triennali sono titoli che, oltre a non essere spendibili sul mercato del lavoro, vengono discriminati anche in ambito accademico.
Accade quindi che uno studente, conseguita la laurea triennale, trasferendosi da un ateneo all'altro, si trovi a dover recuperare crediti, perché lo stesso tipo di corso viene valutato diversamente di ateneo in ateneo.

Tale sistema quindi in Italia non solo non ha risolto i problemi che si prefiggeva di risolvere, ma ha contribuito a convertire le università in un sistema in cui lo studente, per avere successo, invece di studiare, approfondire, riflettere e confrontarsi con gli altri, deve limitarsi a seguire i ritmi impostigli, limitandosi ad una conoscenza effimera e puramente nozionistica. L'allenamento migliore per chi è destinato ad inserirsi in un contesto lavorativo dove deve lavorare, produrre ed obbedire.

Valentina

(1) Vedi Umanità nova n.14, del 12 aprile 2009

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