Continuano in Europa le mobilitazioni degli studenti contro il
processo di Bologna. In molte città tedesche si stanno
preparando per una settimana di protesta, a partire dal 15 giugno, che
culminerà il 19 giugno a Berlino in occasione del 10°
"anniversario" del processo di Bologna (1).
L'Italia è stata tra i primi paesi ad applicare questo modello
(a cominciare dalla legge Zecchino del 1999) e rappresenta un chiaro
esempio di come questo sia deleterio per l'educazione superiore. Sono,
infatti, trascorsi diversi anni dall'entrata in vigore della prima
riforma e i tempi sono maturi per valutare quali siano stati gli
effetti concreti sul sistema educativo.
Una delle questioni centrali è l'introduzione del sistema dei crediti formativi.
Il modello europeo
Il sistema dei crediti italiano si basa sul sistema ETCS (Sistema
Europeo di Trasferimento e Accumulo di Crediti), il cui obiettivo
dovrebbe essere incentivare la mobilità internazionale,
favorendo il riconoscimento di un titolo anche in paesi diversi da
quello in cui è stato conseguito.
Questo sistema, oltre a non aver raggiunto questo scopo, ha contribuito
a consolidare un metodo educativo basato sulla frammentazione e la
svalutazione del sapere. I crediti, infatti, non vengono utilizzati
unicamente per il riconoscimento in caso di trasferimento ma sono
diventati onnipresenti nella vita dello studente e stanno diventando
sempre di più il metro con cui studenti, professori e organi
amministrativi valutano i corsi e il rendimento degli studenti.
Cosa sono i crediti formativi
Il Credito Formativo Universitario (CFU) è un tentativo di
quantificare le ore di impegno necessarie per il superamento di un
determinato esame, prendendo in considerazione sia lezioni e laboratori
che ore di studio individuale.
Con il decreto n.270/04 un credito è stato fissato pari a 25 ore
di studio (sono concesse variazioni per diverse classi di laurea,
stabilite da decreti ministeriali, entro un limite del 20%). E'
lapalissiano che si tratti di una forzatura, in quando ciascuno ha i
propri ritmi di studio, ed è impossibile standardizzare le
necessità individuali riducendole ad un numero valido per tutti
in qualunque situazione. Inoltre capita molto spesso che a
parità di numero di crediti assegnati, il carico di studio
realmente necessario risulti ben diverso.
Studiare a tempo pieno
In un anno l'impegno richiesto agli studenti è di 60 CFU (pari a
1500 ore totali). Lo stesso decreto riconosce che tale impegno
può essere sostenuto solo da uno studente a tempo pieno. Possono
quindi laurearsi nei tempi prestabiliti solo coloro che si dedicano
esclusivamente all'università e che non necessitano di lavorare
per pagarsi gli studi. Né consegne che i molti
studenti-lavoratori siano destinati quasi automaticamente a diventare
fuori corso. Lo stesso vale per chi si trovi ad affrontare qualunque
tipo di problema che comporti un impegno gravoso o che non abbia
ricevuto una formazione adeguata negli anni precedenti. Ma uno studio a
tempo pieno ostacola anche qualsiasi attività
extra-universitaria che non possa essere "convertita" in CFU. Gli
studenti finiscono per limitare i propri interessi, divenendo magari
super specializzati ed esperti nel proprio settore, ma privi della
conoscenza necessaria per contestualizzarle.
La corsa ai crediti
Coloro che riescono a tenere i ritmi imposti e si laureano presto, col
miglior voto possibile, vengono avvantaggiati, non solo dal punto di
vista del prestigio ma anche da un punto di vista sostanziale. Infatti,
l'erogazione delle borse di studio è vincolata non solo al
reddito e ai voti, ma anche al numero di CFU conseguiti. Si finisce
così spesso, per necessità o per abitudine, per acquisire
un metodo di studio superficiale, volto a ricordare lo stretto
indispensabile a passare gli esami, in modo da risultare più
"produttivi". In questo modo però lo studio diviene puramente
automatico e acritico, mancando il tempo a disposizione per
approfondire le materie e ragionarci su. Gli stessi professori, che si
ritrovano una materia frammentata in molti mini-corsi da pochi crediti,
incontrano difficoltà maggiori ad articolare il corso in maniera
tale da trasmettere qualcosa di più di un mero nozionismo ed
instaurare un rapporto migliore con gli studenti.
Il conseguimento della laurea finisce con il diventare una sorta di
corsa per accumulare crediti, più che per perseguire la
conoscenza.
Pagare per lavorare
Va ricordato inoltre che non tutti i 180 crediti necessari si possono
conseguire seguendo corsi e superando esami, ma vi è una
categoria di crediti (i cosiddetti crediti F), che corrispondono ad un
periodo di stage svolto presso l'università o un qualsiasi altro
ente esterno riconosciuto. Il che si traduce molto spesso nello
svolgimento gratuito di lavori ben poco formativi, oppure non inerenti
alle aspettative e ai percorsi di studio individuali. Il tutto viene
fatto ricadere all'interno del percorso formativo per il quale gli
studenti pagano le tasse, spesso particolarmente salate (basti pensare
a gran parte dei master). Siamo quindi arrivati al paradosso che non
solo non si viene retribuiti per il lavoro svolto, ma bisogna perfino
pagare per poter lavorare.
I trasferimenti restano problematici
Questo sistema non è servito a migliorare la mobilità
internazionale. Chi ha avuto esperienze di studio all'estero sa bene
che non è sempre facile ottenere il riconoscimento di un esame.
I crediti in sé non sono sufficienti ma è necessario un
riconoscimento formale da parte degli atenei.
Inoltre tale sistema ha creato ulteriori problemi alla mobilità
tra diversi atenei italiani. Ciò è dovuto all'enorme
discrezionalità garantita ai singoli atenei nella distribuzione
di questi crediti tra le diverse materie. A ciò si aggiunge il
fatto che le lauree triennali sono titoli che, oltre a non essere
spendibili sul mercato del lavoro, vengono discriminati anche in ambito
accademico.
Accade quindi che uno studente, conseguita la laurea triennale,
trasferendosi da un ateneo all'altro, si trovi a dover recuperare
crediti, perché lo stesso tipo di corso viene valutato
diversamente di ateneo in ateneo.
Tale sistema quindi in Italia non solo non ha risolto i problemi che si
prefiggeva di risolvere, ma ha contribuito a convertire le
università in un sistema in cui lo studente, per avere successo,
invece di studiare, approfondire, riflettere e confrontarsi con gli
altri, deve limitarsi a seguire i ritmi impostigli, limitandosi ad una
conoscenza effimera e puramente nozionistica. L'allenamento migliore
per chi è destinato ad inserirsi in un contesto lavorativo dove
deve lavorare, produrre ed obbedire.
Valentina
(1) Vedi Umanità nova n.14, del 12 aprile 2009