Venerdì 5 giugno 2009 si è tenuta presso il tribunale
di Benevento la terza (ed ultima) udienza del processo che vedeva
cinque compagni anarchici imputati per il reato di vilipendio delle
forze armate, dopo che il 4 novembre del 2006 (giornata delle forze
armate) si resero protagonisti di un'iniziativa antimilitarista in via
vittime di Nassiriya, e furono trascinati in caserma dalla sbirraglia.
Il giudice ha accolto la questione sollevata dalla difesa, e
cioè il vizio di forma nel procedimento dovuto all'assenza
dell'autorizzazione a procedere alle indagini (necessaria per questo
tipo di reato) del Ministero di grazia e giustizia.
"In nome del popolo italiano" il processo è andato a monte.
Contro la guerra, chi la produce e chi la combatte.
Per la Rivoluzione Sociale.
Gruppo Anarchico "Senza Patria", Benevento
http://gaa.noblogs.org
Lunedì 8 giugno in consiglio comunale per la prima volta le
ferrovie e il ministero illustravano alla giunta lo studio di
fattibilità della tratta della TAV che dovrebbe riguardare il
comune e la provincia all'interno della Trieste-Divaccia.
Il costituendo Comitato NOTAV di Trieste e del Carso (vedi UN scorsi)
ha colto la palla al balzo organizzando un presidio sotto il palazzo
del comune. Grazie a un passaparola spontaneo ma capillare e vari
volantinaggi anch'essi molto spontanei, 300 persone hanno partecipato
al presidio che si è protratto dalle 18.30 fin alle 21.
In una cinquantina sono saliti in consiglio comunale per assistere alla
seduta e vi sono stati vari momenti di contestazione di fronte alle
boiate dei relatori. I consiglieri (di tutti gli schieramenti) anche di
fronte alla presenza in aula e ai giornalisti hanno criticato il
progetto.
Anche la regione ha detto che "occorrono modifiche e bisogna aumentare
il consenso intorno all'opera". Come si vede la mobilitazione ha
lasciato il segno e inizia a preoccupare lor signori.
Si tratta ora di continuare l'opera di mobilitazione e informazione sul territorio.
Foto, video e articoli su www.info-action.info
Uno dei compagni presenti
Mercoledì 10 giugno. Giardinetti di via Cecchi. Gente che va
e viene, monta un telo, apre uno striscione. Intorno la gente di sempre
al giardino: gli anziani marocchini con la gèllaba, gli zarretti
italiani con jeans a strizzapalle e mutande fuori, due ragazzini, uno
africano e l'altro maghrebino, lo zuccotto di traverso, che giocano a
rincorrersi tirando su il camicione, due ragazze nere che confabulano
su uno scalino.
Qualcuno domanda del film che sta per partire, altri leggono i
volantini. Alcuni ringraziano, uno si sbilancia e suggerisce che
è tempo di mettersi insieme, italiani e immigrati, contro i
razzisti che nelle ultime settimane, hanno cercato di marcare il
quartiere con cortei e fiaccolate.
Gli zarretti tirano fuori un pallone e si scatenano a giocare come
stretti da una rabbia senza troppe parole, poi sull'altalena con i
piedi vicino all'ampli. Nessuno dice niente e loro si stufano presto.
Poco a poco la piazzetta si riempie di gente: facce note e tanti altri
venuti apposta. Ragazzi e adulti delle case vicine che si aggiudicano
una delle sedie o si siedono in terra davanti al telone.
Poi parte "Come un uomo sulla terra". Le storie, raccontate in prima
persona, del viaggio dall'Etiopia, dalla Somalia, dal Sudan verso
l'Italia. Il deserto, i trafficanti d'uomini, quelli che la solitudine
di sabbia si inghiotte per sempre. Dopo, più crudele del
deserto, li attende la traversata della Libia. Il governo di quel
paese, lautamente sponsorizzato dall'Italia, gestisce lager per
migranti, dove stupri, violenze e umiliazioni sono il pane quotidiano.
Se la cava chi paga. Una volta, due, tre, quattro... Un uomo racconta
di essere stato arrestato sette volte e venduto cinque. Ogni volta la
sua famiglia ha pagato il riscatto, che, dopo mesi e mesi di
sofferenze, lo ha portato in Italia. Oggi, dopo gli accordi stretti dal
governo di Roma con quello di Tripoli, chi arriva viene riportato
all'inferno. Un inferno dove il ministro dell'Interno Maroni rispedisce
ogni giorno uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra, dalla
dittatura, dalla repressione, dalla fame. Persino l'ONU ha provato ad
alzare la voce, ma niente.
Le immagini di Gheddafi che tratta con Frattini nel 2006 si
sovrappongono a quelle dello stesso Gheddafi che sbarca a Roma e si
stringe a Berlusconi. Due criminali, che si giocano la vita di migliaia
di persone tra chiacchiere e retorica. La foto di Omar al Mukhtar in
catene tra i militari italiani che lo hanno catturato nel 1931 appesa
al petto di Gheddafi, si mescola con i racconti degli immigrati
africani incatenati, picchiati, umiliati, stuprati nelle galere libiche
di oggi.
Il governo italiano paga il prezzo del sangue dei centomila libici
ammazzati durante l'occupazione e il padre e padrone della Libia
ringrazia, assicurando di mantenere e potenziare le sue galere.
Le due ragazze africane in fondo al giardino si avvicinano allo schermo
che racconta di altre ragazze come loro. Gli zarretti si stringono uno
sull'altro su una panchina e guardano attenti le storie di ragazzi
uguali a tanti loro vicini di casa.
Due marocchini vestiti bene si avvicinano e scuotono la testa. Venisse
qui, dove italiani, africani, magrhebini, cinesi, romeni, peruviani
vivono fianco a fianco, Gheddafi non sarebbe certo il benvenuto.
In una periferia come tante a Torino, per una sera, la solidarietà ha suonato più forte dell'odio.
R. Em.