Umanità Nova, n.24 del 21 giugno 2009, anno 89

informAzione - 1


Benevento. Processo a monte

Venerdì 5 giugno 2009 si è tenuta presso il tribunale di Benevento la terza (ed ultima) udienza del processo che vedeva cinque compagni anarchici imputati per il reato di vilipendio delle forze armate, dopo che il 4 novembre del 2006 (giornata delle forze armate) si resero protagonisti di un'iniziativa antimilitarista in via vittime di Nassiriya, e furono trascinati in caserma dalla sbirraglia.
Il giudice ha accolto la questione sollevata dalla difesa, e cioè il vizio di forma nel procedimento dovuto all'assenza dell'autorizzazione a procedere alle indagini (necessaria per questo tipo di reato) del Ministero di grazia e giustizia.
"In nome del popolo italiano" il processo è andato a monte.
Contro la guerra, chi la produce e chi la combatte.
Per la Rivoluzione Sociale.

Gruppo Anarchico "Senza Patria", Benevento
http://gaa.noblogs.org

Trieste. 300 contro la TAV

Lunedì 8 giugno in consiglio comunale per la prima volta le ferrovie e il ministero illustravano alla giunta lo studio di fattibilità della tratta della TAV che dovrebbe riguardare il comune e la provincia all'interno della Trieste-Divaccia.
Il costituendo Comitato NOTAV di Trieste e del Carso (vedi UN scorsi) ha colto la palla al balzo organizzando un presidio sotto il palazzo del comune. Grazie a un passaparola spontaneo ma capillare e vari volantinaggi anch'essi molto spontanei, 300 persone hanno partecipato al presidio che si è protratto dalle 18.30 fin alle 21.
In una cinquantina sono saliti in consiglio comunale per assistere alla seduta e vi sono stati vari momenti di contestazione di fronte alle boiate dei relatori. I consiglieri (di tutti gli schieramenti) anche di fronte alla presenza in aula e ai giornalisti hanno criticato il progetto.
Anche la regione ha detto che "occorrono modifiche e bisogna aumentare il consenso intorno all'opera". Come si vede la mobilitazione ha lasciato il segno e inizia a preoccupare lor signori.
Si tratta ora di continuare l'opera di mobilitazione e informazione sul territorio.
Foto, video e articoli su www.info-action.info

Uno dei compagni presenti

Torino. Storie di migranti ai giardini di via Cecchi

Mercoledì 10 giugno. Giardinetti di via Cecchi. Gente che va e viene, monta un telo, apre uno striscione. Intorno la gente di sempre al giardino: gli anziani marocchini con la gèllaba, gli zarretti italiani con jeans a strizzapalle e mutande fuori, due ragazzini, uno africano e l'altro maghrebino, lo zuccotto di traverso, che giocano a rincorrersi tirando su il camicione, due ragazze nere che confabulano su uno scalino.
Qualcuno domanda del film che sta per partire, altri leggono i volantini. Alcuni ringraziano, uno si sbilancia e suggerisce che è tempo di mettersi insieme, italiani e immigrati, contro i razzisti che nelle ultime settimane, hanno cercato di marcare il quartiere con cortei e fiaccolate.
Gli zarretti tirano fuori un pallone e si scatenano a giocare come stretti da una rabbia senza troppe parole, poi sull'altalena con i piedi vicino all'ampli. Nessuno dice niente e loro si stufano presto. Poco a poco la piazzetta si riempie di gente: facce note e tanti altri venuti apposta. Ragazzi e adulti delle case vicine che si aggiudicano una delle sedie o si siedono in terra davanti al telone.
Poi parte "Come un uomo sulla terra". Le storie, raccontate in prima persona, del viaggio dall'Etiopia, dalla Somalia, dal Sudan verso l'Italia. Il deserto, i trafficanti d'uomini, quelli che la solitudine di sabbia si inghiotte per sempre. Dopo, più crudele del deserto, li attende la traversata della Libia. Il governo di quel paese, lautamente sponsorizzato dall'Italia, gestisce lager per migranti, dove stupri, violenze e umiliazioni sono il pane quotidiano. Se la cava chi paga. Una volta, due, tre, quattro... Un uomo racconta di essere stato arrestato sette volte e venduto cinque. Ogni volta la sua famiglia ha pagato il riscatto, che, dopo mesi e mesi di sofferenze, lo ha portato in Italia. Oggi, dopo gli accordi stretti dal governo di Roma con quello di Tripoli, chi arriva viene riportato all'inferno. Un inferno dove il ministro dell'Interno Maroni rispedisce ogni giorno uomini, donne e bambini in fuga dalla guerra, dalla dittatura, dalla repressione, dalla fame. Persino l'ONU ha provato ad alzare la voce, ma niente.
Le immagini di Gheddafi che tratta con Frattini nel 2006 si sovrappongono a quelle dello stesso Gheddafi che sbarca a Roma e si stringe a Berlusconi. Due criminali, che si giocano la vita di migliaia di persone tra chiacchiere e retorica. La foto di Omar al Mukhtar in catene tra i militari italiani che lo hanno catturato nel 1931 appesa al petto di Gheddafi, si mescola con i racconti degli immigrati africani incatenati, picchiati, umiliati, stuprati nelle galere libiche di oggi.
Il governo italiano paga il prezzo del sangue dei centomila libici ammazzati durante l'occupazione e il padre e padrone della Libia ringrazia, assicurando di mantenere e potenziare le sue galere.
Le due ragazze africane in fondo al giardino si avvicinano allo schermo che racconta di altre ragazze come loro. Gli zarretti si stringono uno sull'altro su una panchina e guardano attenti le storie di ragazzi uguali a tanti loro vicini di casa.
Due marocchini vestiti bene si avvicinano e scuotono la testa. Venisse qui, dove italiani, africani, magrhebini, cinesi, romeni, peruviani vivono fianco a fianco, Gheddafi non sarebbe certo il benvenuto.
In una periferia come tante a Torino, per una sera, la solidarietà ha suonato più forte dell'odio.

R. Em.

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