Questo breve scritto nasce da una riflessione scaturita dopo avere
ascoltato "Figli dell'officina" nella versione (scempio) dei Modena
City Ramblers ad un concerto per l'anniversario della morte di
Berlinguer.
Molti studiosi hanno analizzato i movimenti collettivi, la loro
struttura e i meccanismi di riproduzione e mantenimento della propria
identità e talora del proprio potere. Mi limiterò
brevemente a esporre alcuni di questi meccanismi, con particolare
attenzione a quei processi che portano un movimento a ricercare
l'egemonia culturale in una certa "area" (politica). Ma prima è
necessario introdurre una tipizzazione minima (ridotta a due categorie)
che ci permetta di inquadrare l'oggetto di questa breve analisi.
La differenziazione è tra movimenti istituzionalizzati e non
istituzionalizzati. Anche se parlare di movimenti istituzionalizzati
può sembrare un ossimoro, in questo caso si vuole intendere quei
movimenti che si dotano di una struttura di potere: potere sui propri
membri e sugli altri gruppi. Tra i loro obiettivi, si aggiungerà
quindi anche quello della riproduzione del proprio potere che, lungi da
essere secondario, diviene fondamentale per la loro conservazione. La
struttura di potere infatti, con le sue calcificazioni istituzionali,
divora le altre spinte aggregative e finisce con l'essere l'unico
elemento a mantenere in vita quel movimento che la adotta.
Seguiremo la categorizzazione delle azioni messe in atto dai movimenti
collettivi individuata da Turner (1), che distingue in azioni di
persuasione, contrattazione, coercizione, riferendola però ai
soli movimenti istituzionalizzati.
E' evidente infatti che, per esercitare ciascuna di queste azioni,
è necessario essere dotati di una struttura di potere
rispettivamente "espressivo," economico (nel senso più ampio del
termine), coercitivo.
Ci interessa, in questa sede, particolarmente il primo: la persuasione
è quel processo per cui si modella il proprio sé e le
proprie azioni con lo scopo di influenzare l'Altro (movimento,
individuo) soggetto interagente.
E' logico che questo processo coinvolge anche la cultura e la
riproduzione della memoria di un movimento. Parlo di riproduzione della
memoria perché, benché comunemente questa consista nel
ricordo di un fatto passato, essa è, per certi versi, un "parto"
della mente: come molti studi hanno dimostrato, quest'ultima colma le
lacune dei nostri ricordi o li riadatta per garantire la coerenza
interna del sistema (lo stesso ricordo può essere modificato
più volte in momenti differenti).
Ma mentre per gli individui questo processo è quasi sempre
inconscio e inconsapevole, per i movimenti istituzionalizzati è
una strategia assolutamente consapevole per la conservazione del
proprio potere.
La teoria dell'egemonia gramsciana ne è un esempio perfetto (2).
In generale, i movimenti comunisti e socialisti che si sono
istituzionalizzati, hanno adottato, fra le altre, una strategia ben
precisa: delegittimare le spinte più radicali sia dal punto di
vista politico che culturale, tentando di cancellarne la memoria. E'
evidente che questo processo si attua attraverso la riproduzione
volutamente distorta della storia. Questo avviene in molti modi: dal
"dimenticare" le lotte degli anarcosindacalisti nella bassa modenese,
al cambiare il testo di "Figli dell'officina".
Il testo originale dice: "innalzeremo al vento bandiere rosse e nere".
Non porta all'esclusione di una parte per l'altra, è il
movimento di emancipazione sociale che viene compreso per intero
(anarchici e comunisti) nella lotta degli Arditi del Popolo contro le
squadracce fasciste. Ed ecco il primo cambiamento, frutto
evidentemente, di un'istituzionalizzazione del movimento comunista:
"innalzeremo al vento le rosse bandiere". Quando anche essere comunisti
è peccato, ecco il secondo ed ultimo (per ora) rimpasto:
"innalzeremo al vento le libere bandiere".
Quasi dimenticavo che la strofa "per l'anarchia pugnamo..." è totalmente assente.
Sebbene l'esempio sia quasi un'inezia, si presta bene a rappresentare
quell'azione di "persuasione", quel processo di egemonia culturale,
messo in atto dai movimenti istituzionalizzati per la riproduzione del
proprio potere a scapito di quelli che, memori delle risoluzioni di St.
Imier, ritengono che "la distruzione di ogni potere politico [sia] il
primo dovere del proletariato."
Jacopo Anderlini
(1) Rimandiamo al saggio Determinants of social movement strategies (1970)
(2) La teoria viene descritta (e criticata) in un libro da poco edito
per Eléuthera Gramsci è morto. Dall'egemonia
all'affinità (2008)