Il peggio è ormai passato. È una frase sentita molte,
troppe volte in questi due anni passati dallo scoppio della crisi che,
ricordiamolo, è datato agosto 2007 (crollo del valore dei titoli
azionari delle principali banche americane).
Da alcune settimane i giornali traboccano di dichiarazioni rassicuranti
di politici, economisti e giornalisti che segnalano come le cose non
stiano andando più tanto male. È davvero così? In
realtà, per ogni paese esistono svariate decine di indicatori
che rilevano lo stato dell'economia. Negli ultimi tempi l'esercizio
più praticato dai centri di previsione congiunturale è
quello di scovarne almeno un paio che mostrino un andamento positivo.
Non è impossibile, poiché è difficile che proprio
tutto vada peggio del mese o del trimestre precedente. Su questa
fragile base i media costruiscono l'ottimismo da elargire al popolo.
È anch'esso, in un certo senso, un provvedimento anticrisi, dato
che uno dei contributi per alleviare questo periodo negativo della
congiuntura consiste proprio nell'infondere fiducia agli operatori
economici affinché spendano e investano. I risultati effettivi
di queste "misure" li vedremo nei prossimi 3 – 4 mesi.
Certo è che gli squilibri che stanno alla base del collasso
economico sperimentato dalle principali economie mondiali non sono
venuti meno. Le disuguaglianze sociali non si sono ridotte, il tasso di
risparmio asiatico è ancora molto alto così come è
tuttora molto basso quello degli statunitensi. Le banche, dopo le
iniezioni di denaro statale, stanno sicuramente meglio ma, in compenso,
i debiti pubblici si stanno gonfiando a dismisura, generando
apprensione addirittura sulla solvibilità degli Stati Uniti. Se
queste sono le basi della ripresa economica… beh, siamo pronti per
un'altra crisi!
Uno dei segnali di risveglio delle attività, sostengono molti
osservatori, è l'aumento del prezzo del petrolio, che ha
superato i 70 dollari al barile. Incrementi nei costi si registrano
anche per altre materie prime. Vuol dire, affermano gli ottimisti, che
c'è fiducia e le imprese hanno ricominciato a fare ordini di
materiale. Strano. Gli indici della produzione industriale segnalano,
con riferimento allo stesso periodo dell'anno scorso, un -21,8% nel
primo quadrimestre per l'Italia e -21,6% in aprile per l'Unione
Europea. Sempre nell'Unione, nei primi quattro mesi del 2009, gli
occupati sono diminuiti di 1 milione e 220 mila persone. Se
l'attività produttiva sta ripartendo come è possibile che
produzione industriale ed occupati diminuiscano? L'aumento dei prezzi
delle materie prime e del petrolio in particolare, con tutta
probabilità, sono dovuti allo stesso fenomeno che nel 2008 ha
portato un barile di greggio a costare 147 dollari: la speculazione.
I provvedimenti presi dai governi e dalle banche centrali per
contrastare l'estendersi della crisi, hanno generato enormi volumi di
liquidità, capitali che gli investitori finanziari non possono
lasciare improduttivi. Per un po' hanno acquistato titoli di Stato poi,
anche per spuntare rendimenti maggiori, hanno ripreso ad acquistare
azioni e future sulle materie prime. Lo abbiamo già sperimentato
l'anno scorso quando, incautamente, qualcuno ha cercato di addossare la
colpa del rialzo dei prezzi dei prodotti agricoli all'aumento delle
superfici coltivate per la produzione di bio-carburanti. Come si
è poi visto, erano gli operatori finanziari, hedge fund in
testa, che acquistavano per concludere lucrosi affari. Finita la festa,
ritirati i capitali investiti, i prezzi delle materie prime sono scesi
a livelli più fisiologici (il petrolio è sceso dai 137
dollari al barile dell'estate ai 40 di dicembre). Non è da
escludere che tale valzer si ripeta anche questa volta.
Quanto alla ripresa economica, purtroppo nei prossimi mesi dovremo
aspettarci un peggioramento della situazione, soprattutto in Italia. Le
imprese più deboli chiuderanno i battenti, aumentando il numero
dei disoccupati. Questi ultimi ridurranno i consumi frenando
ulteriormente la circolazione monetaria ed estendendo i riflessi
recessivi anche alle aziende meno fragili. Le autorità pubbliche
potranno effettuare interventi limitati, pena il rischio di
declassamento del pesante debito pubblico italiano. Potremo aspettarci
una inversione di tendenza non prima del momento in cui le grandi
economie mondiali (Usa, Cina, Germania, Giappone) avranno ripreso un
percorso di sviluppo e solo se le esportazioni italiane saranno ancora
competitive.
Non vuole essere le descrizione della fine del mondo, occorrerà
tempo ma, in qualche modo, si uscirà anche da questa crisi.
Tuttavia sarebbe bene chiedersi in che modo e, comunque, non aspettarsi
buone notizie dall'oggi al domani. Passando agli insegnamenti da trarre
da quanto sperimentato fino ad oggi, è sempre più
difficile negare che il capitalismo è un sistema instabile per
sua natura. Tale instabilità è tanto più
accentuata quanto maggiore è la disuguaglianza sociale. Per
uscire da questa crisi, in fretta e con basi solide per il futuro,
occorrerebbe ridurre la disuguaglianza sociale. Per non avere
più crisi di questa portata occorrerebbe superare il capitalismo.
Toni Iero