Così ha deciso lo stato danese. Con una sentenza veloce
e sbrigativa, il 26 di maggio scorso l'Alta Corte danese ha stabilito
che il terreno su cui sorge Christiania è dello Stato, quindi lo
Stato può farci quello che vuole, che tradotto significa
palazzi, uffici e centri commerciali da vendersi a prezzo di mercato.
Trentaquattro ettari nel pieno centro di Copenaghen non potevano certo
essere lasciati in mano a una banda di hippy senza legge né
regole se non quelle dell'autogestione, dell'autodeterminazione e
dell'alternativa possibile. La Comunità libera, nata più
di quarant'anni fa in seguito all'occupazione di un sito militare
dismesso, è un grande laboratorio di sperimentazione sociale,
una grande proprietà collettiva dove differenti modelli sociali
convivono in una reale compartecipazione. Quella compartecipazione
tanto osannata dai ciarlatani della politica, tanto pronti a ostentarla
per i loro fini quanto a rinnegarla quando questa ostacola le loro
speculazioni. Ora la grande democrazia mitteleuropea e scandinava non
gradisce più la presenza in casa sua di un esempio di effettiva
partecipazione alla vita sociale e alla gestione di un bene comune.
L'attacco a Fristaden, la città libera organizzata in 19 circoli
dove vige la legge dell'unanimità, è iniziato nella
metà degli anni '80. Qualcuno si accorse che quello spazio,
sviluppatosi tra i canali di Copenaghen e lungo i bastioni della
cittadella rinascimentale, poteva essere un buon luogo per insediamenti
residenziali ad alto prezzo. Cominciò una lunga battaglia che
portò nel 1989 al riconoscimento, da parte del governo
socialdemocratico, dello status di "esperimento sociale". Ciò
permise agli abitanti di Christiania di poter vivere relativamente
tranquilli, mettendo in pratica forme alternative di convivenza
sociale. In questo clima di apparente tolleranza da parte dello stato
danese, nonostante periodiche provocazioni, si andò avanti fino
al 2004 quando, insediatosi un governo di centrodestra, l'attacco allo
"Stato Libero di Christiania" ricomincia in maniera massiccia. Viene
revocato lo status di esperimento sociale e si richiede la
"normalizzazione" dell'area su cui vivono i christianiti. Il culmine di
questo attacco si ha nel 2008, il 29 e il 30 di ottobre, quando lo
"Slots- og Ejendomsstyrelsen", l'Agenzia dei Palazzi e delle
Proprietà, che gestisce i beni pubblici dello stato danese,
decide di demolire il secondo piano di una palazzina all'interno di
Christiania. 300 agenti in assetto antisommossa invadono lo stato
libero e gli operai, così protetti e nascosti dietro maschere,
procedono all'abbattimento di quella parte di edificio. La motivazione
dell'abbattimento consiste nel fatto che l'agenzia governativa pretende
la presentazione di una domanda con conseguente permesso per la
costruzione o l'ingrandimento di edifici nel territorio della
comunità. Inaccettabile in un luogo dove è chi ci vive
che decide come gestire il territorio e l'ampliamento degli
insediamenti segue la sola logica della necessità e non
dell'atto speculativo. Due giorni di scontri con la polizia, giunta poi
in forze, che dimostrarono la volontà da parte dei christianiti
di mantenere il loro status autogestionale del territorio.
E così arriviamo al 26 di maggio di quest'anno. Lo stato danese
"ha il diritto di disporre della zona di Christiania e di agire come
proprietario".
Dopo questa sentenza sarà più duro per i christianiti
vivere ed essere "tollerati" nel centro di Copenaghen. Lo stato,
già così aggressivo, ora lo diverrà ancora di
più e ci vorrà tutta la forza di cui dispongono gli
abitanti di Fristaden per resistere. Quarant'anni di vita collettiva
rischiano di essere inglobati dalla speculazione dei signori del
cemento, facendo sparire in esso un esempio di alternativa possibile,
la dimostrazione che costruire una società diversa nella quale
convivere e autorganizzarsi gestendo collettivamente i propri bisogni
è possibile. Aldilà delle leggi, aldilà del
potere, aldilà della gestione dall'alto. Una società
strutturata orizzontalmente, dove tutti hanno uguali diritti e uguali
doveri, dove si fa solo ciò di cui la quotidianità ha
bisogno e dove ognuno è autore del proprio vivere. Questo,
forse, è quanto dà più fastidio e va fatto
sparire. E quale miglior modo se non una bella gettata di cemento, che
omologa case, negozi e vita.
RedC