La situazione del Pakistan si va facendo ogni giorno più
difficile. Specchio di questa progressiva instabilità è
la capitale Islamabad che, dopo gli attentati suicidi delle ultime
settimane, viene descritta da tutti i media come una città
disseminata di barriere in cemento, posti di blocco e presidi
dell'esercito in ogni strada. Il Presidente Zardari, vedova dell'ex
primo ministro Benazir Bhutto, uccisa il 27 dicembre del 2007 da un
commando di taliban pakistani sembra in diretto contatto con Al Qaeda,
non esce nemmeno dal palazzo presidenziale ed è la miglior
immagine di un paese sull'orlo del caos.
Zardari, ai tempi del governo della moglie noto come "mister 10%" per
il suo ruolo nell'assegnazione dei fondi pubblici e nel pilotaggio
degli appalti, è stato eletto poco più di un anno fa
sull'onda dell'emozione per l'assassinio della moglie. Oggi il suo
partito, il PPP, pallido erede del partito nazionalista progressista
fondato dal suocero Ali Bhutto nel 1972 dopo la sconfitta del Pakistan
nella guerra contro l'India per il Bagla Desh, è ai minimi
storici. L'incapacità di gestire la guerra contro i taliban
pakistani, la scandalosa sorte di almeno un milione di abitanti della
zona di guerra oggi profughi in improvvisate tendopoli, la crisi
economica in cui è precipitato il paese e il clima di terrore
diffuso, hanno fatto del primo governo elettivo dopo la dittatura del
generale Musharraf iniziata nel 1999, un disastroso fallimento.
La guerra tra l'esercito pakistano e i taliban, vecchi alleati dal
tempo dell'invasione russa dell'Afganistan, è concentrata nei
territori della frontiera di nord ovest e in quelli delle aree tribali,
zone del paese dove da sempre l'unica autorità riconosciuta
è quella dei capi villaggio e dei mullah. Ai tempi dell'appoggio
pakistano agli insorgenti islamisti dell'Afganistan e al governo
taliban del paese questa vicinanza è stata utilizzata in modo
spregiudicato per dirigere il contrasto alle mire sovietiche nell'area
e all'egemonia indiana sul governo impiantato dagli americani a Kabul
dopo l'11 settembre e la breve guerra di invasione dell'Afganistan.
Oggi proprio i rapporti strettissimi tra i pashtun afgani e quelli
pakistani rendono impossibile i tentativi di normalizzazione della zona
da parte del governo di Islamabad.
Inoltre i partiti islamisti del Pakistan appoggiano in modo discreto
l'offensiva taliban in modo da mettere in sempre maggiore
difficoltà Zardari e con lui l'élite occidentalizzante
del paese. I governi delle aree tribali e quello della provincia di
nord ovest non esistono più e la criminalità politica e
comune gestisce il territorio. Nella sola Peshawar, capoluogo della
provincia, ci sono stati 180 sequestri di persona nei soli primi tre
mesi dell'anno; le industrie locali hanno chiuso per mancanza di
sicurezza e la luce elettrica è garantita per sole tre ore al
giorno. Ad aggravare la situazione bisogna aggiungere che anche
l'enorme (per quanto poco abitata) provincia del Belucistan nel sud del
paese è in buona parte fuori controllo. Il movimento autonomista
dei beluci, popolazione locale indoeuropea di ceppo diverso da quella
dominante in Pakistan, controlla più del dieci per cento del
territorio e ha sposato una linea islamica simile a quella taliban.
A Karachi, città simbolo del paese, porto sull'Oceano Indiano e
residenza di milioni di discendenti dei profughi fuggiti dall'India
dopo la partition del 1947, gli scontri tra gruppi etnici e fazioni
islamiche hanno fatto 36 morti nel solo mese di maggio. Per finire si
segnala la penetrazione del movimento taliban in Punjab, cuore politico
ed economico del paese abitato da più di 100 dei 170 milioni di
pakistani.
Il reclutamento taliban avviene soprattutto tra i giovani delle classi
agricole subalterne e tra i milioni di giovani disoccupati che
affollano le periferie delle metropoli. L'età media degli
attentori suicidi è di sedici anni. Un'ondata di islamizzazione
radicale nelle bidonville popolate da giovanissimi che cingono i
quartieri bene ed occidentalizzanti delle città e le
ville-fattorie dell'élite occidentalizzante del paese si
è abbattuta sul Pakistan ed ha dalla sua il tempo e l'età
della popolazione.
L'amministrazione Obama ha posto la propria attenzione in modo sempre
più stretto sul Pakistan. Dopo che il 27 marzo il neo presidente
aveva annunciato l'invio di 17 mila soldati in Afganistan, la
segretaria di stato Clinton ha messo l'accento sugli aiuti al Pakistan
e sulla necessità di utilizzare sempre più i soldati
europei nel vicino asiatico in modo da liberare risorse per
Islamabad. Il problema americano è che USA, Europa e Giappone
sono finora riusciti a mettere assieme circa sette miliardi di dollari
quando l'inviato americano per l'area ha calcolato che ce ne vorrebbero
almeno cinquanta per evitare il collasso del Pakistan.
L'attuale crisi è nata dalla resa negoziata da governatore della
provincia di nord ovest con i gruppi taliban della valle dello Swat. La
resa consisteva nell'accettazione dell'applicazione della legge
islamica in salsa deobandista (i deobandisti sono una scuola
fondamentalista islamica indiana di ispirazione simile a quella
wahabita della penisola arabica) e il ritiro dell'esercito dalle aree
del conflitto. La resa è avvenuta perchè 12mila soldati
non erano riusciti ad avere la meglio su 3mila guerriglieri capaci di
essere "come il pesce nell'acqua" e di praticare l'obiettivo
distruggendo scuole femminili, ospedali che accettavano il lavoro di
infermiere donne, e le case dei "falsi credenti" (ossia di coloro che
non accettavano la versione taliban della religione islamica). Gli
scontri erano stati veri con migliaia di morti tra la popolazione
civile e mezzo milione di profughi. Dopo la resa nello Swat i taliban,
coordinando tra loro decine di gruppi locali, hanno continuato ad
avanzare occupando uno dopo l'altro i distretti di Buner, Shangla e Dir
da dove hanno potuto bloccare le strade per le principali città
della provincia e l'autostrada che permette di raggiungere Islamabad. A
questo punto il governo, sotto la sferza di Washington e dei donatori
occidentali ha ripreso l'offensiva costringendo i taliban a serrarsi
sulle montagne ma non riuscendo assolutamente ad avanzare in un
territorio montagnoso e pieno di nascondigli per le forze locali che, a
differenza degli ufficiali di Islamabad, lo conoscono a menadito.
I gruppi locali ispirati dai taliban sono calcolati in circa quaranta e
la loro espansione è vertiginosa. La struttura orizzontale, con
un coordinamento molto liquido, non permette loro la programmazione di
offensive generali di grande livello ma li rende invincibili
localmente. Inoltre nelle aree di insediamento questi gruppi hanno un
consenso vero tra le popolazioni locali e sono in grado di terrorizzare
adeguatamente i refrattari o gli oppositori.
Il generale Musharaf, alleato per lungo tempo e profondo conoscitore
dei pashtun pakistani, ha evitato tra il 2001 e il 2008 di colpire i
taliban, concentrando i propri sforzi su Al Qaeda. Non solo, ma ha
anche incoraggiato la formazione di milizie pashtun di orientamento
taliban in Pakistan, e la crescita dei partiti islamici estremisti in
Punjab, come strumenti utili alla ripresa del conflitto contro l'India
per il Kashmir e ad evitare che Dehli ottenesse l'egemonia
sull'Afganistan. Tra il 2004 e il 2008 periodicamente Musharraf ha
scatenato campagne inconcludenti contro le milizie formatesi a partire
dal 2003 nelle aree tribali del Pakistan. Ogni campagna è stata
conclusa con tregue che prevedevano anche l'aiuto più o meno
nascosto dei servizi segreti del paese all'organizzazione militare, in
cambio di servigi resi dai gruppi locali nella guerra a bassa
intensità con l'India. Nel 2007 questi gruppi si sono coalizzati
nella Tehreek-e-Taliban Pakistan (di seguito Ttp) guidata da Baitullah
Mehsud, originario del Waziristan e probabile organizzatore
dell'omicidio di Benazir Bhutto.
Allo stesso tempo Musharraf e i servizi segreti hanno favorito la
costituzione di gruppi estremisti islamici nelle città del
paese, finanziati dai sauditi e appoggiati alle scuole coraniche
Deobandi. L'azione di questi gruppi è culminata con
l'occupazione della Moschea Rossa e con la richiesta di applicazione
della legge coranica ad Islamabad. L'esercito all'epoca ritenne di non
intervenire ma, sei mesi dopo, Musharraf si è trovato di fronte
a una vera e propria insurrezione durata tre giorni e condotta da
squadre miste di taliban pashtun, indipendentisti kashmiri e
combattenti di Al Qaeda. In quell'occasione i morti sono stati
centinaia e i sopravvissuti sono diventati il nucleo centrale del
movimento armato islamista nelle città pakistane. L'esercito
dopo aver affrontato l'insurrezione ha di nuovo saldato i suoi rapporti
con i gruppi che l'avevano condotta allo scopo di utilizzarli
nuovamente come combattenti nella guerra a bassa intensità con
l'India.
Le elezioni del febbraio 2008 avrebbero dovuto rappresentare un momento
di svolta rispetto a questa situazione di stallo dove i presunti
contendenti alla luce del sole sono in realtà alleati (sia pur a
corrente alternata) nelle ombre della politica pakistana. I partiti
islamisti ufficiali sono stati schiantati e le due organizzazioni
vittoriose sono state il Partiro della Bhutto e il Partito nazionale
Awami, partiro laico vincitore nelle province periferiche come la
frontiera del nord ovest ed il Belucistan. Questo voto avrebbe potuto
rappresentare uno stimolo ad adottare politiche di sicurezza e di
rapporto con i vicini laiche e dettate dagli interessi della
popolazione sfiancata da più di sessantanni di guerra (ora
calda, ora fredda) permanente. In realtà, invece, le
élite occidentalizzanti non hanno mosso un dito per contrastare
gli interessi dell'esercito, vera casta padrona del Pakistan e per
inaugurare una stagione di riforme sociali necessarie a dotare i
settori laici del paese del consenso delle classi agricole ridotte in
miseria e degli abitanti delle periferie disperate. D'altra parte i
massimi esponenti dei due partiti principali: il PPP e la Lega
musulmana di Nawaz Sharif sono latifondisti feudali che controllano
direttamente i terreni della parte più fertile del paese: quella
attorno al corso dell'Indo.
Così l'assenza di qualsiasi percezione della questione sociale e
l'incapacità di contrastare la casta militare, interessata
soprattutto alla continuazione della tensione con l'India, hanno
portato all'attuale disastro, con un'offensiva senza capo né
coda che ha prodotto un milione di sfollati e nessun risulato serio
nella lotta contro i taliban, un ceto medio sfiduciato e le classi
subalterne sempre più attirate dalla sirena dell'islamismo
radicale. D'altra parte una delle ragioni del successo dei
radicali islamici consiste nella parziale redistribuzione delle terre
messa in atto nei distretti da loro controllati e dalla diffusione di
forme (per quanto religiosamente orientate) di istruzione in un paese
dove 20 milioni di giovani sotto i 17 anni non vanno a scuola.
Il Pakistan è una polveriera pronta a saltare in aria e la miccia è già stata accesa.
Giacomo Catrame