Umanità Nova, n.26 del 5 luglio 2009, anno 89

L’altra internet. Iran: censura e libertà


Il flusso di notizie scatenato dalla crisi post-elettorale iraniana ha avuto una costante, quella di indicare Internet come il principale mezzo usato dal movimento di protesta per veicolare informazioni che altrimenti non sarebbero riuscite ad arrivare all’opinione pubblica mondiale. Tutti insieme, mass media di destra e sinistra, hanno tessuto l’elogio della Rete e deprecato la censura della teocrazia al potere, compiacendosi del fatto che non sia riuscita a bloccare la libertà di parola. Video, foto, lettere, appelli e cronache hanno occupato (non solo in Italia) buona parte dei giornali e tutto il web, amplificando notizie vere e false, probabili e improbabili, in un unico enorme blob, che ha preso il posto dei servizi dei corrispondenti ufficiali delle varie agenzie di stampa e testate impossibilitati a svolgere liberamente il proprio lavoro.
Pochi, per non dire nessuno, dei cantori della libera Internet hanno provato a spiegare come funziona la censura degli ayatollah, forse perché somiglia troppo a quella operante in moltissimi altri paesi, a cominciare dall’Italia.
In Iran ci sono pochi Provider attraverso i quali accedere alla Rete mondiale e tutti sono costretti ad utilizzare degli elenchi, aggiornati quotidianamente, che contengono gli indirizzi web proibiti dalle autorità. Il sistema più usato è quello dei “proxy server” che potremmo definire una sorta di punto di smistamento del traffico internet. Se la richiesta che arriva ad un “proxy server” riguarda un sito presente nella “lista nera”, questa richiesta viene bloccata e l’incauto navigatore viene indirizzato verso una pagina nella quale lo si avvisa del “peccato” commesso. Uno dei trucchi più comuni per aggirare questo sistema è quello di indirizzare la richiesta verso un “proxy server” che sta su un computer fuori dall’Iran e che non è compreso nell’elenco degli indirizzi proibiti. In questo modo la richiesta passa il controllo e poi, una volta arrivata sul computer oltre frontiera viene diretta verso uno dei siti censurati. Ovviamente questo sistema non può funzionare per molto tempo, dopo un po’ anche un tecnico fondamentalista noterà che ci sono troppe richieste indirizzate verso “quel” particolare computer oltre confine e la cosa diventerà immediatamente sospetta. Il passo successivo è quello di inserire anche l’indirizzo di questo computer nella lista dei “cattivi” e porre quindi fine al giochetto.
Ma il bello di Internet è che per ogni computer bloccato in questo modo ce ne può essere un altro che si attiva un secondo dopo per prenderne il posto e quindi ricominciare da capo.
Va tenuto presente che, anche se con alcuni limiti, un qualsiasi computer casalingo (di quelli che usiamo per accedere ad Internet) può diventare un “proxy server” e contribuire a prendere in giro i censori in sottana.
Naturalmente il gioco finirebbe del tutto se solo i governanti iraniani decidessero di chiudere completamente l’accesso ad Internet ma, probabilmente, il prezzo da pagare sarebbe molto più alto rispetto a quello dovuto alla diffusione di qualche filmato.
Una riflessione più generale su questo tema dovrebbe da una parte prendere in considerazione che, troppo spesso, molti sono pronti a scagliarsi contro la censura in un altro paese (Iran, Cina, Cuba...) e dimenticare quella esistente nel proprio. Un altro argomento sul quale riflettere riguarda il rischio che la protesta si trasferisca dalle strade ai computer, molto più facile dilettarsi nelle tecniche anti-censura nel comodo della propria stanza e lasciare ad altri lo scontro diretto con il potere. Infine non va sottovalutato, e il caso Iran lo dimostra, la necessità di tenersi pronti ad utilizzare anche vecchie tecnologie che, paradossalmente ma non troppo, sono spesso in grado di mettere in crisi un sistema aggiornatissimo, ma impreparato contro qualcosa che viene considerato “tecnicamente obsoleto” e, per tornare all’esempio, molti dei materiali arrivati sui monitor di mezzo mondo sono stati trasportati “a mano”, registrati sugli ormai antidiluviani dischetti, per chi se li ricorda ancora.

Pepsy

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