Umanità Nova, n.26 del 5 luglio 2009, anno 89

TuttiG8per terra - Speciale Abruzzo. Le catastrofi nella strategia del potere


I governi di tutto il mondo giustificano la propria esistenza in base all'idea che essi sarebbero la struttura di gestione della cosa pubblica in base alle esigenze collettive, senza riguardo ad interessi particolari. Quanto questo meccanismo di giustificazione ideologica sia lontano dalla realtà fattuale delle cose è cosa ovvia e scontata; il caso dell'intervento governativo in situazioni di catastrofi naturali è, però, esemplare.
Le catastrofi dovute a cause naturali coinvolgono, salvo casi rari, un territorio con una storia, nella quale di solito le popolazioni meno abbienti hanno gradatamente preso possesso di tutta una serie di spazi abitativi e/o produttivi che fanno gola alle parti ricche della popolazione locale e/o nazionale. L'arrivo di una catastrofe naturale rimette in gioco il tutto e qui il potere politico interviene a tutto favore di se stesso e delle classi dominanti: una analisi comparativa delle più recenti catastrofi avvenute all'interno delle nazioni maggiormente industrializzate ci permetterà di evidenziare la strategia del potere politico in questi casi e di comprendere al meglio il comportamento del governo italiano nei confronti della situazione aquilana.
Innanzitutto, vediamo la sottovalutazione apparente del pericolo, anche quando questo mostra segni premonitori. Il caso aquilano potrebbe essere ambiguo, in quanto la previsione – sostanzialmente dimostratasi esatta – di un singolo scienziato si è inquadrata all'interno di una generalmente riconosciuta difficoltà previsionale del fenomeno dei terremoti. In ogni caso, però, essa ci è stata e la reazione del potere politico è stata quella di negare aprioristicamente che i fenomeni premonitori evidenziati potessero comportare un grave terremoto, e che non fossero segnali certi di un tale evento, contribuendo a creare un clima di relativa tranquillità e non mettendo in atto una serie di misure preventive. In altri casi, però, la cosa è stata plateale: prendiamo i casi di New Orleans negli Stati Uniti d'America e di Villahermosa in Messico.
Nella fine di agosto 2005 a New Orleans e dintorni la catastrofe fu causata da un uragano, evento la cui evoluzione e pericolosità è facilmente prevedibile: infatti, il National Hurricane Center ed il National Weather Service previdero perfettamente il rischio cui andavano incontro le zone interessate dal fenomeno meteorologico. Governo e Federal Emergency Management Agency, invece, si mossero con colpevole ritardo, dando quasi l'impressione di "desiderare" l'evento – impressione rafforzata dal fatto che l'altra regione interessata dall'uragano Katrina, la Florida governata dal fratello dell'allora presidente Bush, si mosse con tempestività e ridusse al minimo i danni. La stessa cosa avvenne nel 2007 a Villahermosa in Messico, colpita da una grave alluvione seguita a oltre settanta giorni di pioggia, durante i quali il governo, nonostante i più che tempestivi allarmi, fece ben poco per prevenire quello che poi fu uno dei peggiori disastri della storia recente della nazione centroamericana.
Da notare fin da ora, per ciò che diremo in seguito, che sia New Orleans sia la regione di Villahermosa erano luoghi appetibili per la speculazione: la città nordamericana è situata in un luogo stupendo, ben adatto al turismo, ma "infestata" da una forte e caratterizzante popolazione nera povera; la zona messicana di Villahermosa, invece, era caratterizzata da una agricoltura a base familiare, che rompeva pesantemente le uova nel paniere a chi, invece, voleva sfruttare i giacimenti di petrolio scoperti da poco proprio sotto le piccole e medie proprietà agrarie che, per questo, avevano assunto notevole valore e non erano facilmente espropriabili a prezzi da fame.
A L'Aquila, immediatamente dopo il terremoto, il governo è intervenuto fin da subito secondo sette direttrici: 1. Deportazione delle popolazioni; 2. Chiusura della popolazione che non aveva voluto abbandonare il territorio all'interno di campi-ghetto gestiti militarmente da Protezione Civile e corpi di polizia e militari; 3. "Operazione oblio" nei confronti delle responsabilità del disastro; 4. "Operazione oblio" nei confronti delle necessità della ripresa dell'economia locale e della ricostruzione degli spazi di socialità collettiva; 5. Censura delle notizie rispetto alla situazione reale delle popolazioni; 6. "Operazione distrazione", tramite la diffusione di una enorme massa di informazioni inventate pressoché di sana pianta rispetto al "pericolo sciacallaggio", attribuito in particolare alle fasce extracomunitarie della popolazione per giustificare ideologicamente la militarizzazione del territorio; 7. Ostacolare gli aiuti spontanei delle popolazioni di altre zone della nazione. Una strategia non certo nuova che, con le particolarità del caso, era stata già ampiamente sperimentata nei già citati disastri del continente americano.
Dal momento che questo volantone è dedicato proprio alla rottura del silenzio e della disinformazione mediatica intorno alla situazione reale delle popolazioni abruzzesi terremotate, ci limiteremo a commentare comparativamente gli ultimi tre punti di una tale strategia del potere politico (d'altronde i primi quattro sono sufficientemente chiari per chi ha un minimo di ricordi degli avvenimenti del tempo).
A New Orleans le autorità locali furono costrette a mettere le proprie forze di polizia intorno alle strutture di comunicazione verso l'esterno che erano restate funzionanti, perché la Federal Emergency Management Agency (la Protezione Civile USA), con scuse risibili, le metteva continuamente fuori uso. In Italia, grazie ad un sistema dei media generalmente asservito al potere politico, di ciò non c'è stato bisogno – stampa e TV si sono autocensurate senza grosse pressioni. Per rendersi conto della cosa, è sufficiente leggere in rete i quotidiani della zona, che sembrano bollettini di guerra, mentre il resto dei media nazionali tacciono anche su notizie fondamentali per comprendere la reale situazione delle popolazioni terremotate. Solo negli ultimi tempi, la reazione e le manifestazioni dei comitati spontanei della zona, ha rotto parzialmente il clima di censura.
A New Orleans, le popolazioni rimasero per tre giorni senza acqua né cibo e si appropriarono nell'emergenza di tali risorse nei magazzini accessibili – questi i "saccheggi" di cui il sistema dei media ci riempì la testa per giorni, giustificando così la militarizzazione del territorio ed il brutale intervento delle forze armate nei confronti, soprattutto, della popolazione di colore, "dimenticandosi" poi di pubblicare con altrettanta enfasi le smentite. A L'Aquila la situazione è stata simile: per giorni ci hanno riempito la testa di bufale su pretesi sciacallaggi, che sono risultati inventati di sana pianta: in alcuni casi si trattava addirittura di persone che giungevano spontaneamente a portare soccorsi con i veicoli pieni di materiale raccolto nei loro luoghi di provenienza e che venivano trattenute per ore in questura prima di essere rilasciate senza troppe scuse! Nel frattempo, però, la militarizzazione del territorio era stata giustificata ed anche qui i media che avevano pubblicato tali notizie si sono badate bene dallo smentirle con adeguata enfasi.
Nel continente americano si erano formati spontaneamente gruppi di soccorritori che cercarono di intervenire e che furono letteralmente bloccati dalla Federal Emergency Management Agency: fece scalpore, in particolare, il blocco di numerosi camion di acqua potabile durante i tre giorni in cui la città di New Orleans rimase assetata. A L'Aquila tutto è stato messo sotto il controllo della Protezione Civile ed i campi sono sotto un regime di controllo poliziesco: chi entra lo può fare solo con adeguato permesso e rilasciando alle autorità del campo i propri documenti – in ogni caso sono quasi sempre proibite assemblee e discussioni.
Giungiamo ora al punto chiave: la "ricostruzione". Come nelle situazioni americane prima ricordate, anche per le zone terremotate aquilane il governo ha emesso decreti in base ai quali per la maggior parte della popolazione meno abbiente sarà del tutto impossibile poter ritornare nelle zone che abitavano e dovranno lasciarle in mano agli speculatori, gli stessi, a New Orleans come a Villahermosa come a L'Aquila, che hanno creato il disastro. A New Orleans quelli che avevano costruito il ridicolo sistema di contenimento delle acque che ha ceduto, a Villahermosa quelli che avevano costruito la diga miseramente crollata, a L'Aquila quelli che avevano costruito la gran parte degli edifici con materiali e criteri non propriamente "antisismici". Tutte strutture legate a doppio filo al potere politico ed economico, con sospetti di "infiltrazioni" da parte dei poteri "illegali", che ora vedono nella catastrofe un'occasione d'oro per i loro affari.
L'Aquila è una città stupenda: i decreti governativi la trasformeranno in una città turistica, senza vita, priva delle classi popolari che la hanno animata fino ad oggi: il loro destino sarà la deportazione – agevolata dalla mancata ricostruzione del tessuto produttivo e dei servizi sociali – o la vita ai margini di quella che era la loro città, in quartieri dormitorio.
Solo la nostra solidarietà in appoggio alle loro lotte può strapparli a questo futuro. È interesse di tutti noi agire in tal senso, non fosse altro perché l'Italia è un paese ad altissimo rischio sismico/vulcanico per l'80% del suo territorio e la strategia del potere che abbiamo evidenziato in queste nostre righe può abbattersi in ogni momento su ciascuno di noi.

Shevek dell'OACN-FAI

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