I governi di tutto il mondo giustificano la propria esistenza in
base all'idea che essi sarebbero la struttura di gestione della cosa
pubblica in base alle esigenze collettive, senza riguardo ad interessi
particolari. Quanto questo meccanismo di giustificazione ideologica sia
lontano dalla realtà fattuale delle cose è cosa ovvia e
scontata; il caso dell'intervento governativo in situazioni di
catastrofi naturali è, però, esemplare.
Le catastrofi dovute a cause naturali coinvolgono, salvo casi rari, un
territorio con una storia, nella quale di solito le popolazioni meno
abbienti hanno gradatamente preso possesso di tutta una serie di spazi
abitativi e/o produttivi che fanno gola alle parti ricche della
popolazione locale e/o nazionale. L'arrivo di una catastrofe naturale
rimette in gioco il tutto e qui il potere politico interviene a tutto
favore di se stesso e delle classi dominanti: una analisi comparativa
delle più recenti catastrofi avvenute all'interno delle nazioni
maggiormente industrializzate ci permetterà di evidenziare la
strategia del potere politico in questi casi e di comprendere al meglio
il comportamento del governo italiano nei confronti della situazione
aquilana.
Innanzitutto, vediamo la sottovalutazione apparente del pericolo, anche
quando questo mostra segni premonitori. Il caso aquilano potrebbe
essere ambiguo, in quanto la previsione – sostanzialmente dimostratasi
esatta – di un singolo scienziato si è inquadrata all'interno di
una generalmente riconosciuta difficoltà previsionale del
fenomeno dei terremoti. In ogni caso, però, essa ci è
stata e la reazione del potere politico è stata quella di negare
aprioristicamente che i fenomeni premonitori evidenziati potessero
comportare un grave terremoto, e che non fossero segnali certi di un
tale evento, contribuendo a creare un clima di relativa
tranquillità e non mettendo in atto una serie di misure
preventive. In altri casi, però, la cosa è stata
plateale: prendiamo i casi di New Orleans negli Stati Uniti d'America e
di Villahermosa in Messico.
Nella fine di agosto 2005 a New Orleans e dintorni la catastrofe fu
causata da un uragano, evento la cui evoluzione e pericolosità
è facilmente prevedibile: infatti, il National Hurricane Center
ed il National Weather Service previdero perfettamente il rischio cui
andavano incontro le zone interessate dal fenomeno meteorologico.
Governo e Federal Emergency Management Agency, invece, si mossero con
colpevole ritardo, dando quasi l'impressione di "desiderare" l'evento –
impressione rafforzata dal fatto che l'altra regione interessata
dall'uragano Katrina, la Florida governata dal fratello dell'allora
presidente Bush, si mosse con tempestività e ridusse al minimo i
danni. La stessa cosa avvenne nel 2007 a Villahermosa in Messico,
colpita da una grave alluvione seguita a oltre settanta giorni di
pioggia, durante i quali il governo, nonostante i più che
tempestivi allarmi, fece ben poco per prevenire quello che poi fu uno
dei peggiori disastri della storia recente della nazione
centroamericana.
Da notare fin da ora, per ciò che diremo in seguito, che sia New
Orleans sia la regione di Villahermosa erano luoghi appetibili per la
speculazione: la città nordamericana è situata in un
luogo stupendo, ben adatto al turismo, ma "infestata" da una forte e
caratterizzante popolazione nera povera; la zona messicana di
Villahermosa, invece, era caratterizzata da una agricoltura a base
familiare, che rompeva pesantemente le uova nel paniere a chi, invece,
voleva sfruttare i giacimenti di petrolio scoperti da poco proprio
sotto le piccole e medie proprietà agrarie che, per questo,
avevano assunto notevole valore e non erano facilmente espropriabili a
prezzi da fame.
A L'Aquila, immediatamente dopo il terremoto, il governo è
intervenuto fin da subito secondo sette direttrici: 1. Deportazione
delle popolazioni; 2. Chiusura della popolazione che non aveva voluto
abbandonare il territorio all'interno di campi-ghetto gestiti
militarmente da Protezione Civile e corpi di polizia e militari; 3.
"Operazione oblio" nei confronti delle responsabilità del
disastro; 4. "Operazione oblio" nei confronti delle necessità
della ripresa dell'economia locale e della ricostruzione degli spazi di
socialità collettiva; 5. Censura delle notizie rispetto alla
situazione reale delle popolazioni; 6. "Operazione distrazione",
tramite la diffusione di una enorme massa di informazioni inventate
pressoché di sana pianta rispetto al "pericolo sciacallaggio",
attribuito in particolare alle fasce extracomunitarie della popolazione
per giustificare ideologicamente la militarizzazione del territorio; 7.
Ostacolare gli aiuti spontanei delle popolazioni di altre zone della
nazione. Una strategia non certo nuova che, con le particolarità
del caso, era stata già ampiamente sperimentata nei già
citati disastri del continente americano.
Dal momento che questo volantone è dedicato proprio alla rottura
del silenzio e della disinformazione mediatica intorno alla situazione
reale delle popolazioni abruzzesi terremotate, ci limiteremo a
commentare comparativamente gli ultimi tre punti di una tale strategia
del potere politico (d'altronde i primi quattro sono sufficientemente
chiari per chi ha un minimo di ricordi degli avvenimenti del tempo).
A New Orleans le autorità locali furono costrette a mettere le
proprie forze di polizia intorno alle strutture di comunicazione verso
l'esterno che erano restate funzionanti, perché la Federal
Emergency Management Agency (la Protezione Civile USA), con scuse
risibili, le metteva continuamente fuori uso. In Italia, grazie ad un
sistema dei media generalmente asservito al potere politico, di
ciò non c'è stato bisogno – stampa e TV si sono
autocensurate senza grosse pressioni. Per rendersi conto della cosa,
è sufficiente leggere in rete i quotidiani della zona, che
sembrano bollettini di guerra, mentre il resto dei media nazionali
tacciono anche su notizie fondamentali per comprendere la reale
situazione delle popolazioni terremotate. Solo negli ultimi tempi, la
reazione e le manifestazioni dei comitati spontanei della zona, ha
rotto parzialmente il clima di censura.
A New Orleans, le popolazioni rimasero per tre giorni senza acqua
né cibo e si appropriarono nell'emergenza di tali risorse nei
magazzini accessibili – questi i "saccheggi" di cui il sistema dei
media ci riempì la testa per giorni, giustificando così
la militarizzazione del territorio ed il brutale intervento delle forze
armate nei confronti, soprattutto, della popolazione di colore,
"dimenticandosi" poi di pubblicare con altrettanta enfasi le smentite.
A L'Aquila la situazione è stata simile: per giorni ci hanno
riempito la testa di bufale su pretesi sciacallaggi, che sono risultati
inventati di sana pianta: in alcuni casi si trattava addirittura di
persone che giungevano spontaneamente a portare soccorsi con i veicoli
pieni di materiale raccolto nei loro luoghi di provenienza e che
venivano trattenute per ore in questura prima di essere rilasciate
senza troppe scuse! Nel frattempo, però, la militarizzazione del
territorio era stata giustificata ed anche qui i media che avevano
pubblicato tali notizie si sono badate bene dallo smentirle con
adeguata enfasi.
Nel continente americano si erano formati spontaneamente gruppi di
soccorritori che cercarono di intervenire e che furono letteralmente
bloccati dalla Federal Emergency Management Agency: fece scalpore, in
particolare, il blocco di numerosi camion di acqua potabile durante i
tre giorni in cui la città di New Orleans rimase assetata. A
L'Aquila tutto è stato messo sotto il controllo della Protezione
Civile ed i campi sono sotto un regime di controllo poliziesco: chi
entra lo può fare solo con adeguato permesso e rilasciando alle
autorità del campo i propri documenti – in ogni caso sono quasi
sempre proibite assemblee e discussioni.
Giungiamo ora al punto chiave: la "ricostruzione". Come nelle
situazioni americane prima ricordate, anche per le zone terremotate
aquilane il governo ha emesso decreti in base ai quali per la maggior
parte della popolazione meno abbiente sarà del tutto impossibile
poter ritornare nelle zone che abitavano e dovranno lasciarle in mano
agli speculatori, gli stessi, a New Orleans come a Villahermosa come a
L'Aquila, che hanno creato il disastro. A New Orleans quelli che
avevano costruito il ridicolo sistema di contenimento delle acque che
ha ceduto, a Villahermosa quelli che avevano costruito la diga
miseramente crollata, a L'Aquila quelli che avevano costruito la gran
parte degli edifici con materiali e criteri non propriamente
"antisismici". Tutte strutture legate a doppio filo al potere politico
ed economico, con sospetti di "infiltrazioni" da parte dei poteri
"illegali", che ora vedono nella catastrofe un'occasione d'oro per i
loro affari.
L'Aquila è una città stupenda: i decreti governativi la
trasformeranno in una città turistica, senza vita, priva delle
classi popolari che la hanno animata fino ad oggi: il loro destino
sarà la deportazione – agevolata dalla mancata ricostruzione del
tessuto produttivo e dei servizi sociali – o la vita ai margini di
quella che era la loro città, in quartieri dormitorio.
Solo la nostra solidarietà in appoggio alle loro lotte
può strapparli a questo futuro. È interesse di tutti noi
agire in tal senso, non fosse altro perché l'Italia è un
paese ad altissimo rischio sismico/vulcanico per l'80% del suo
territorio e la strategia del potere che abbiamo evidenziato in queste
nostre righe può abbattersi in ogni momento su ciascuno di noi.
Shevek dell'OACN-FAI