Umanità Nova, n.26 del 5 luglio 2009, anno 89

QUANDO FACEVAMO SCHIFO E PAURA


La presunta corrispondenza tra l'immigrazione illegale - ma più in generale alludendo al complessivo flusso migratorio - e la devianza criminale si conferma come uno degli elementi centrali di ogni politica discriminante, riproponendo tesi esposte dall'antropologia criminale di due secoli fa.
Strettamente connessa alla tematica della "sicurezza" questa correlazione - peraltro contraddetta dalle ricorrenti rilevazioni statistiche - non è patrimonio esclusivo delle forze politiche portatrici insane di ideologie antiegualitarie (soprattutto di matrice fascista e leghista), ma coinvolge anche settori della sinistra politica che, nella logica statalista e legalitaria, si ritengono in dovere di "farsi carico" delle crescenti pulsioni xenofobe.
Anche nella recente campagna elettorale, in molte occasioni, è stato possibile udire esponenti del centrosinistra attaccare le destre governative per non essere riuscite a fermare l'immigrazione clandestina, per aver rimesso in libertà i delinquenti, aver tagliato i fondi destinati alle forze di polizia e alle galere.
In altre parole, soprattutto il Pd ha cercato di accreditarsi come partito in grado di attuare una politica securitaria e contro ogni illegalismo in modo ancor più intransigente di quanto ha fatto il governo della destra. Per cui, niente di cui stupirsi se poi nelle urne si è confermata maggioritaria una cultura di destra a cui la ex-sinistra vorrebbe risultare "alternativa". Persino il tragicomico Beppe Grillo, in un comizio a Livorno a sostegno del candidato sindaco della lista civica Città Diversa (sic!), ha criticato la politica dei respingimenti attuata dal ministro Maroni, prendendosela però con l'eccessiva tolleranza governativa verso i rumeni e i rom, definiti come feccia della società.
Contro questa ormai pervasiva xenofobia che si ammanta di presunto realismo ed ipocrita correttezza politica nei confronti del "problema dell'immigrazione" che "necessita d'essere governato e regolato", torna sempre utile qualche ricordo di come anche l'immigrazione italiana negli Stati Uniti, ma anche in Germania, Francia e Svizzera, fu oggetto di identici meccanismi di criminalizzazione ed esclusione a base razziale, analoghi persino nella terminologia e negli assunti utilizzati a supporto del razzismo di stato.
Gli italiani, infatti, a cavallo tra l'800 e il 900 (ma anche successivamente) furono inseriti tra le "razze inferiori più inclini a compiere omicidi" ed altri reati gravi: negli Stati Uniti, in particolare, era del tutto normale fare riferimento a "gli istinti feroci della razza italiana", legittimando le centinaia di linciaggi di cui furono vittime gli immigrati italiani incolpati ingiustamente d'ogni delitto, così come accadde ad esempio nel giugno 1886 quando a Vicksburg un innocente connazionale venne linciato per il sospetto di aver molestato una bambina.
Nel 1903 un giornale denunciando la "discarica senza legge direttamente dai bassifondi d'Europa" raffigurò come sorci di fogna i mafiosi, i socialisti e gli anarchici che sbarcavano clandestinamente, coltello tra i denti, in territorio americano. Minacciati e perseguitati anche dal Ku Klux Klan, dagli archivi statunitensi risulta in modo inequivocabile che il 90% degli immigrati europei vittime di omicidi razzisti erano formato da italiani.
Innumerevoli furono gli appellativi dispregiativi con cui venivano chiamati i lavoratori d'origine italiana; tra questi il più esplicito fu senz'altro quello di Black dagger o Black dago (negli Usa) con cui venivano equiparati ai "negri". Talvolta, veniva compiuta un'ulteriore differenziazione tra italiani del Sud e quelli del Nord, ma persino il socialista francese Jules Guesde giunse a definire come Sarazins (saraceni) tutti gli immigrati italiani, mentre in Germania venivano definiti con il termine Cincali, con evidente assonanza con la parola Zingari.
Una pagina di storia che oggi rivediamo riproporsi, con le vittime di ieri nel ruolo rovesciato di razzisti senza vergogna né memoria.

emmerre




Per chi vuole approfondire:
- Salvatore Palidda, Mobilità umane, Raffaello Cortina Editore, Milano 2008;
- Marco Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino 2004;
- Gian Antonio Stella, L'orda, Rizzoli, Milano 2002;
- Alessandro Dal Lago, Non-persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 2004;
- Mary Gibson, Nati per il crimine, Bruno Mondadori, Milano 2004.
- Annamaria Rivera, Regole e roghi. Metamorfosi del razzismo, Ed. Dedalo, Bari 2009


QUESTO PENSAVANO DEGLI ITALIANI NEL 1912 NEGLI STATI UNITI


"Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane.
Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti.
Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina.
Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti.  
Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti.
Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.
Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.  
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali".
La relazione così prosegue: "Propongo che si privilegino i veneti e i  lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario. Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più.
La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".
 
[Il testo è tratto da una relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912 - Fonte: Rainews 24]

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