Umanità Nova, n.26 del 5 luglio 2009, anno 89

Venti di rivolta in Persia


A tre settimane dal voto in Iran si possono fare alcune riflessioni, benché non sia facile sbrogliare la matassa delle relazioni politiche e sociali che si intrecciano nel pese mediorientale. I fatti sono noti: il 12 giugno si tengono le elezioni presidenziali. I candidati sono quattro (dei 7 presentatisi 3 erano stati respinti dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione, organo dipendente dalla "guida suprema" Ali Khamenei, mentre Mohammad Khatami si era ritirato per lasciare spazio a Musavi) ma l'unica sfida reale è quella fra il presidente in carica Mahmud Ahmadinejad e Mir Hosein Musavi. In Iran vige una democrazia formale che però nasconde una teocrazia a tutti gli effetti: la "guida suprema" Ali Khamenei è al vertice della piramide politica e militare, decide di fatto coloro che possono candidarsi alla presidenza, ha il potere di sciogliere il parlamento, è a capo delle forze armate. Dietro la facciata della repubblica islamica si cela una pesante oppressione e un potere tenuto nelle mani di pochi mullah che decidono su 68 milioni di persone.
Benché le donne abbiano diritto di voto attivo e passivo, a livello sociale e giuridico vengono discriminate e represse. Sotto il governo di Ahmadinejad è stato reintrodotto l'uso obbligatorio del velo per le donne che si recano in luoghi pubblici, è stato riformato in senso peggiorativo il diritto di famiglia, concedendo molti più poteri al capofamiglia, sono stati introdotti nuovi ostacoli all'accesso a cariche pubbliche. E soprattutto è stata avviata una campagna moralizzatrice, tesa a far diventare la donna "guardiana del focolare" e sottomessa al marito. Ma dall'altra parte è cresciuto il movimento femminista: sempre più spesso le donne sono scese in piazza per rivendicare maggiori diritti e libertà, e per questo sono state represse e picchiate.
Nelle manifestazioni di queste settimane, seguite alla vittoria farsa di  Ahmadinejad, la componente femminista è importante e numerosa, ed è anche la prima a essere criminalizzata e colpita dalla polizia o dal Basij. Il Basij (letteralmente "mobilitazione", è un'abbreviazione del nome persiano corrispondente a "Forza di Resistenza e di Mobilitazione")  è una formazione paramilitare, interna e subordinata al Pasdaran, il corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche, che dipende direttamente da Khamenei.
E lo stesso Khamenei non nasconde il proprio ruolo in questa tragica partita: è schierato apertamente e fino in fondo con Ahmadinejad, per difendere i propri privilegi e quelli della sua casta clericale, contro la possibile congiura di Rafsanjani e altri Mullah. Rafsanjani fino al 13 giugno era a capo del Consiglio per il Discernimento dell'Interesse superiore, organo consultivo della guida suprema nominato dallo stesso Khamenei. Si è dimesso in polemica con lo stesso Khamenei dopo il risultato delle elezioni.
Torniamo alla notte del 12 giugno:le ore passano in modo convulso, i seggi si sono chiusi da poco, la situazione è molto incerta. Musavi annuncia la propria vittoria, affermando che la partecipazione al voto, molto più alta del solito, è un chiaro significato della sconfitta del rivale. Infatti sono moltissime le persone, uomini e donne, vecchi e giovani, che boicottano le scadenze elettorali, come opposizione alla politica esercitata dai religiosi e alle condizioni di vita e di lavoro all'interno del paese.
Ma i risultati ufficiali, usciti la mattina del 13 giugno, danno invece la vittoria ad Ahmadinejad con il 65% dei voti, mentre per Musavi viene indicato il 34% di preferenze.
Qualcosa non quadra: già durante la notte la voce circola fra gli studenti e i lavoratori, la gente comincia a radunarsi in modo spontaneo nelle piazze di Teheran, inizia a denunciare i brogli elettorali. Ma nelle strade ci sono anche gli scagnozzi del Basij, girano in auto e in moto a tutta velocità, armati di fucili e pistole, per disperdere i capannelli di persone e anticipare l'arrivo della polizia antisommossa.
Dal 13 giugno non si fermano manifestazioni e cortei spontanei, che spesso superano l'appoggio a Musavi, la denuncia di brogli e la richiesta di nuove elezioni e si scontrano dichiaratamente con il regime. A questa sete di libertà e giustizia polizia ed esercito rispondono con il pugno di ferro e con il fuoco dei fucili. La prima grande manifestazione si tiene il 16 giugno e vede la presenza di centinaia di migliaia di persone in piazza. La maggior parte con il volto coperto, ma senza armi. Quel giorno partono i primi colpi, mortali. A sparare  uomini del Basij e del Pasdaran. Il 18 giugno un altro grande fiume umano invade le strade di Teheran, benché il governo abbia proclamato il divieto a manifestare. Si piangono i morti, si grida la propria rabbia.
Altre manifestazioni si tengono a Esfahan, Najafabat, Shiraz e Busheher e in decine di città grandi e piccole. La polizia spara ancora, altri manifestanti, donne e uomini, vengono ammazzati. Benché ufficialmente siano 20 i morti accertati (di cui 8 fra i membri del Basij), le stime più prudenti parlano di oltre 250 morti fra i manifestanti, centinaia di dispersi e un numero ancora maggiore di  arrestati, a cui viene negato ogni basilare diritto. Si parla di ronde paramilitari, sempre organizzate dal Basij, che girano per le case private mettendo a soqquadro gli appartamenti, distruggendo computer e antenne paraboliche. Teheran è in stato d'assedio da giorni.
Gli studenti universitari sono fra i promotori di molte delle manifestazioni, ma anche diversi sindacati si sono schierati apertamente contro il governo: il sindacato dei conducenti di autobus ha espresso la propria solidarietà ai dimostranti. Il 26 giugno (5 Tir secondo il calendario persiano) è stata dichiarata giornata di lotta in solidarietà ai lavoratori iraniani prigionieri.
La polizia ha più volte fatto irruzione all'interno dell'Università di Teheran arrestando diversi studenti e sequestrando o spaccando i computer, ma non è riuscita a bloccare l'organizzazione delle proteste, che spesso partono proprio Ateneo cittadino. L'ultimo assalto lo ha fatto il 15 giugno, uccidendo almeno 5 studenti e ferendone decine.
Anche il Kurdistan iraniano è in rivolta: è stato proclamato lo sciopero generale e si susseguono le manifestazioni contro Ahmadinejad e Khamenei.
Il governo italiano, come in altre situazioni, gioca un doppio ruolo: da una parte deplora le violenze (non in modo troppo forte però) e accusa Ahmadinejad di antisemitismo e antiamericanismo, dall'altra fa grandi affari proprio con quel governo così razzista, a detta di Frattini. L'interscambio fra l'Iran e l'Italia raggiunge quasi i sei miliardi di euro: l'Italia importa soprattutto petrolio greggio e gas naturale, mentre esporta macchinari e attrezzature. E' il primo partner commerciale fra i paesi dell'Unione Europea. Gli affari sono affari, anche se la mano con cui vengono suggellati è sporca di sangue.

r.v.

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