A tre settimane dal voto in Iran si possono fare alcune riflessioni,
benché non sia facile sbrogliare la matassa delle relazioni
politiche e sociali che si intrecciano nel pese mediorientale. I fatti
sono noti: il 12 giugno si tengono le elezioni presidenziali. I
candidati sono quattro (dei 7 presentatisi 3 erano stati respinti dal
Consiglio dei Guardiani della Costituzione, organo dipendente dalla
"guida suprema" Ali Khamenei, mentre Mohammad Khatami si era ritirato
per lasciare spazio a Musavi) ma l'unica sfida reale è quella
fra il presidente in carica Mahmud Ahmadinejad e Mir Hosein Musavi. In
Iran vige una democrazia formale che però nasconde una teocrazia
a tutti gli effetti: la "guida suprema" Ali Khamenei è al
vertice della piramide politica e militare, decide di fatto coloro che
possono candidarsi alla presidenza, ha il potere di sciogliere il
parlamento, è a capo delle forze armate. Dietro la facciata
della repubblica islamica si cela una pesante oppressione e un potere
tenuto nelle mani di pochi mullah che decidono su 68 milioni di
persone.
Benché le donne abbiano diritto di voto attivo e passivo, a
livello sociale e giuridico vengono discriminate e represse. Sotto il
governo di Ahmadinejad è stato reintrodotto l'uso obbligatorio
del velo per le donne che si recano in luoghi pubblici, è stato
riformato in senso peggiorativo il diritto di famiglia, concedendo
molti più poteri al capofamiglia, sono stati introdotti nuovi
ostacoli all'accesso a cariche pubbliche. E soprattutto è stata
avviata una campagna moralizzatrice, tesa a far diventare la donna
"guardiana del focolare" e sottomessa al marito. Ma dall'altra parte
è cresciuto il movimento femminista: sempre più spesso le
donne sono scese in piazza per rivendicare maggiori diritti e
libertà, e per questo sono state represse e picchiate.
Nelle manifestazioni di queste settimane, seguite alla vittoria farsa
di Ahmadinejad, la componente femminista è importante e
numerosa, ed è anche la prima a essere criminalizzata e colpita
dalla polizia o dal Basij. Il Basij (letteralmente "mobilitazione",
è un'abbreviazione del nome persiano corrispondente a "Forza di
Resistenza e di Mobilitazione") è una formazione
paramilitare, interna e subordinata al Pasdaran, il corpo delle guardie
rivoluzionarie islamiche, che dipende direttamente da Khamenei.
E lo stesso Khamenei non nasconde il proprio ruolo in questa tragica
partita: è schierato apertamente e fino in fondo con
Ahmadinejad, per difendere i propri privilegi e quelli della sua casta
clericale, contro la possibile congiura di Rafsanjani e altri Mullah.
Rafsanjani fino al 13 giugno era a capo del Consiglio per il
Discernimento dell'Interesse superiore, organo consultivo della guida
suprema nominato dallo stesso Khamenei. Si è dimesso in polemica
con lo stesso Khamenei dopo il risultato delle elezioni.
Torniamo alla notte del 12 giugno:le ore passano in modo convulso, i
seggi si sono chiusi da poco, la situazione è molto incerta.
Musavi annuncia la propria vittoria, affermando che la partecipazione
al voto, molto più alta del solito, è un chiaro
significato della sconfitta del rivale. Infatti sono moltissime le
persone, uomini e donne, vecchi e giovani, che boicottano le scadenze
elettorali, come opposizione alla politica esercitata dai religiosi e
alle condizioni di vita e di lavoro all'interno del paese.
Ma i risultati ufficiali, usciti la mattina del 13 giugno, danno invece
la vittoria ad Ahmadinejad con il 65% dei voti, mentre per Musavi viene
indicato il 34% di preferenze.
Qualcosa non quadra: già durante la notte la voce circola fra
gli studenti e i lavoratori, la gente comincia a radunarsi in modo
spontaneo nelle piazze di Teheran, inizia a denunciare i brogli
elettorali. Ma nelle strade ci sono anche gli scagnozzi del Basij,
girano in auto e in moto a tutta velocità, armati di fucili e
pistole, per disperdere i capannelli di persone e anticipare l'arrivo
della polizia antisommossa.
Dal 13 giugno non si fermano manifestazioni e cortei spontanei, che
spesso superano l'appoggio a Musavi, la denuncia di brogli e la
richiesta di nuove elezioni e si scontrano dichiaratamente con il
regime. A questa sete di libertà e giustizia polizia ed esercito
rispondono con il pugno di ferro e con il fuoco dei fucili. La prima
grande manifestazione si tiene il 16 giugno e vede la presenza di
centinaia di migliaia di persone in piazza. La maggior parte con il
volto coperto, ma senza armi. Quel giorno partono i primi colpi,
mortali. A sparare uomini del Basij e del Pasdaran. Il 18 giugno
un altro grande fiume umano invade le strade di Teheran, benché
il governo abbia proclamato il divieto a manifestare. Si piangono i
morti, si grida la propria rabbia.
Altre manifestazioni si tengono a Esfahan, Najafabat, Shiraz e Busheher
e in decine di città grandi e piccole. La polizia spara ancora,
altri manifestanti, donne e uomini, vengono ammazzati. Benché
ufficialmente siano 20 i morti accertati (di cui 8 fra i membri del
Basij), le stime più prudenti parlano di oltre 250 morti fra i
manifestanti, centinaia di dispersi e un numero ancora maggiore
di arrestati, a cui viene negato ogni basilare diritto. Si parla
di ronde paramilitari, sempre organizzate dal Basij, che girano per le
case private mettendo a soqquadro gli appartamenti, distruggendo
computer e antenne paraboliche. Teheran è in stato d'assedio da
giorni.
Gli studenti universitari sono fra i promotori di molte delle
manifestazioni, ma anche diversi sindacati si sono schierati
apertamente contro il governo: il sindacato dei conducenti di autobus
ha espresso la propria solidarietà ai dimostranti. Il 26 giugno
(5 Tir secondo il calendario persiano) è stata dichiarata
giornata di lotta in solidarietà ai lavoratori iraniani
prigionieri.
La polizia ha più volte fatto irruzione all'interno
dell'Università di Teheran arrestando diversi studenti e
sequestrando o spaccando i computer, ma non è riuscita a
bloccare l'organizzazione delle proteste, che spesso partono proprio
Ateneo cittadino. L'ultimo assalto lo ha fatto il 15 giugno, uccidendo
almeno 5 studenti e ferendone decine.
Anche il Kurdistan iraniano è in rivolta: è stato
proclamato lo sciopero generale e si susseguono le manifestazioni
contro Ahmadinejad e Khamenei.
Il governo italiano, come in altre situazioni, gioca un doppio ruolo:
da una parte deplora le violenze (non in modo troppo forte però)
e accusa Ahmadinejad di antisemitismo e antiamericanismo, dall'altra fa
grandi affari proprio con quel governo così razzista, a detta di
Frattini. L'interscambio fra l'Iran e l'Italia raggiunge quasi i sei
miliardi di euro: l'Italia importa soprattutto petrolio greggio e gas
naturale, mentre esporta macchinari e attrezzature. E' il primo partner
commerciale fra i paesi dell'Unione Europea. Gli affari sono affari,
anche se la mano con cui vengono suggellati è sporca di sangue.
r.v.