Non c'è articolo, in questo numero di Umanità Nova,
che non sappia descrivere lo stato di barbarie di chi vive in Italia e
affronta quotidianamente sul posto di lavoro, nel territorio in cui
abita, nelle relazioni sociali comunemente intrattenute, il clima
d'insofferenza, fastidio e razzismo dilagante. Addirittura, pare che al
peggio ci si è abituati in quanto il rimedio – l'abbiamo
già scritto – è ancor più nocivo e foriero di
soluzioni incivili, disumane, bestiali. Ormai la sicurezza per pochi
è diventata l'insicurezza per i più, e se i provvedimenti
politico-ammistrativi assunti dal governo centrale, così come da
quelli periferici, sono tesi ad assicurare e rassicurare i cittadini,
la costante militarizzazione del territorio attraverso le sue
molteplici forme assunte in questi ultimi anni (dai militari, alle
ronde, alla Protezione civile, ai presidi sanitari, ai distretti
scolastici…) ha fatto di questo paese, l'Italia, un paese che normale
non è più.
Non è più normale iscrivere i propri figli a scuola,
recarsi in un ambulatorio medico, richiedere un qualsiasi atto
amministrativo, stipulare un contratto d'affitto, farsi regolarmente
assumere da un datore di lavoro, ritrovarsi fra amici e bighellonare in
giro, replicare ai mille soprusi quotidiani da parte degli uomini che
non smettono mai di indossare una qualsiasi divisa, soprattutto a casa,
fra le quattro pareti domestiche… Non è più!
In questo paese, l'Italia, che normale non è più, alla
fine o si diventa complici, o ci si sente clandestini, poiché in
uno stato di anormalità quale quello presente, ciò che
stabilisce la regola, il diritto, il dovere, è il sopruso del
più forte, di chi comanda e controlla l'emergenza. E l'emergenza
è la condizione più normale di un paese, l'Italia, che
normale non è più.
Ma come si è potuti giungere ad una simile situazione? Quali
sono state le prime avvisaglie di un degrado civile e morale che ha
fatto del Bel Paese il laboratorio di una forma di regime, la
democratura, fondata sui furbetti del quartiere, sulle veline e sui
loro papponi, in cui la politica del fare ha definitivamente obnubilato
qualsiasi pensiero politico?
Si sa: l'Italia è sempre stata una sorta di "Repubblica delle
banane" e il secondo dopoguerra sino alla caduta del Muro di Berlino ha
visto lo Stivale essere il luogo prescelto della strategia della
tensione, dei golpe strisciante e della struttura paramilitare Gladio,
pronta ad intervenire nel caso il partito comunista più forte
dell'Europa occidentale, uscisse dalle urne elettorali con la
maggioranza assoluta. Ma ben più che l'esempio cileno, fu
sufficiente ai dirigenti comunisti nostrani divenire progressivamente
partecipi del potere amministrativo locale, assumerne il controllo e la
gestione economica, per dimenticare e perdere la bussola della
"questione morale", con buona pace dei nostalgici di Enrico Berlinguer,
il primo ad accettare – attraverso il "compromesso storico" – la
corresponsabilità della gestione affaristica della politica
democristiana. In tal modo arrivarono gli anni '90, gli anni del
passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, segnati non dalla
rottura, ma dalla continuità della politica del fare (affari),
definitivamente libera da qualsiasi pensiero politico (ideologico), e
del tutto corrispondente all'idea piduista di un Italia moderna, legata
ai poteri finanziario-mediatici. In altre parole al "berlusconismo", di
cui i leaders politici di tutti i partiti cercarono di coglierne la
trasformazione in atto sino a trasformarsi a loro volta in una copia
dell'originale, al punto che la scelta dell'elettorato ricadde –
ovviamente – sul più imitato dagli italiani: il cavalier
Silvio.
Così l'Italia poté orgogliosamente sentirsi di destra, e
la sinistra pure, con tanto di amor patrio, di federalismo egoistico,
di giustizialismo partigiano, di perbenismo borghese e pruriginoso. Da
qui il declino nel baratro dei nostri giorni quotidiani; e il "decreto
sicurezza" recentemente approvato dal Senato è il risultato di
un clima politico-culturale che – al di là delle
rispettive posizioni assunte da maggioranza ed opposizione parlamentare
– dimostra lo stato di barbarie raggiunto da un Paese, l'Italia, che
normale non è più. Non solo per chi è clandestino,
ma anche per chi volontariamente si sente clandestino ogni qual volta
difende la propria e l'altrui dignità di fronte ad ogni sopruso
commesso in nome della legalità e della sicurezza di chi
amministra il potere.
Lo dimostrano i fatti accaduti in questi ultimi giorni e che accadranno
nei prossimi. Dalla manifestazione di Vicenza, agli arresti spoletini e
degli studenti dell'onda, alle tante e piccole provocazioni che
susseguiranno in vista del prossimo G8, appare evidente che esprimere
il proprio fermo e deciso no all'imbarbarimento della società
trasformata sempre più in una fortezza assediata, non
potrà trovare mediazioni possibili da parte di chi si sente
investito del ruolo di carceriere e come tale si comporta a difesa dei
loro padroni. Inevitabile sarà dunque la forza di chi
saprà praticare la libertà, sfuggendo dal recinto che lo
vorrebbe oltre che succube, anche utile idiota.
gianfranco marelli