Umanità Nova, n.27 del 12 luglio 2009, anno 89

L'Italia, un Paese che normale non è più


Non c'è articolo, in questo numero di Umanità Nova, che non sappia descrivere lo stato di barbarie di chi vive in Italia e affronta quotidianamente sul posto di lavoro, nel territorio in cui abita, nelle relazioni sociali comunemente intrattenute, il clima d'insofferenza, fastidio e razzismo dilagante. Addirittura, pare che al peggio ci si è abituati in quanto il rimedio – l'abbiamo già scritto – è ancor più nocivo e foriero di soluzioni incivili, disumane, bestiali. Ormai la sicurezza per pochi è diventata l'insicurezza per i più, e se i provvedimenti politico-ammistrativi assunti dal governo centrale, così come da quelli periferici, sono tesi ad assicurare e rassicurare i cittadini, la costante militarizzazione del territorio attraverso le sue molteplici forme assunte in questi ultimi anni (dai militari, alle ronde, alla Protezione civile, ai presidi sanitari, ai distretti scolastici…) ha fatto di questo paese, l'Italia, un paese che normale non è più.
Non è più normale iscrivere i propri figli a scuola, recarsi in un ambulatorio medico, richiedere un qualsiasi atto amministrativo, stipulare un contratto d'affitto, farsi regolarmente assumere da un datore di lavoro, ritrovarsi fra amici e bighellonare in giro, replicare ai mille soprusi quotidiani da parte degli uomini che non smettono mai di indossare una qualsiasi divisa, soprattutto a casa, fra le quattro pareti domestiche… Non è più!
In questo paese, l'Italia, che normale non è più, alla fine o si diventa complici, o ci si sente clandestini, poiché in uno stato di anormalità quale quello presente, ciò che stabilisce la regola, il diritto, il dovere, è il sopruso del più forte, di chi comanda e controlla l'emergenza. E l'emergenza è la condizione più normale di un paese, l'Italia, che normale non è più.
Ma come si è potuti giungere ad una simile situazione? Quali sono state le prime avvisaglie di un degrado civile e morale che ha fatto del Bel Paese il laboratorio di una forma di regime, la democratura, fondata sui furbetti del quartiere, sulle veline e sui loro papponi, in cui la politica del fare ha definitivamente obnubilato qualsiasi pensiero politico?
Si sa: l'Italia è sempre stata una sorta di "Repubblica delle banane" e il secondo dopoguerra sino alla caduta del Muro di Berlino ha visto lo Stivale essere il luogo prescelto della strategia della tensione, dei golpe strisciante e della struttura paramilitare Gladio, pronta ad intervenire nel caso il partito comunista più forte dell'Europa occidentale, uscisse dalle urne elettorali con la maggioranza assoluta. Ma ben più che l'esempio cileno, fu sufficiente ai dirigenti comunisti nostrani divenire progressivamente partecipi del potere amministrativo locale, assumerne il controllo e la gestione economica, per dimenticare e perdere la bussola della "questione morale", con buona pace dei nostalgici di Enrico Berlinguer, il primo ad accettare – attraverso il "compromesso storico" – la corresponsabilità della gestione affaristica della politica democristiana. In tal modo arrivarono gli anni '90, gli anni del passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, segnati non dalla rottura, ma dalla continuità della politica del fare (affari), definitivamente libera da qualsiasi pensiero politico (ideologico), e del tutto corrispondente all'idea piduista di un Italia moderna, legata ai poteri finanziario-mediatici. In altre parole al "berlusconismo", di cui i leaders politici di tutti i partiti cercarono di coglierne la trasformazione in atto sino a trasformarsi a loro volta in una copia dell'originale, al punto che la scelta dell'elettorato ricadde – ovviamente –  sul più imitato dagli italiani: il cavalier Silvio.
Così l'Italia poté orgogliosamente sentirsi di destra, e la sinistra pure, con tanto di amor patrio, di federalismo egoistico, di giustizialismo partigiano, di perbenismo borghese e pruriginoso. Da qui il declino nel baratro dei nostri giorni quotidiani; e il "decreto sicurezza" recentemente approvato dal Senato è il risultato di un clima politico-culturale  che – al di là delle rispettive posizioni assunte da maggioranza ed opposizione parlamentare – dimostra lo stato di barbarie raggiunto da un Paese, l'Italia, che normale non è più. Non solo per chi è clandestino, ma anche per chi volontariamente si sente clandestino ogni qual volta difende la propria e l'altrui dignità di fronte ad ogni sopruso commesso in nome della legalità e della sicurezza di chi amministra il potere.
Lo dimostrano i fatti accaduti in questi ultimi giorni e che accadranno nei prossimi. Dalla manifestazione di Vicenza, agli arresti spoletini e degli studenti dell'onda, alle tante e piccole provocazioni che susseguiranno in vista del prossimo G8, appare evidente che esprimere il proprio fermo e deciso no all'imbarbarimento della società trasformata sempre più in una fortezza assediata, non potrà trovare mediazioni possibili da parte di chi si sente investito del ruolo di carceriere e come tale si comporta a difesa dei loro padroni. Inevitabile sarà dunque la forza di chi saprà praticare la libertà, sfuggendo dal recinto che lo vorrebbe oltre che succube, anche utile idiota.

gianfranco marelli

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