Umanità Nova, n.27 del 12 luglio 2009, anno 89

informAzione - 1


Vicenza. lo stato mostra i muscoli

Il corteo indetto per sabato 4 luglio dal Presidio permanente contro il Dal Molin aveva un obiettivo ambizioso: entrare nel perimetro dell'aereoporto dove da mesi sono iniziati i lavori della nuova base militare. La giornata era la prima grossa iniziativa da quando le ruspe si sono messe al lavoro: i tentativi di blocco dei cantieri mesi fa non ebbero gran fortuna. Il sindaco di Vicenza del centro-sinistra (eletto solo grazie ai voti dei nodalmolin) dopo un'iniziale ambiguità ha subito calato la maschera parlando di compensazioni (una fermata della TAV a Vicenza!), progetti alternativi ecc.
Dichiarazioni pesanti su cui gran parte del movimento vicentino è stato fin troppo silente.
I tentativi (anche questi illusori) di dialogo con la nuova amministrazione americana per non fare la base si sono rivelati inutili. Da qui il tentativo di rilanciare la questione della base con un'iniziativa forte e di massa. Troppo tardi? Troppe illusioni filo-istituzionali e errori nel corso di questi anni da parte del Presidio? Interrogativi importanti su cui è difficile dare una risposta semplice.
In ogni caso sabato circa 10.000 persone si sono ritrovate ancora una volta per dire no alle basi di guerra sfidando il caldo e una paurosa militarizzazione della città. Come per le altre volte la manifestazione era molto composita: vicentini senza appartenenze, pacifisti, comitati NOTAV, centri sociali (disobbedienti e autonomi), partiti e partitini della sinistra ecc. Presenti in ordine sparso con bandiere e diffusione della stampa anche alcune decine di anarchici. L'unico piccolo spezzone rossonero era quello di una quindicina di militanti dell'fdca. La stragrande maggioranza degli anarchici ha scelto di non partecipare per marcare una distanza dalla gestione dei disobbedienti della lotta e dalle scelte elettoraliste del presidio.
La città e in particolare l'area intorno all'aereoporto sono stati occupati da oltre un migliaio di sbirri e carabinieri. Tutti i pullman diretti alla manifestazione e le auto venivano fermati e perquisiti. Ben due elicotteri hanno per tutta la giornata sorvolato a bassa quota la zona. Il corteo dopo essere arrivato al presidio permanente trova schierati dopo il ponte che immette sulla via che costeggia l'aereoporto i carabinieri del battaglione tuscania in assetto antisommossa che bloccano la strada.
A quel punto la testa del corteo costituita dai militanti dei centri sociali (area disobbedienti ma non solo) tenta di sfondare con scudi ed estintori il cordone dei caramba per far poi passare il corteo.
Parte la carica con ampio uso di gas urticanti e una nuova schiuma irritante per la pelle sulle prime file. La testa del corteo risponde con pietre e alcune bombe carta. Dopo vari minuti di fronteggiamento i manifestanti retrocedono e i carabinieri riconquistano il ponte. Nel frattempo la coda del corteo tenta un blitz da dietro guadando un fiumiciattolo e tentando di arrivare alla rete: anche qui però la sbirraglia ha la meglio. Si capisce che non c'è nessuna possibilità di entrare nella base a meno di non voler cercare il massacro. A questo punto le prime file di "sfondamento" si ritirano e dopo una lunga trattativa il corteo con le donne in testa riparte con le forze del disordine che arretrano attestandosi dentro la base. Durante tutto il percorso da tutte le case intorno la gente sventola bandiere nodalmolin e offre acqua ai manifestanti. La giornata si conclude sotto una pioggia torrenziale. E' difficile fare un bilancio oggettivo di questa giornata: il movimento contro la base ha dimostrato di essere ancora attivo e radicato sul territorio e di godere ancora di ampi appoggi. Del resto però ormai, anche se la voglia di lottare non manca, la battaglia per fermare i lavori è sempre più in salita.

Un compagno della FAI presente

Milano. In sciopero della fame i detenuti di via Corelli

I detenuti delle sezioni maschili del Centro di identificazione ed espulsione di via Corelli, dalla mattina del 3 luglio sono in sciopero della fame contro l'approvazione del nuovo decreto sicurezza da parte del Parlamento italiano.
Dal giorno dopo, la Croce Rossa, prendendo a pretesto la nuova legge, non ha distribuito più ciò che finora veniva fornito gratuitamente ai detenuti, cioè 10 sigarette alla settimana e, soprattutto, la ricarica telefonica settimanale di 5 euro. Ora, dicono i crocerossini e le crocerossine, i detenuti "devono farsi aiutare dai parenti perché quelle spese lo Stato non le sostiene più".
Ma il fatto è che questo non è che uno dei modi con cui essi stessi intralciano le telefonate e ogni comunicazione dei detenuti con l'esterno e tra di loro. Essi vogliono in tutti i modi fare sprofondare nel silenzio la situazione di Corelli e degli altri Cie, tanto è vergognoso ciò che vi accade, e l'operato loro, dei poliziotti e dei militari di scorta!
È necessario dare sostegno e risonanza alla lotta dei detenuti, che è la prima risposta politica di rilievo a questa legge infame e all'ancora più infame condizione che essa impone.
Occorre che  il messaggio lanciato dai prigionieri di via Corelli circoli e serva a unire persone di ogni Paese e colore tanto contro i professionisti dell'allarme sociale, che contrattano coi loro compari marocchini e libici "l'esternalizzazione dell'internamento", cioè la costruzione di altri campi oltremare in cui confinare clandestini, tanto contro tutto ciò che trascina la vita in un'esistenza miserabile costruita con le arti feroci della legge, del ricatto, della persecuzione razziale, dello sfruttamento, della guerra.
Nella nottata di domenica i reclusi di una sezione si sono rifiutati di rientrare nelle celle e alcuni di loro hanno guadagnano il tetto del CIE per tentare la fuga. La polizia è intervenuta e ha impedito l'evasione, dando poi il via a una perquisizione nei corridoi della sezione. Già nel pomeriggio la protesta aveva iniziato a radicalizzarsi, alcuni detenuti in sciopero della fame avevano iniziato a danneggiare la struttura di fronte ad una situazione che non accennava a migliorare e al peggiorare delle condizioni fisiche di alcuni scioperanti. Importante sostenere la lotta portando acqua e bibite al CIE (l'orario di consegna dei pacchi in Corelli va dalle 15 alle 18).

Milano. Sabato 4 luglio Presidio in viale Padova

Circa 100 persone si sono trovate in viale Padova  a Milano per esprimere la voce della protesta e della rivolta che veniva dal CIE di via Corelli.
90 immigrati dal giorno prima erano in sciopero della fame per protestare contro  il pacchetto sicurezza, legge infame voluta da una banda di criminali che di mestiere fanno i governanti al soldo di affaristi, fascisti e golpisti. Fino alle 17 di  sabato erano sui tetti poi sono scesi e hanno cominciato a battere. Attualmente sono ancora in sciopero.
Il tempo della pazienza è terminato: da Milano a Gradisca, da Torino a Pantelleria non potrà esserci più un giorno di pace. Il presidio è andato avanti fino alle 21 facendo sentire le voci in diretta degli immigrati detenuti. Molti lavoratori immigrati e italiani si sono avvicinati per discutere e informarsi e prendere contatti.
In questa sede le persone che partecipavano spontaneamente hanno deciso una manifestazione antirazzista per domenica 12 luglio con partenza alle 16.30. Il concentramento sarà sempre al parchetto di viale Padova angolo Via Arquà

Comitato Antirazzista Milanese

Milano. Foglio di via (allo stato)

Come sempre quando le lotte cominciano a pagare, il consenso allo stato viene meno sia nei quartieri, sia nei posti di lavoro;  quando l'autorganizzazione si fa sentire in modo attivo e rompe le  logiche logore della rappresentanza politica, si muove la macchina poliziesca e repressiva.
Il Comitato Antirazzista Milanese nella sua breve vita (ha superato l'anno di attività)  ha dimostrato la possibilità  e l'efficacia della lotta e dell'autorganizzazione dal basso (degli  immigrati, ma non solo). Ha dimostrato che si possono e si devono superare le  vecchie e logore logiche di appartenenza politica per unirsi invece su obiettivi condivisi e praticabili, come quello di combattere le logiche razziste, securitarie e militariste imposte dallo stato, e promuovere e sostenere, ovunque sia possibile, l'autorganizzazione e la solidarietà di classe fra gli sfruttati, fuori e contro qualsiasi logica istituzionale.
Fabio Zerbini, compagno del Comitato Antirazzista Milanese, proprio nei giorni in cui la lotta dei rifugiati sgomberati da Bruzzano tornava a infiammare la piazza milanese, dopo i segnali di rivolta lanciati otto mesi prima dagli amici di Abba, ha ricevuto dalla questura il "foglio di via".
In precedenza si era espresso un calunnioso attacco mediatico da parte della stampa, soprattutto il Corriere della Sera e Il Giornale, finalizzato a preparare il terreno per questa preventiva misura di polizia che fa parte di quell'ampio armamentario di procedimenti  con cui, da sempre, lo stato cerca di intimidire criminalizzare e colpire interi collettivi e la loro iniziativa politica, cercando di isolarla dai possibili movimenti di massa.
Non è estraneo neppure l'uso della "personificazione": trovare un capo e buttarlo in pasto alla cosiddetta opinione pubblica, soprattutto in situazioni dove i capi non ci sono e non rendono penetrabili le solite ragioni politiche tanto care al potere.
Sicuramente il foglio di via dato a Fabio non è il primo e non sarà l'ultimo, ma affermiamo il diritto all'intervento politico sempre, comunque e dovunque, e per chiunque lotti per i diritti degli esseri umani e la loro liberazione dallo sfruttamento.  Inoltre, davanti ad un'evidente accelerazione delle logiche di repressione preventiva, alimentate dalla "crisi" che si abbatte sulle classi subalterne, questo diventa un passaggio fondamentale per difendere l'agibilità delle lotte di tutti e tutte. Lotte senza le quali non c'è futuro possibile se non l'estendersi del triste scenario già ben evidente in alcuni quartieri di Milano, dove la presenza asfissiante di uomini armati di ogni genere ricorda molto più teatri di guerra quali Kabul e Beirut, che non una inesistente "società civile".
Il 9 luglio si terrà la prima udienza relativa al foglio di via che la questura milanese ha emesso contro Fabio Zerbini.
Ed è su queste basi, e con questo spirito, che chiamiamo a un presidio unitario per giovedì 9 luglio presso il TAR in via Conservatorio angolo Monforte, quando i giudici decideranno se accettare o meno la richiesta di sospensiva del provvedimento.

Anto
Comitato Antirazzista Milanese

Pianezza (TO). Scritte alla FATA che fa affari con L'Iran

"FATA complice degli assassini in Iran": questa scritta campeggia sul muro dello stabilimento FATA di Pianezza. Sulle cancellate nella notte tra il 30 giugno e il primo luglio hanno fatto la loro comparsa anche due striscioni, in italiano e in persiano. Vi si legge "Solidali con la rivolta in Iran" e, in persiano, "Ali Khamenei = Pinochet", "Regime dittatoriale", "Solidarietà al popolo iraniano". Sotto una grande A cerchiata "libertà" in persiano.
Un fotografo di passaggio ha fatto qualche scatto. Li trovate qui:
http://piemonte.indymedia.org/article/5302
Nel pomeriggio in via Po si era tenuto un punto info solidale organizzato dalla FAI torinese.
La FATA, sin dal 2003, ha forti interessi in Iran, dove sta realizzando un impianto di oltre 300 milioni di euro per la produzione di alluminio primario a Bandar Abbas, nel sud del paese. A Teheran ha persino aperto un ufficio, per gestire direttamente i propri affari.
Sino al 2005 amministratore delegato di FATA è stato Ignazio Moncada. È a lui che si deve l'avvio delle relazioni d'affari con la Repubblica Islamica. Moncada, che dopo l'acquisizione di FATA da parte di Finmeccanica, resta con la qualifica di direttore generale, è l'uomo giusto al posto giusto.
Inizia la sua carriera nei servizi segreti, alle dipendenze del generale Gianadelio Maletti, uno che di affari sporchi e sporchissimi ne ha trattati parecchi. Era l'epoca della stragi e dei tentati golpe: Maletti governava il Sid quando in piazza Fontana una bomba di Stato fece 16 morti.
Moncada, approdato a Torino con l'incarico di monitorare le ditte con interessi in URSS, è uno che attraversa i più importanti affari all'ombra della Mole, uscendo miracolosamente illeso da tutte le tangentopoli subalpine.
Un uomo di pochi scrupoli come ogni manager che si rispetti. Uno che il business lo fa con tutti perché i soldi non puzzano mai.
Il governo italiano con volgare ipocrisia a parole biasima la repressione in atto in Iran, nei fatti continua a fare affari con la Repubblica degli Ayatollah.
In questi anni il volume degli scambi tra Italia a Iran è costantemente aumentato. Dopo le sanzioni decretate dall'ONU, dopo le esternazioni antisemite e revisioniste di Ahmadjneiad, dopo la questione delle centrali nucleari, il governo del nostro paese ha duramente condannato l'Iran a parole, nei fatti ha continuato a sostenere le industrie italiane impegnate in quel paese.
Nel 2007, con un interscambio complessivo di 5,7 miliardi di euro, l'Italia è stata, tra i paesi dell'Unione Europea, il primo partner commerciale dell'Iran. Le importazioni, per l'80% petrolifere, sono state pari a 3,9 miliardi, contro esportazioni per 1,8 miliardi.
Nel giugno del 2008 si è svolto a Roma il vertice FAO cui ha partecipato anche il presidente iraniano Ahamadjnejad. In quell'occasione Berlusconi ha rifiutato di ricevere a palazzo Chigi il "novello Hitler". Peccato che negli stessi giorni il "novello Hitler" incontrasse, sempre a Roma, alcuni top manager di importanti aziende pubbliche italiane, come l'Ansaldo e la Fata del gruppo Finmeccanica.
L'Iran è ricco di petrolio e gas, il quarto produttore di greggio al mondo: le imprese italiane ci fanno affari da anni. I soldi non puzzano di sangue e la politica non deve permettersi di interferire.
Anzi!
Ai nobili sostenitori del libero mercato vale la pena ricordare che l'economia iraniana è all'80% in mano alla leadership politico-religiosa, poiché in base all'articolo 44 della Costituzione khomenista "industria di larga scala, commercio estero, minerali, banche, assicurazione, energia, telecomunicazioni, infrastrutture civili e industriali" sono di proprietà pubblica ed amministrati dallo stato. Il rubinetto del petrolio e del gas è in mano ai preti, così come le scelte di partnership commerciale che tanto stanno a cuore ai capitalisti nostrani.
I ribelli persiani che in questi giorni rischiano la vita nelle strade del loro paese valgono solo una formale dichiarazione di "preoccupazione" del ministro degli esteri Frattini, che il 21 giugno dice "che l'Occidente deve scegliere". Occhio e croce il governo italiano ha già scelto. La scelta di sempre. Quella che ogni giorno viene fatta anche sulla pelle dei lavoratori italiani: dalla parte dei padroni e del loro affari.
Nel volantino distribuito la FAI torinese concludeva: "Noi, nel solidarizzare con i manifestanti iraniani, non possiamo che augurarci che la lotta, che in questi giorni ha investito anche banche e uffici pubblici, sappia far crescere la consapevolezza che la libertà, quella vera, non è scegliere il politico o il prete giusto ma cacciare via tutti i preti e tutti i governi."

R. Em.

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