Lo scorso 19 maggio alcune migliaia di studenti contestano il neonato vertice G8 sull'Università.
40 rettori di 19 paesi si erano dati appuntamento a Torino per
discettare del ruolo dell'accademia all'interno della crescita
economica(?) e dello "sviluppo sostenibile" capitalista. Una solenne
pagliacciata volta in realtà a stringere ancor più le
maglie a quel processo chiamato "di Bologna" ma in realtà
europeo che mira a smantellare definitivamente l'università
pubblica. Una provocazione bella e buona condita di immancabile "zona
rossa" e blindata da un numero consistente di forze dell'ordine. Al
tentativo degli studenti di violare, seppur simbolicamente, la zona
rossa sono partite le cariche della polizia e i lacrimogeni: i
manifestanti hanno risposto difendendo il corteo con estintori e
qualche cassonetto rovesciato. Un paio di minuti di bagarre che costano
due arresti e che sei mesi dopo le mobilitazioni autunnali,
vogliono dar un segnale: la protesta contro la devastazione del sistema
universitario non si ferma. Perché la questione è proprio
questa: a quasi un anno dal blitz estivo di Tremonti (tagli ai fondi di
funzionamento ordinario, legge n. 133 del 6 agosto 2008), la "riforma
Gelmini" rimane intatta nelle sue linee guida, in primis, quella di
trasformare le università pubbliche in fondazioni di diritto
privato, ossequienti quindi ai voleri di gruppi industriali, banche,
della chiesa. La cosiddetta onda ha portato avanti proteste, più
o meno radicali, tanto contro questi tagli quanto contro l'attuale
gestione clientelistica e baronale delle università.
Quasi due mesi dopo, all'alba del 6 luglio, la magistratura torinese –
guidata dal ben noto Gian Carlo Caselli – dispone ventuno misure di
custodia cautelare di cui sedici in carcere, effettuando svariate
perquisizioni in abitazioni private e centri sociali tra Torino,
Padova, Bologna e Napoli. A nessuno sfugge che nel giro di un paio di
giorni sarebbe cominciato il G8 abruzzese su cui tanto il governo aveva
investito politicamente. Nemmeno alla magistratura: infatti, al di
là dei reati contestati - resistenza aggravata, lesioni ecc. -
le motivazioni degli arresti, nemmeno troppo velate, sono proprio che
gli studenti potrebbero reiterare il reato durante le mobilitazioni
anti G8.
Durante il ventennio quando il Duce o altre "altissime
personalità" del regime andavano in visita in qualche
città, i sovversivi locali venivano prelevati con qualche giorno
di anticipo dalle loro case o dal posto di lavoro e spediti in
gattabuia. "Da arrestare in determinate circostanze": coloro che erano
considerate dal regime "persone pericolose" rientravano in questa
particolare lista. Il democratico Caselli fa il paio con il leghista
Maroni e insieme non mostrano nessuno scrupolo a rinchiudere
preventivamente degli studenti perché ritenuti "pericolosi".
In attesa che giovedì 16 luglio il tribunale del riesame
decida se revocare o no le misure, è evidente che oggi, proprio
come una volta, assistiamo a un progressivo restringimento degli spazi
di libertà. Nel vivo di una grave crisi sociale, lo Stato
aumenta il suo controllo e lancia segni chiarissimi, inequivocabili.
Chi protesta, chi non acconsente a essere quotidianamente becco e
bastonato, è un criminale e come tale va trattato. Bastonati e
becchi, perché oltre al danno c'è anche la beffa: per
invogliare gli studenti a versare fior di quattrini di tasse
d'iscrizione, le università del polo romagnolo hanno ideato un
manifesto raffigurante quattro prosperose "veline" accompagnate dal
seguente slogan "il massimo per i tuoi studi universitari".
L'Università è una merce che si vende, come tutte le
altre, attraverso una pubblicità sessista. Ancora: visto che,
come è ben noto a tutti, uno dei principali problemi della
società sono le scritte sui muri, il neo sindaco di Bologna sta
varando un grande piano di pulizie generali. Il suo vice, tal Merighi,
ha proposto - seriamente - che siano gli studenti a pulire
e che vengano ripagati attraverso crediti CFU. Meglio che dare un
esame! Viene il dubbio che per i governanti del 2000 la
democrazia perfetta sia quella nella quale è diritto/dovere
mettere la crocetta una tantum e questo sia l'unico, risibile, mezzo
per "dire la propria". Per il resto si è sfruttati e presi per
il culo, mentre ogni manifestazione di dissenso sarà severamente
repressa.
A. Soto