Mazzette da 20, 50 e 100 euro sporche di sangue, sacchi di monete e
una larga pozza rossa sono comparse nella notte dell'8 luglio di fronte
all'ingresso dell'Unione Industriali in via Fanti a Torino. Sulla
cancellata della palazzina che ospita l'organizzazione dei padroni
della città uno striscione bianco con la scritta "G8: guerra,
schiavitù, oppressione", siglato FAI.
Sangue e soldi sul palazzo dei padroni, la cifra di un mondo diviso tra
chi ha troppo e chi nulla, chi comanda e chi è obbligato a
chinare la testa, ma anche il segno della lotta e della resistenza che,
ogni giorno, in ogni dove, vede gli ultimi alzare la testa.
I carabinieri dei Ros, che tengono d'occhio la casa dei padroni, hanno
fermato sei anarchici che passeggiavano in via Fanti, trattenendoli per
oltre quattro ore.
Nella notte il nucleo di pronto intervento dell'Amiat ha provveduto a
ripulire del "sangue" il marciapiede di fronte all'Unione Industriali.
Niente deve sporcare il palazzo dei padroni. Certo non basta un idrante
a cancellare il sangue, il sudore, la sofferenza, la schiavitù
dei miliardi di esseri umani, vittime delle politiche degli 8 criminali
che oggi si riuniscono all'Aquila.
Qualche foto dell'azione alla Confindustria a quest'indirizzo:http://piemonte.indymedia.org/article/5381
Nel pomeriggio del 7 luglio in via Po vi era stato un punto info contro
il G8. In quell'occasione è stato diffuso un testo sul G8
all'Aquila "il girotondo dei padroni del mondo".
[…]
R. Em.
Lunedì 6 luglio. I media lo hanno sponsorizzato per un paio
di giorni, hanno volantinato in tutte le buche, eppure il nuovo
comitato razzista a Borgo Po è stato un autentico flop. Alla
notizia della decisione del prefetto Padoin di "spostare" nell'ex
caserma di via Asti i profughi che occupano l'ex clinica S. Paolo in
corso Peschiera, qualche residente ha invitato la gente a impegnarsi
contro la presenza dei profughi nel loro quartiere, "il più chic
di Torino".
Nello studio dell'avvocato Guidone, in corso Quintino Sella 14,
all'appuntamento fissato dai razzisti, si sono presentate non
più di 40 persone.
Non potevano mancare gli antirazzisti. Un gruppetto si è
radunato davanti alla Gran Madre. Fatto al volo uno striscione con la
scritta "Via i razzisti dai quartieri – casa per tutti" sono partiti
per un giro per le strade, distribuendo volantini e sostando negli
angoli per comizi volanti e discussioni con la gente.
Molti hanno solidarizzato con la protesta e si sono complimentati per
l'iniziativa, altri sono filati via, con alcuni sono partiti confronti
anche serrati.
In via Monferrato il titolare dell'omonimo ristorante, Carlo Foradini,
è sulla porta. Nei giorni precedenti aveva dichiarato a La
Stampa «Stendiamo un velo pietoso. I profughi porteranno gazzarra
e disordine. Non ho nulla contro gli extracomunitari, alcuni lavorano
anche da noi, ma in questo caso si tratta di nullafacenti». Gli
antirazzisti gli chiedono conferma delle sue dichiarazioni e Foradini
dice "io non sono razzista, ma quelli sono nullafacenti
costituzionali". Della serie "non sono io che sono razzista, sono loro
che sono negri". Il razzismo, quello vero, profondo, viscerale, ha il
candore feroce di rendere le vittime responsabili delle persecuzioni
che subiscono.
Fatto un breve comizio davanti al ristorante gli antirazzisti si
dirigono in corso Quintino Sella tallonati dalla Digos con i telefonini
in ebollizione.
Davanti allo studio dell'avvocato Guidone sostano, ben guardati dalla
polizia, alcuni noti esponenti dei comitati razzisti della
città, veri professionisti incontrati più volte in Borgo
Aurora e Barriera di Milano. All'arrivo degli antirazzisti due signore
eleganti si staccano e dicono perentoriamente "sia chiaro: noi siamo
con voi, non con loro". Più tardi anche altri ci diranno che
erano "venuti a sentire" ma non erano certo d'accordo "con quelli
là".
Lo striscione viene aperto in strada, davanti all'ingresso. Alcuni
gridano "Fuori i razzisti dai quartieri", altri distribuiscono
volantini, altri ancora parlano con la gente.
Una compagna invita i presenti a guardare negli occhi uomini, donne e
bambini fuggiti dalla guerra, dalle persecuzioni, dal deserto, dalle
prigioni libiche, per trovare un paese a "braccia chiuse".
La promotrice della riunione nega con veemenza di essere razzista,
sostenendo che lei si limita a mettere in dubbio l'idoneità del
luogo. È una razzista pragmatica: da qualche parte li mettano
pure ma non sotto casa sua.
A nessuno viene in mente che i duecento rifugiati e profughi di corso
Peschiera forse non vogliono essere "messi" da qualche parte, forse,
come tutti noi, vorrebbero avere voce sul proprio futuro.
E lo hanno già dimostrato, abbandonando la strada e prendendosi una casa abbandonata per abitarci.
Sulla via del ritorno gli antirazzisti hanno sostato davanti all'ex
caserma di via Asti, sul frontespizio della quale una targa ricorda gli
"eroi" di Dogali. Una vera beffa che oggi i nipoti delle vittime del
colonialismo italiano siano "trasferiti" in un luogo dedicato alla
memoria delle truppe di invasione italiane.
Rabbia e commozione di fronte al posto dove tanti torinesi di ieri,
partigiani e oppositori politici, subirono atroci torture da parte di
fascisti e nazisti.
Lieve e poi possente è risuonata per via Asti "Bella ciao".
R. Em.
La risposta ai ventun arresti eseguiti dalla Digos su ordine della
magistrature torinese nella notte tra il 5 e il 6 luglio si è
fatta sentire anche a Bologna. Quattro degli arrestati studiano proprio
presso questa università. Come è noto, a tutti vengono
contestati reati relativi alla mobilitazione contro il G8
università del 19 maggio. L'Onda bolognese e l'occupazione
Bartleby erano già stata presi di mira nei mesi scorsi da
svariate misure repressive.
Il giorno successivo agli arresti, alcune centinaia di studenti sono
scesi in piazza formando due cortei in zona universitaria, uno la
mattina – dopo avere occupato simbolicamente la facoltà di
lettere e poi il rettorato - e uno la sera, dopo un'assemblea
all'interno del rettorato occupato per l'occasione. Alcune decine di
agenti in antisommossa erano presenti a "controllare" la situazione.
La mattina di martedì 7 viene occupato ancora l'ufficio del
rettore e parte un nuovo corteo; la sera si riparte: i circa trecento
partecipanti marciano per circa tre ore, bloccando ripetutamente la
circolazione in centro e sui viali. Verso la fine del corteo alcuni
fascisti provocano lanciando bottiglie e ricevono qualche seggiolata di
ritorno. L'onda è antifascista.
La mattina di giovedì 8 compare un lungo striscione firmato da
una A cerchiata attaccato a una cavalcavia sopra la tangenziale e
l'autostrada, che recita: "Contro gli stati assassini. Per un mondo di
liberi ed uguali. No G8".
Venerdì 9 un corteo partecipato, 500 persone inizialmente che
diventano poi quasi un migliaio, attraversa il centro. Sono presenti
anche alcuni dei compagni arrestati a Roma i giorni precedenti,
compagni di Modena e Milano, alcuni tedeschi che partecipano ai
mondiali antirazzisti. Molte realtà cittadine portano la propria
solidarietà.
Nella notte tra venerdì e sabato due giovani compagni vengono
arrestati, accusati di avere dato fuoco ad alcuni copertoni e di avere
danneggiato due banche in segno di protesta contro il G8. Sono
scarcerati con obbligo di dimora nel luogo di residenza il lunedi
successivo. Altre misure repressive dunque che si vanno a sommare ai
compagni già dentro e alle numerose denunce che si sono
susseguite in settimana: quattro studenti sono stati firmati per
scritte sui muri, altri denunciati per i "blitz" in rettorato. La
decisa mobilitazione ha di fatto allentato la presenza degli
antisommosa durante i cortei (martedì e venerdì si sono
tenuti lontani), ma non quella dell'onnipresente Digos. Decine di
poliziotti in borghese sono state presenza costante di queste
mobilitazioni, esattamente come era accaduto in autunno e la sola
risposta che viene data agli studenti – in combutta con
l'università – è ulteriore repressione. Evidentemente
quel poco che si muove in questo periodo dà estremamente
fastidio.
L'onda ha tuttavia dimostrato di non volersi piegare facilmente,
reagendo a degli arresti pesantissimi, immotivati. Non è
così numerosa come in autunno, ma è sicuramente
più "politica" con tutto il bene e il male che questo comporta.
Il segnale tuttavia è chiaro: i compagni e le compagne devono
uscire subito di galera. O la mobilitazione continuerà.
RedB
Si è conclusa stamattina a Cosenza la settimana
dell'Indignazione. Associazioni, realtà di base e movimenti sono
scesi in piazza più volte a difesa dei beni comuni, contro la
privatizzazione degli spazi pubblici e per l'immediata liberazione
degli attivisti arrestati in diverse città italiane
lunedì 6 e martedì 7 luglio.
Stamani si è svolto il sit-in sotto la sede del Partito
Democratico. Alcune decine di attivisti hanno esposto lo striscione:
"Ricuglìtivi a Caselli - Liberàtini i cumbagni", contro
le operazioni delle procure di Torino e Roma che hanno portato agli
arresti di tanti giovani dell'Onda studentesca e del movimento No
Global, tuttora detenuti.
Il presidio è stato convocato anche per protestare contro la
svendita dei beni comuni e per denunciare l'atteggiamento
dell'amministrazione comunale a guida PD che ha intenzione di
privatizzare l'ex deposito ferroviario, cioè l'unico spazio
pubblico disponibile per le associazioni che fanno cultura ed arte in
città.
Durante il sit-in, la responsabile organizzativa del PD, Enza Bruno
Bossio in Adamo, forse anche innervosita dalla mancata nomina ad
assessore provinciale, si è avvicinata minacciosamente agli
attivisti, cercando di rimuovere manualmente lo striscione e attuando
ripetute provocazioni alle quali nessuno dei presenti ha inteso reagire.
La responsabile PD ha prontamente invocato l'intervento di polizia e
carabinieri, apostrofandoci con continue offese e minacciando di
denunciarci. Ma se le notizie pubblicate di recente su molti organi
d'informazione calabresi saranno confermate, a Cosenza ed in provincia
in questi giorni non siamo noi a dover temere le iniziative giudiziarie
della procura della Repubblica. Sempre che non avvengano né
nuovi insabbiamenti né clamorosi trasferimenti di pubblici
ministeri.
Tuttavia nessuno di noi esulta per le disavventure giudiziarie che
hanno visto protagonisti tanti dei personaggi incollati alle sedie nei
calabri palazzi del potere.
Non ci interessa vederli in galera. A noi, come a milioni di altri
Calabresi, basterebbe vederli sparire dalla vita pubblica, una volta
per tutte. Perché riteniamo che un vero cambiamento possa
arrivare solo dal basso, attraverso la democrazia autonoma e reale, la
partecipazione e l'indignazione popolare di fronte a chi continua a
mortificare la nostra terra, ricattando migliaia di uomini e donne
costretti a votare le solite facce da incubo in cambio di un posto di
lavoro precario e sottopagato.
Per questi motivi abbiamo dato vita una settimana fa all'occupazione
della Sorical, la società che gestisce l'acqua in Calabria, che
rischia di essere definitivamente svenduta alle multinazionali. Per
queste ragioni martedì scorso siamo stati sotto la prefettura a
chiedere la liberazione delle persone che in Italia continuano a
lottare per la giustizia e la libertà. Per tali motivazioni
abbiamo posto pubbliche domande giovedì scorso al sindaco
Perugini ed alla sua Giunta, durante la conferenza stampa del festival
delle Invasioni e nel corso del consiglio comunale.
Centinaia di persone hanno partecipato alle nostre assemblee, ai
presidii ed alle occupazioni. Migliaia di Cosentini hanno solidarizzato
con i manifestanti. Ma le domande aspettano ancora una risposta.
Ci diamo appuntamento a martedì 14 luglio prossimo. Saremo
davanti il tribunale di Cosenza a difesa di Vincenzo Giordano, un
giovane querelato dal sindaco di San Lorenzo del Vallo, solo per aver
denunciato pubblicamente il malgoverno della nostra terra. Sempre
martedì mattina saremo davanti il deposito ferroviario, in
attesa che Perugini accetti il confronto.
La settimana è finita. L'indignazione continua.
VocinpiazzacontroilG8
Cosenza Ribelle