Il gas naturale è una delle principali fonti energetiche oggi
in uso nell'Europa Occidentale. Vi si produce energia elettrica
attraverso le centrali a ciclo combinato con rendimenti piuttosto alti,
intorno al 60%. Inoltre il metano è diffuso a livello domestico
sia per la cottura dei cibi, sia per il riscaldamento dell'acqua e
degli ambienti. Si tratta di una fonte non rinnovabile che, tuttavia,
ha un impatto ambientale ridotto rispetto ad altri combustibili di
origine fossile come il carbone e il petrolio.
Pertanto, per i paesi europei gli approvvigionamenti di tale materia
sono vitali. Il principale fornitore dell'Europa è la russa
Gazprom, diretta emanazione del ministero dell'Energia della
Federazione Russa. Il gas arriva in Occidente grazie a gasdotti che
passano attraverso l'Ucraina. Ogni inverno si assiste alla solita
querelle tra Russia e Ucraina per cui Mosca accusa Kiev di rubare una
parte del gas destinato ai paesi occidentali e, in virtù di tale
imputazione, interrompe le forniture di metano. In tal modo il regime
russo esercita pressioni contro un vicino (l'Ucraina) la cui principale
colpa è di avere rapporti troppo stretti con gli Stati Uniti e,
nello stesso tempo, mantiene una sorta di permanente ricatto sul
funzionamento delle economie dell'Europa dell'Ovest.
Le forniture di materie prime energetiche costituiscono per Mosca
un'arma geopolitica, utilizzata senza troppi scrupoli al fine di
permettere alla Russia di recuperare un ruolo internazionale di primo
piano. Tale politica non poteva non scontrarsi con gli interessi
americani, favorevoli ad un indebolimento della Russia, condizione
necessaria per riuscire a controllare il determinante scacchiere
dell'Asia Centrale. Il conflitto tra Russia e Georgia è
inquadrabile proprio all'interno di tale confronto. La piccola
repubblica, che occupa una posizione geografica centrale nella "guerra
del gas", è schierata all'interno del campo statunitense. Non
stupisce quindi che la Russia stia facendo terreno bruciato intorno a
Tbilisi.
Le difficoltà in cui si trovano gli Stati Uniti, prostrati da
una crisi economica dai contorni epocali, hanno ampliato il raggio
d'azione della Russia, che ha messo a segno alcuni colpi importanti. La
dichiarazione di Putin, secondo cui è finita l'epoca del gas a
basso prezzo, trova riscontro in avanzate trattative con l'Iran (altro
grande produttore di metano) per la formazione di una sorta di cartello
mondiale del gas, sulla falsariga dell'Opec. Sempre nel verso di un
accordo tra produttori (a scapito dei consumatori) va l'accordo di
collaborazione raggiunto tra Gazprom e Sonotrach (azienda statale
algerina del gas) che ha fatto esclamare all'ex ministro dell'Industria
italiano Alberto Clò: "Con l'accordo Gazprom-Sonetrach si
è chiusa la tenaglia dei rifornimenti energetici per l'Italia e
l'Europa". Ma non è finita qui: alla fine di giugno di
quest'anno il presidente russo Medvedev ha firmato un contratto per
entrare nel progetto di un gasdotto trans-sahariano (lungo 4300
chilometri e del costo stimato di 15 miliardi di dollari) destinato a
portare il gas nigeriano in Italia e Spagna. Ogni volta che si cerca di
diversificare i fornitori ci si ritrova davanti a Gazprom!
È poi in corso una singolare competizione sui gasdotti destinati
a portare il metano in Europa. Vi sono tre principali progetti che
stanno marciando contemporaneamente. Cominciamo con il North Stream,
per la cui promozione Mosca ha ingaggiato addirittura l'ex cancelliere
tedesco Schroeder, che prevede di far arrivare il gas russo, attraverso
il Mar Baltico, direttamente in Germania, scavalcando la scomoda
Ucraina. Vi è poi il Nabucco, sostenuto dagli Stati Uniti e
dall'Unione Europea, una pipeline che, dalle frontiere tra Turchia,
Georgia e Iran, dovrebbe arrivare fino allo snodo di Baumgarten in
Austria, dove si innestano i principali rami distributivi del gas
nell'Europa continentale. Tale progetto prevede la possibilità
di raccogliere le produzioni di altri paesi limitrofi come Siria, Iraq
e Iran. Contro questa ipotesi la Russia, con la collaborazione di Eni,
propone il South Stream il cui l'obiettivo è portare il gas in
Europa aggirando (da Sud) l'Ucraina. Il paradosso è che il South
Stream e il Nabucco vanno a pescare dalle stesse fonti di
approvvigionamento: a fronte di una capacità dei due gasdotti di
94 miliardi di metri cubi all'anno, si calcola che vi sia una
produzione supplementare di solo 9 miliardi di metri cubi!
Lo scontro geopolitico sul gas fa emergere, tra gli altri, due dati di
fatto: il primo è l'ennesima dimostrazione di impotenza
dell'Unione Europea, incapace di portare avanti una politica comune che
faccia valere gli interessi energetici del continente. Ogni paese porta
avanti le proprie strategie con gli strumenti di cui dispone. Il
secondo aspetto, è ben rappresentato dal progetto South Stream:
il disallineamento della posizione italiana da quella americana.
Frutto, con tutta probabilità, dei rapporti (e dei tornaconti)
personali che legano Putin e Berlusconi. Perciò il governo
italiano, non solo non pianifica una seria politica di sviluppo di
fonti di energia rinnovabili ma, per fare affari con l'amico russo del
premier, si ritrova su posizioni divergenti rispetto a quelle degli
Stati Uniti. Non è da escludere che lo scarso gradimento
dimostrato da Washington nei confronti del primo ministro del Belpaese
derivi anche dalla sua interessata subalternità verso il nuovo
zar russo.
Toni Iero