Umanità Nova, n.30 del 6 settembre 2009, anno 89

Ferragosto 2009: la rivolta


Venerdì 7 agosto
Entra in vigore il "pacchetto sicurezza". La gran parte delle prigioniere e dei prigionieri dà inizio ad uno sciopero della fame e della sete contro questo "pacchetto" che estende la prigionia (per mancata identificazione) dai precedenti 2 mesi a 6 e che inoltre, importante, prevede la  "retroattività", vale a dire che non è valido solo per chi verrà fermato a partire da quel giorno, ma, anche, per tutte e tutti coloro che già si trovano nei CIE.
La protesta si collega subito alla mobilitazione in corso nei CIE di Ponte Galeria (Roma), di Gradisca d'Isonzo (Gorizia), di Torino e infine di Bari.

Mercoledì 12 agosto
Una trentina di compagni/e si reca in via Corelli per ottenere un incontro fra una propria delegazione - comprendente un medico – e i detenuti, che intanto hanno interrotto lo sciopero della sete, e per consegnare loro delle bevande. L'incontro viene negato con le rituali argomentazioni burocratiche.
La situazione dentro già di per sé tesa dal rifiuto della retroattività e dalle solite misere e sporche condizioni di vita, è surriscaldata dall'arrivo di una trentina di prigionieri arrivati nel pomeriggio da Gradisca, trasferiti in seguito alla lotta.
La rivolta è nell'aria. Da fuori si capisce che fra le sezioni (3 maschili e 1 femminile) si sviluppa comunicazione, probabilmente cercano di coordinarsi, di occupare gli spazi collettivi (passeggi, sala mensa-tv, magari i tetti…). Polizia e i militari, vista la determinazione delle persone prigioniere a difendersi, scelgono di non intervenire. Il sostegno solidale all'esterno si concretizza con battiture su un vicino guard-rail  e slogan.

Giovedì 13 agosto: arresti
Inizia il settimo giorno di sciopero della fame, la rivolta divampa in tutte le sezioni. Le persone rinchiuse esigono delle risposte, non possono e non vogliono essere aggredite, ingannate, trasfigurate da persone "senza permesso di soggiorno" (clandestine) in galeotte. La risposta dello stato è quella di sempre in questi casi.
Verso le 19 polizia, carabinieri, guardia di finanza e militari entrano in forze nelle sezioni, incontrano resistenza. La loro è una rappresaglia: avanzano a colpi di manganello, lancio di gas lacrimogeni, impiego di idranti; occupano i tetti per strappare alle persone arrestate una base importante, solitamente adoperata per comunicare con l'esterno e anche per tentare la fuga.  Dentro, resistono,  innalzando barricate con quel che hanno sottomano, materassi di plastica, termosifoni…
Una ventina di compagne e compagni riesce ad arrivare sotto Corelli, ma solo verso le 22,30. La battaglia è ancora in corso, l'odore dei lacrimogeni, delle cose bruciate al pari dei  rumori sordi e forti causati dai colpi  alle porte blindate, alle pareti, caratterizzano l'intera nottata. Riprendiamo le battiture, gli slogan. Qualche passante attirato dai rumori, dalle voci, si azzarda nella via laterale, si avvicina.
Da dentro chiedono, con insistenza e fermezza, che le notizie sulla rivolta siano divulgate il più possibile, che sia rafforzato il sostegno. Qualcosa avviene, rispetto alla situazione tuttavia si è in ritardo e in poche/i. Polizia e Co. vogliono riprendere il controllo a tutti i costi; per raggiungere l'obiettivo utilizzano anche a scopo intimidatorio l'arma degli arresti e del carcere. Le persone arrestate sono selezionate in base all'impegno messo nella lotta, ma anche delle conseguenze delle manganellate e per pura rappresaglia. Gli sbirri sanno che nelle "altre" carceri, in qualche maniera, vige la visita medica per le persone "nuove aggiunte"; la gran parte delle persone che ha segni delle legnate sul corpo e che non vengono arrestate, viene separata per essere trasferita. Sono così arrestate 5 prigioniere, alcune giovanissime, e 9 prigionieri; le persone scelte per essere trasferite sono 47. Insomma quel giorno lasciano Corelli  61 persone, circa la metà del totale. Un paio di sezioni risultano "inagibili". Verso le 2,30 il presidio si scioglie. Queste sono le fasi violente e ultime della battaglia.
Dopo l'una di notte, una trentina di poliziotti con caschi, scudi e manganelli esce dal CIE per aprire la strada al primo blindato che porta in questura 5 donne in stato di arresto. Si riesce a vederle e a salutarle, il loro sguardo è incredulo e preoccupato, sono ammanettate con le braccia dietro la schiena e il fiato sul collo di un branco di poliziotti.
All'esterno si giunge alla conclusione, anche sentendo gli avvocati, che nella mattinata del 14 si svolgerà l'"udienza di convalida" degli arresti. Ci si dà appuntamento al palazzo di giustizia per le 9 del mattino.

Venerdì 14 agosto: convalida arresti
All'udienza del mattino attendiamo per ore dentro il tribunale l'arrivo delle persone arrestate in seguito alla settimana di lotta in Corelli. Si è lì per ribadire che la legittimità della lotta contro il "pacchetto sicurezza", i CIE non può essere criminalizzata. Ci viene impedito di entrare nell'aula. Si resta nel vicino corridoio per tutta la giornata. I "capi di imputazione" sono pesanti: incendio, resistenza, danneggiamento, aggressione … 
L'arrivo in manette e catene delle persone arrestate, attorniate da decine di poliziotti, viene accolto con l'urlo "libertà", "horria" (libertà in arabo) e altri slogan, con pugni chiusi e battimani; così ci si esprime ogni volta che una di loro esce dall'aula e quando lasceranno il tribunale. Il giudice, ovviamente, convalida quanto scritto dalla polizia. Le persone arrestate, le sentiamo poco e male, si difendono, il giudice cercherà più volte di zittirle e intimidirle; lui ha il compito di far passare le versioni della questura. Verso le 18 avviene il trasferimento a S. Vittore.
Il processo per "direttissima" è fissato per venerdì 21 agosto. E' un processo alla resistenza opposta alla violenza dello stato, un tentativo di criminalizzarla che va, assieme al "pacchetto sicurezza", respinto e vinto.

RESPINGIAMO IL PACCHETTO SICUREZZA!
LIBERE TUTTE LIBERI TUTTI -  SUBITO !

Venerdì  21 agosto: il processo
Le lotte non si processano! Criminali e assassini siete voi!  Libertà! Horria!
Queste  parole d'ordine, tanto ripetute da generazioni di proletarie e proletari, hanno ritrovato entusiasmo oggi in un'aula del tribunale di Milano.
All'appuntamento, provenienti da diverse città, un centinaio di compagne e compagni, oltre ad amici e parenti dei prigionieri. Entriamo in un'aula dove le persone sono chiuse in gabbie distinte: da una parte 9 uomini, dall'altra 5 donne. Sono state scelte fra gli oltre cento prigionieri del CIE di Corelli, che fra il 7 e il 13 agosto, hanno osato ribellarsi al "pacchetto sicurezza", in particolare all'aumento – retroattivo - della detenzione da 2 a 6 mesi per gli scioperanti.
La protesta, nelle settimane precedenti, si era estesa in diversi CIE (Roma, Gradisca, Bari, Torino, Modena…); ma in Corelli la mobilitazione ha finito con l'assumere un carattere più deciso e chiaro.
Per questo lo stato ha scelto di colpirla direttamente in modo esemplare e ammonitorio, con pestaggi, arresti, trasferimenti ed espulsioni. I "capi di imputazione" (danneggiamento seguito da incendio, resistenza e lesioni in concorso tra loro) non lasciano dubbi sul significato dell'intera messa in scena, mettere in atto i dettami del pacchetto sicurezza e cercare quindi di intimidire, terrorizzare, quindi ammutolire e ricattare centinaia di migliaia di immigrate, per poterle sfruttare nel migliore dei modi: badanti e colf nelle case degli italiani, braccianti nelle campagne, del sud, operai carne da macello nei cantieri edili, nelle grandi catene di distribuzione e nelle fabbriche del nord. Finalmente il meccanismo si  inceppa e gli immigrati, in barba ai soliti tentativi di divisione, decidono, tutti uniti, di affrontare il processo, rifiutando la trappola dei riti alternativi che, in cambio di una riduzione della pena, eliminano praticamente le possibilità di dargli il carattere politico che merita.
I prigionieri si dimostrano quindi determinati a rivendicare la scelta collettiva della protesta e rendere pubbliche le violenze adoperate da polizia e carabinieri tanto nella repressione della rivolta che nella quotidianità.
La giudice tenta invano di eliminare ogni riferimento politico affermato con forza dagli avvocati della difesa; la formalità del rito processuale svanisce non appena in aula viene convocato l'ispettore capo direttore di Corelli. Le donne e gli uomini nelle gabbie e noi con loro, gli siamo addosso all'unisono, con lo sguardo, con l'urlo: vergogna, libertà, horria (libertà in arabo), assassini... compare anche un piccolo striscione "A Corelli si tortura". 
La comunanza-sintonia costruita fra compagne/i fuori e arrestati, già espressa a distanza nei momenti della rivolta, ora anche fisicamente unita, si esprime stupendamente. Nel clamore la giudice, lo si capisce con gli occhi, prima licenzia il boia, poi dichiara sospesa l'udienza, ordina lo sgombero dell'aula e infine se ne va.
Niente e nessuno riesce più ad impedire l'incrociarsi dei saluti, delle parole d'ordine scandite assieme, riusciamo a scambiare qualche breve impressione con le prigioniere e i prigionieri prima che vengano portate/i fuori.  C'è la certezza comune di aver conseguito qualche cosa di importante: sotto processo, per la prima volta, e a differenza del 2005, non ci sono solo gli immigrati ma anche i CIE, lo stato.
Il primo segnale del mutamento della situazione lo si coglie alla ripresa dell'udienza "a porte chiuse" senza pubblico ma con le persone arrestate. Noi siamo nel corridoio antistante all'aula presidiata da sbirri con scudi ecc., salutiamo i passaggi delle prigioniere e dei prigionieri, insomma siamo lì in contropresidio.
Intanto il tribunale prende alcune decisioni importanti. Innanzitutto, il boia di Corelli potrà essere interrogato dalla difesa anche in relazione alle particolarità della repressione della rivolta e della gestione della quotidianità, assieme alle violenze conosciute da Preziosa (trans brasiliana, che esattamente un anno fa in Corelli fu sottoposta a sevizie); inoltre, le tre udienze concentrate nell'ultima settimana di agosto sono state ridotte a due, spostando la successiva dopo il 16 settembre.
Il proposito del governo di portare un colpo intimidatorio rapido e duro ha perso grinta e euforia.
Compagni/e  alla fine di questa prima udienza si uniscono in assemblea su un prato adiacente. La giornata è stata buona, lo sappiamo, non ce lo ripetiamo. Ci dividiamo i compiti per tenere i contatti con le persone arrestate e nei CIE, per estendere la mobilitazione nei quartieri; si decide di concentrare l'attenzione sulle prossime udienze, di preparare una mobilitazione generale alla ripresa del processo in settembre con un relativo manifesto.
Prevalente è la modestia che, si sa, non è mai troppa e infine ci salutiamo.

Martedì 25 agosto
Anche questa mattina un nutrito gruppo di compagne e compagni solidali ha atteso in tribunale, all'ingresso dell'aula, l'arrivo delle e degli "imputati".
Questa volta, a differenza delle precedenti (udienza di convalida e prima udienza del processo in direttissima), non ci è stato possibile incontrare lo sguardo di nessuno/a degli arrestati/e.
Sono, infatti, stati/e fatti entrare direttamente in aula dalla porta sul retro, quella dove i signori della corte sono soliti ritirarsi per decidere le sorti dei loro nemici…(...per capirci, la porta segreta dove la volta scorsa la giudice si rifugiò terrorizzata dopo essere scesa dalla pianta sulla quale era vissuta per l'intera sua vita e dove presumibilmente - a giudicare dal suo atteggiamento processuale - rimarrà ad oltranza...).
L'udienza come annunciato si è svolta a porte chiuse; la giudice non ha accettato la richiesta di ingresso per il pubblico - sollevata in apertura d'udienza - dagli avvocati.
L'ispettore capo di Corelli - Vittorio Addesso - ha potuto testimoniare ai piedi della corte. Nella prima parte, quella in cui faceva le domande la pm, ha reso una testimonianza precisa e particolareggiata come si compete ai capi.
Tra l'interrogatorio dell'accusa e quello della difesa, c'è stata una pausa temporanea durante la quale Vittorio Addesso è uscito sorridente dall'aula per raggiungere i suoi colleghi. Peccato che ad accoglierlo ci fossero anche voci fuori dal coro che non hanno esitato ad urlargli in faccia quello che realmente è: un boia. Inizialmente strafottente Vittorio Addesso ha smesso di ridere, evidentemente grida, urla e battitura sulle porte lo hanno irritato, è, infatti, dovuto rientrare in aula ancor prima che suonasse la campana!
Nella seconda parte della sua testimonianza - quella in cui gli avvocati interrogavano e hanno chiesto di visionare i filmati delle telecamere poste all'interno - ha dichiarato che queste erano rotte, poi che forse i filmati erano stati cancellati per poi tornare a dire che in due settori erano rotte da due mesi. Dov'è allora la segnalazione che avrebbero dovuto fare per chiedere la riparazione delle telecamere? Gli è stato chiesto inoltre dove fossero i "reperti testimoniali" che potrebbero sostenere le prove accusatorie (materassi bruciati, oggetti divelti e distrutti ecc…) e ha risposto di averle viste nella (non meglio precisata) discarica, proprio la mattina di oggi, mentre usciva da Corelli per recarsi in tribunale. Queste sono alcune delle consuete negligenze che polizia e apparati vari dimostrano!
Al termine della sua testimonianza Vittorio Addesso è uscito dal retro, evidentemente aveva perfettamente chiaro cosa si sarebbe sentito urlare in faccia e ha scelto di scappare via, di nascondersi come si meritano gli esseri come lui.
Dopo la ripresa dalla pausa pranzo, il compagno portoghese arrestato, ha rilasciato una dichiarazione per dire a Vittorio Adesso che - proprio due giorni prima dei fatti - dall'infermeria aveva potuto tranquillamente guardare i monitor collegati alle telecamere che riprendevano e mostravano tutto quanto, con immagini nitide e chiare …ops, Addesso mente?
A noi non interessa certo stare a discutere su verità e menzogna, quello che ci interessa è sapere che comunque anche oggi dalle gabbie ci hanno sentito, sapevano che eravamo in tanti fuori dall'aula; ci interessa inoltre che il loro morale continua ad essere alto, non dubitano assolutamente di nulla né hanno modificato il loro modo di porsi di fronte allo stato.
Sono infine stati sentiti altri due sbirri (dei dodici che si erano fatti refertare, i più per distorsione del rachide cervicale procuratosi mentre massacravano le prigioniere e i prigionieri) e abbiamo anche appreso che molti di loro non verranno in aula perché ancora convalescenti o forse perché la testimonianza degli ultimi due è stata meno lucida e precisa del loro capo Addesso, come dire, si sono un po' contraddetti tra loro, figuriamoci in dodici, diventerebbe imbarazzante anche per la giudice!

Giovedì 27 agosto
Oggi si è svolta a Milano la 3a udienza agli arrestati/e a seguito della rivolta scoppiata lo scorso 13 agosto nel CIE di via Corelli. Anche oggi il pubblico non è stato ammesso in aula, ma per l'intera giornata - conclusasi alle 18.30 con gli avvocati stremati - un gruppo di compagne e compagni ha presenziato all'esterno dell'aula facendo sentire agli arrestati/e tutta la loro solidarietà e vicinanza.
Nel corso della mattinata sono stati ascoltate tre testimonianze da parte del personale della croce rossa; nel pomeriggio è iniziato l'esame degli "imputati", per ora ne sono stati ascoltati quattro, due donne e due uomini. Una delle donne ha denunciato davanti alla giudice un tentativo di violenza sessuale da parte dell'ispettore capo di Corelli, il boia Vittorio Addesso.
Tentativo che fallì anche grazie all'intervento della sua compagna di stanza attualmente rinchiusa a San Vittore, anch'essa picchiata e arrestata come le altre sue compagne.
Nel corso delle prossime udienze, che si terranno lunedì 21 e mercoledì 23 settembre, verrà in proposito chiamato a testimoniare il direttore della croce rossa che - a detta di Joy - non solo era presente nel CIE la sera in cui Addesso entrò nella sua stanza per tentare di violentarla, ma fu lui stesso, richiamato dalle urla delle ragazze, a cacciare l'ispettore. Vedremo se avrà il coraggio di dire la verità o se, al contrario, si schiererà dalla parte degli sbirri.
Sempre lunedì 21 settembre verranno ascoltati due prigionieri che erano presenti alla rivolta e che attualmente sono ancora rinchiusi nel CIE (la giudice ha ammesso quindi i testi della difesa che aveva rifiutato nel corso della prima udienza).
Mercoledì 23 settembre verranno invece ascoltati alcuni degli sbirri oggi ancora convalescenti per poi proseguire con gli e le "imputate".

COMITATO ANTIRAZZISTA MILANESE

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