Umanità Nova, n.30 del 6 settembre 2009, anno 89

Sulla crisi della CUB


Il 9, 10 e 11 ottobre 2009 si terrà a Milano la terza Assemblea Nazionale della Confederazione Unitaria di Base.
Se anche è vero che un'assemblea nazionale di un sindacato è un fatto di per sé meritevole di attenzione, ma non necessariamente importante dal punto di vista della critica radicale dello sfruttamento, vi sono ragioni per le quali quest'assemblea nazionale assume un notevole rilievo.
Risparmio ai lettori del giornale ogni pretesa di analisi approfondita della situazione sociale generale e dei caratteri e difficoltà della lotta fra le classi a livello internazionale e nazionale.
Se, come propongo, ci si tiene all'Assemblea Nazionale della CUB nella sua specificità, ciò che appare,  rilevante è il fatto che quest'assemblea ratifica, nei fatti se non ancora formalmente, una spaccatura verticale del più consistente sindacato alternativo presente in Italia e lo fa a partire dal fatto che l'assemblea è indetta da tutte le organizzazioni che costituiscono la CUB con l'eccezione delle RdB.
In altri termini, la CUB va ad un congresso, che tale è la natura della sua assemblea nazionale, con l'assenza di un'importante organizzazione ed, anzi, in presenza di un'azione legale, e quando si arriva a questo livello la possibilità di rientro, come è ovvio, è minima, da parte di RdB per impedire lo svolgimento della stessa Assemblea Nazionale.
D'altro canto, chi frequentasse il magico mondo di Internet potrebbe scoprire che una "assemblea nazionale CUB" si è già svolta a Riccione il 22, 23 e 24 maggio 2009 e che, in questo caso, l'assemblea era indetta dai tre coordinatori CUB in quota RdB e, nei fatti, da RdB con il volenteroso, ma non rilevante, assenso di una minoranza decisamente modesta delle altre organizzazioni di categoria della CUB oltre che di gruppi esterni alla CUB, in primo luogo SdL Intercategoriale.
In sintesi, RdB ha già organizzato e svolto un'assemblea nazionale sostenendo che era indetta dalla CUB ed  ha avviato un processo costituente quantomeno con un altro sindacato alternativo, SdL Intercategoriale.
Le altre organizzazioni della CUB ritengono che l'assemblea di Riccione è un'iniziativa unilaterale di RdB e indicono l'assemblea nazionale sapendo perfettamente che RdB, salvo svolte imprevedibili, non parteciperà e ratificano una scissione.
Chi cercasse di comprendere le ragioni della crisi sulla base dei documenti ufficiali circolati, rischierebbe di scoprire che, sulla base di questi documenti, di ragioni effettive ve ne sarebbero pochine.
Proviamo a riprendere alcuni passaggi della relazione introduttiva dell'assemblea di Riccione di RdB:
"Siamo convinti, noi della CUB che ci troviamo qui oggi (noi di RdB, ndr), che serva una forte concezione confederale del sindacato di base. Che non sia più sufficiente, anche se rimane indispensabile, tenere la frontiera aziendale e disinteressarsi di ciò che accade fuori da essa o al più ricordarsene ogni sei mesi attraverso l'indizione di scioperi generali che difficilmente riescono a far avanzare la situazione".
È evidente, per un verso, che la CUB ha mille difetti ma certo non quello di disinteressarsi di quanto avviene fuori dalle aziende e, per l'altro, che proprio RdB ha una tendenza ad arroccarsi nel sindacalismo aziendale. Insomma, questo lanciare il cuore oltre l'azienda sembra più una dichiarazione di intenti e la ricerca di un elemento distintivo che l'effettiva individuazione di un asse di lavoro.
"Siamo convinti soprattutto, che l'epoca dell'altezzosa autosufficienza, che non abbiamo mai condiviso, sia definitivamente tramontata, perché inutile, perché profondamente sbagliata e dannosa per i rapporti con i lavoratori e con il resto del sindacalismo di base e conflittuale."
In questo caso si è al surreale, RdB afferma di non aver mai condiviso l'altezzosa autosufficienza che avrebbe caratterizzato la CUB nei confronti delle altre organizzazioni del sindacalismo alternativo. Peccato che questo spirito fraterno di RdB nei confronti degli altri sindacati non si sia mai notato, forse erano obbligati a celarlo dalla prepotenza della CUB? Parrebbe di no. Infatti, la stessa RdB afferma immediatamente dopo:
"Il dibattito interno alla nostra confederazione non è mai stato facile. Per anni, nel confronto interno, abbiamo utilizzato una formula bizzarra, contenuta nello statuto, per cui chi più pesava meno contava. Una bizzarria che però aveva un fine, quello di consentire a tutte le organizzazioni che mano a mano entravano a costruire la CUB, di avere il tempo di rafforzarsi e definire un proprio profilo, una propria linea di lavoro e di intervento, senza temere di dover sottostare alle posizioni di chi, per peso, presenza territoriale, condizioni materiali avrebbe avuto buon gioco nel costruire le scelte e definire i percorsi per tutti, sulla scorta della propria impostazione e della propria indubbia forza".
Insomma, RdB, sulla base della propria indubbia forza, e chi oserebbe dubitarne, non era certo in condizioni di farsi imporre da altri una qualche altezzosa autosufficienza. Anzi, RdB rivendica di aver sempre avuto nella CUB un peso reale superiore a quello formale.
Dei tre argomenti sollevati nella relazione introduttiva al congresso RdB di Riccione e cioè la necessità di andare oltre l'azienda, lo spirito unitario con gli altri sindacati alternativi e l'esigenza di ridefinire il peso delle diverse organizzazioni dentro la CUB, è evidente che l'unico plausibile è il terzo.
Nasce, però, una legittima domanda: si tratta di un'esigenza così grave e così urgente da rendere opportuna e necessaria una crisi della CUB?
A chi scrive, e non solo a lui, nel corso dell'ultimo anno è capitato sovente di riflettere su quanto andava accadendo e di immaginare la reazione del classico  marziano di fronte a quanto sta avvenendo nella cub e nel sindacalismo alternativo in Italia.
Aprire una crisi del maggior sindacato alternativo, bloccare nei fatti il patto di base con cobas ed sdl, bloccare l'accesso al patto di base ad altre forze proprio mentre la crisi sociale è più acuta  e maggiore sarebbe l'esigenza di unità ed efficacia nell'azione pare obiettivamente folle.
Eppure è difficile immaginare che il gruppo dirigente di RdB sia costituito da folli, meritano certo altri appunti ma non si caratterizzano certo per spericolatezza.
Volendosi proprio spiegare le loro scelte è probabile che fossero giunti al convincimento che avrebbero potuto, contemporaneamente, prendere la maggioranza nella CUB, stringere un'alleanza con gli altri sindacati alternativi, mettere fuori gioco i settori non omogenei al loro progetto.
Paradossalmente la loro scelta ha determinato nel resto della CUB una ripresa di confronto e di dibattito che, in qualche modo, non ha potuto che riaffermare, a grande maggioranza, le ragioni profonde delle divergenze fra CUB ed RdB:
1.    quella del modello organizzativo, federalista per la CUB e centralista per RdB;
2.  quella della firma dei contratti con la CUB convinta che non si debbono firmare contratti dannosi ai lavoratori in cambio di diritti e finanziamenti mentre RdB, notoriamente, non ha di queste delicatezze;
3.    quella dell'autonomia dai partiti, dal governo, dal padronato.
Ovviamente non ritengo affatto che tutti i compagni che andranno con RdB o, se si preferisce con la Costituente fra RdB ed SdL, siano diventati fautori del sindacato burocratico e firmaiolo o che la CUB senza RdB sarà priva di pur gravi limiti e difetti.
È però vero che, paradossalmente, la rottura con RdB potrà essere un momento di chiarezza per la CUB e di ripresa della componente più radicale di elaborazioni e di esperienza.
Fatto salvo che molti, fra i quali chi scrive, non l'hanno voluta, si tratta di assumerla come un'occasione più che come un dramma e di riprendere l'iniziativa sociale generale finalmente liberi da una defatigante polemica interna.

Guzman

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