Il 9, 10 e 11 ottobre 2009 si terrà a Milano la terza Assemblea Nazionale della Confederazione Unitaria di Base.
Se anche è vero che un'assemblea nazionale di un sindacato
è un fatto di per sé meritevole di attenzione, ma non
necessariamente importante dal punto di vista della critica radicale
dello sfruttamento, vi sono ragioni per le quali quest'assemblea
nazionale assume un notevole rilievo.
Risparmio ai lettori del giornale ogni pretesa di analisi approfondita
della situazione sociale generale e dei caratteri e difficoltà
della lotta fra le classi a livello internazionale e nazionale.
Se, come propongo, ci si tiene all'Assemblea Nazionale della CUB nella
sua specificità, ciò che appare, rilevante è
il fatto che quest'assemblea ratifica, nei fatti se non ancora
formalmente, una spaccatura verticale del più consistente
sindacato alternativo presente in Italia e lo fa a partire dal fatto
che l'assemblea è indetta da tutte le organizzazioni che
costituiscono la CUB con l'eccezione delle RdB.
In altri termini, la CUB va ad un congresso, che tale è la
natura della sua assemblea nazionale, con l'assenza di un'importante
organizzazione ed, anzi, in presenza di un'azione legale, e quando si
arriva a questo livello la possibilità di rientro, come è
ovvio, è minima, da parte di RdB per impedire lo svolgimento
della stessa Assemblea Nazionale.
D'altro canto, chi frequentasse il magico mondo di Internet potrebbe
scoprire che una "assemblea nazionale CUB" si è già
svolta a Riccione il 22, 23 e 24 maggio 2009 e che, in questo caso,
l'assemblea era indetta dai tre coordinatori CUB in quota RdB e, nei
fatti, da RdB con il volenteroso, ma non rilevante, assenso di una
minoranza decisamente modesta delle altre organizzazioni di categoria
della CUB oltre che di gruppi esterni alla CUB, in primo luogo SdL
Intercategoriale.
In sintesi, RdB ha già organizzato e svolto un'assemblea
nazionale sostenendo che era indetta dalla CUB ed ha avviato un
processo costituente quantomeno con un altro sindacato alternativo, SdL
Intercategoriale.
Le altre organizzazioni della CUB ritengono che l'assemblea di Riccione
è un'iniziativa unilaterale di RdB e indicono l'assemblea
nazionale sapendo perfettamente che RdB, salvo svolte imprevedibili,
non parteciperà e ratificano una scissione.
Chi cercasse di comprendere le ragioni della crisi sulla base dei
documenti ufficiali circolati, rischierebbe di scoprire che, sulla base
di questi documenti, di ragioni effettive ve ne sarebbero pochine.
Proviamo a riprendere alcuni passaggi della relazione introduttiva dell'assemblea di Riccione di RdB:
"Siamo convinti, noi della CUB che ci troviamo qui oggi (noi di RdB,
ndr), che serva una forte concezione confederale del sindacato di base.
Che non sia più sufficiente, anche se rimane indispensabile,
tenere la frontiera aziendale e disinteressarsi di ciò che
accade fuori da essa o al più ricordarsene ogni sei mesi
attraverso l'indizione di scioperi generali che difficilmente riescono
a far avanzare la situazione".
È evidente, per un verso, che la CUB ha mille difetti ma certo
non quello di disinteressarsi di quanto avviene fuori dalle aziende e,
per l'altro, che proprio RdB ha una tendenza ad arroccarsi nel
sindacalismo aziendale. Insomma, questo lanciare il cuore oltre
l'azienda sembra più una dichiarazione di intenti e la ricerca
di un elemento distintivo che l'effettiva individuazione di un asse di
lavoro.
"Siamo convinti soprattutto, che l'epoca dell'altezzosa
autosufficienza, che non abbiamo mai condiviso, sia definitivamente
tramontata, perché inutile, perché profondamente
sbagliata e dannosa per i rapporti con i lavoratori e con il resto del
sindacalismo di base e conflittuale."
In questo caso si è al surreale, RdB afferma di non aver mai
condiviso l'altezzosa autosufficienza che avrebbe caratterizzato la CUB
nei confronti delle altre organizzazioni del sindacalismo alternativo.
Peccato che questo spirito fraterno di RdB nei confronti degli altri
sindacati non si sia mai notato, forse erano obbligati a celarlo dalla
prepotenza della CUB? Parrebbe di no. Infatti, la stessa RdB afferma
immediatamente dopo:
"Il dibattito interno alla nostra confederazione non è mai stato
facile. Per anni, nel confronto interno, abbiamo utilizzato una formula
bizzarra, contenuta nello statuto, per cui chi più pesava meno
contava. Una bizzarria che però aveva un fine, quello di
consentire a tutte le organizzazioni che mano a mano entravano a
costruire la CUB, di avere il tempo di rafforzarsi e definire un
proprio profilo, una propria linea di lavoro e di intervento, senza
temere di dover sottostare alle posizioni di chi, per peso, presenza
territoriale, condizioni materiali avrebbe avuto buon gioco nel
costruire le scelte e definire i percorsi per tutti, sulla scorta della
propria impostazione e della propria indubbia forza".
Insomma, RdB, sulla base della propria indubbia forza, e chi oserebbe
dubitarne, non era certo in condizioni di farsi imporre da altri una
qualche altezzosa autosufficienza. Anzi, RdB rivendica di aver sempre
avuto nella CUB un peso reale superiore a quello formale.
Dei tre argomenti sollevati nella relazione introduttiva al congresso
RdB di Riccione e cioè la necessità di andare oltre
l'azienda, lo spirito unitario con gli altri sindacati alternativi e
l'esigenza di ridefinire il peso delle diverse organizzazioni dentro la
CUB, è evidente che l'unico plausibile è il terzo.
Nasce, però, una legittima domanda: si tratta di un'esigenza
così grave e così urgente da rendere opportuna e
necessaria una crisi della CUB?
A chi scrive, e non solo a lui, nel corso dell'ultimo anno è
capitato sovente di riflettere su quanto andava accadendo e di
immaginare la reazione del classico marziano di fronte a quanto
sta avvenendo nella cub e nel sindacalismo alternativo in Italia.
Aprire una crisi del maggior sindacato alternativo, bloccare nei fatti
il patto di base con cobas ed sdl, bloccare l'accesso al patto di base
ad altre forze proprio mentre la crisi sociale è più
acuta e maggiore sarebbe l'esigenza di unità ed efficacia
nell'azione pare obiettivamente folle.
Eppure è difficile immaginare che il gruppo dirigente di RdB sia
costituito da folli, meritano certo altri appunti ma non si
caratterizzano certo per spericolatezza.
Volendosi proprio spiegare le loro scelte è probabile che
fossero giunti al convincimento che avrebbero potuto,
contemporaneamente, prendere la maggioranza nella CUB, stringere
un'alleanza con gli altri sindacati alternativi, mettere fuori gioco i
settori non omogenei al loro progetto.
Paradossalmente la loro scelta ha determinato nel resto della CUB una
ripresa di confronto e di dibattito che, in qualche modo, non ha potuto
che riaffermare, a grande maggioranza, le ragioni profonde delle
divergenze fra CUB ed RdB:
1. quella del modello organizzativo, federalista per la CUB e centralista per RdB;
2. quella della firma dei contratti con la CUB convinta che
non si debbono firmare contratti dannosi ai lavoratori in cambio di
diritti e finanziamenti mentre RdB, notoriamente, non ha di queste
delicatezze;
3. quella dell'autonomia dai partiti, dal governo, dal padronato.
Ovviamente non ritengo affatto che tutti i compagni che andranno con
RdB o, se si preferisce con la Costituente fra RdB ed SdL, siano
diventati fautori del sindacato burocratico e firmaiolo o che la CUB
senza RdB sarà priva di pur gravi limiti e difetti.
È però vero che, paradossalmente, la rottura con RdB
potrà essere un momento di chiarezza per la CUB e di ripresa
della componente più radicale di elaborazioni e di esperienza.
Fatto salvo che molti, fra i quali chi scrive, non l'hanno voluta, si
tratta di assumerla come un'occasione più che come un dramma e
di riprendere l'iniziativa sociale generale finalmente liberi da una
defatigante polemica interna.
Guzman