Umanità Nova, n.30 del 6 settembre 2009, anno 89

La discarica impossibile


Sull'Appennino abruzzese, per ritardi storici sui quali le autorità hanno di norma cinicamente calibrato i propri comportamenti e chiusi entrambi gli occhi, le questioni della corretta trattazione e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani non hanno mai costituito una priorità. Senonché, quello che era ancora possibile, pochi anni or sono, per una collettività relativamente poco numerosa (l'intera provincia di L'Aquila conta, ad oggi, circa trecentomila abitanti, quanto un quartiere di Roma, distribuiti però su di un territorio immensamente più esteso) nascondere sotto il tappeto – che oggi mostra, irreparabilmente, la consunzione fisica del paesaggio per come ingenerata da un simile devastante approccio – tutto il pattume prodotto, oggi, con l'esponenziale aumento del rifiuto prodotto pro-capite, l'avvento di una nuova consapevolezza e la sopravvenienza di una normativa meno permissiva (e penalizzante per chi non si adegua in termini di ecotasse), le classi dirigenti locali si sono trovate dinanzi ad un problema molto serio. In linea di massima, i tre consorzi che, in attesa della loro confluenza in un unico soggetto provinciale, gestiscono tuttora il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti – Aciam (Avezzano), Asm (L'Aquila), Cogesa (Sulmona) – sono sempre stati considerati delle camere di compensazione elettorali, attraverso le quali accontentare, con nomine che quasi mai hanno premiato il merito e la competenza, i "trombati" alle urne e i clientes dei signori locali delle preferenze, in linea con le pratiche tipicamente clientelari di un certo sud. Il risultato è stato quello di accumulare un gap spaventoso rispetto ai molti territori che, in Italia, hanno preso sul serio il decreto Ronchi e la raccolta differenziata. Per quest'ultima i dati della intera provincia sono ad oggi semplicemente desolanti, attestandosi intorno ad un misero 10%. In pratica, la raccolta differenziata non esiste.
Eppure la necessità di dare una svolta alla gestione dei rifiuti era presente da almeno due lustri, da quando cioè un'offensiva giudiziaria aveva posto termine al vergognoso sversamento incontrollato sul territorio giustificato da semplici ordinanze sindacali. Ad onta di ciò, a testimonianza di un cronico difetto di programmazione, in pratica le due zone che raggruppano il maggior numero di abitanti della provincia, Marsica ed aquilano, risultano, ad oggi, sprovviste di una discarica a norma di capienza adeguata per lo smaltimento dei rifiuti.
Caso eclatante è quello di Avezzano, dove l'esaurimento della discarica di Santa Lucia ha colto del tutto impreparato un ceto dirigente, che si è visto investito delle proteste della cittadinanza derivate dall'incremento della TARSU (ingenerato dalla necessità di far affluire il pattume a Lanciano e sino in Molise). A riprova degli enormi interessi in gioco, uno dei primi atti emergenziali post terremoto del 6 aprile 2009 è stato quello di riaprire le discariche di Pizzoli (comune effettivamente colpito dell'aquilano) e di Avezzano, appunto (che di danni ne ha avuti ben pochi). Con scarso esito, essendo quei siti effettivamente esauriti.
L'unico progetto che il consorzio Aciam (soci gran parte dei Comuni marsicani, alcuni aquilani nonché un privato emiliano) ha partorito in questo torno di tempo è stato quello della megadiscarica di Valle dei fiori di Gioia dei Marsi, ove dovrebbe affluire tutto il pattume marsicano (e non solo) dopo essere stato trattato presso l'appena realizzato impianto di compostaggio di Aielli. Inutile dire che senza una effettiva raccolta differenziata quest'ultimo impianto non potrà che stabilizzare il rifiuto, facendogli perdere, al massimo, un 15% di umido, e separerà ben poco. Il resto in discarica. Ma il vero problema è legato al sito prescelto, del tutto eccentrico rispetto al luogo ove si produce gran parte del pattume nella Marsica, e che presenta un'incredibile serie di controindicazioni, evidenziate persino dal Comitato regionale chiamato ad emanare la valutazione di impatto ambientale. Nel solco di quei criteri eminentemente politico-clientelari che hanno sin qui informato la gestione complessiva del ciclo dei rifiuti in Abruzzo, per ragioni imperscrutabili, si è scelto un sito a quasi mille metri di altezza, quasi irraggiungibile, sito in una zona che è classificata al massimo grado di rischio sismico; nondimeno, è stato rilevato anche un inquietante rischio idrogeologico per l'area sottostante; sotto tale zona dorme un acquifero che l'ARTA abruzzese definisce di grande importanza, non senza censurare l'alta permeabilità della roccia che dovrebbe dividere il rifiuto dall'acqua. Un vero disastro insomma, figlio di una gestione anacronistica del problema, dal quale non potranno che derivare ulteriori disastri, ambientali e non solo.

Il Martello del Fucino

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