Umanità Nova, n.30 del 6 settembre 2009, anno 89

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Torino. Anarchici, giudici e pummarola

Ad agosto il tribunale è chiuso ma i messi della giustizia, lenti ma inesorabili, continuano a portare i loro plichi.
Sei anarchici – cinque di Torino e uno di Alessandria – hanno ricevuto avviso di garanzia nonché comunicazione di fine delle indagini per "i delitti 81 cpv, 110, 639 comma 2 perché con più azioni esecutive di un medesimo episodio criminoso (...) deturpavano e imbrattavano parte di un immobile sito in via Fanti 17, facente parte di un edificio parzialmente costruito nel 1700 e quindi ritenuto di interesse storico, luogo dove ha sede il centro congressi dell'Unione Industriali di Torino." Il tutto siglato dal PM Rinaudo sotto l'intestazione della Direzione Provinciale Antimafia.
Una roba dal tono dannatamente serio. "Delitto", "disegno criminoso", "deturpare ed imbrattare" e poi anche l'antimafia.
Facciamo un passo indietro.
Era il 7 luglio. All'Aquila i padroni del mondo facevano la loro passerella tra le rovine della città distrutta dal terremoto. La gente in tenda circondata da uomini armati, i potenti in una caserma/fortezza milionaria. Roba da brividi. Un G8 tra le macerie. Metafora reale di un tempo segnato dalla ferocia e dalla forza, dalla guerra e dalla miseria, dal banchetto di una minoranza di ricchiepotenti sulle spalle dei più. L'arroganza nemmeno si maschera dietro la retorica, nemmeno finge i buoni sentimenti. L'Aquila è il simbolo inquietante di un futuro che è già presente. Un'intera popolazione sotto controllo, mentre i soliti noti costruiscono fortune "umanitarie". Roba sperimentata fuori, tra Somalia e Albania e, adesso, pronta anche per noi.
A Torino, quel 7 luglio, di fronte all'ingresso dell'Unione Industriali in via Fanti, vengono gettate mazzette di soldi in una pozza rosso sangue. Sulla cancellata della palazzina che ospita l'organizzazione dei padroni della città uno striscione bianco con la scritta "G8: guerra, schiavitù, oppressione", siglato FAI. Sangue e soldi al palazzo dei padroni, la cifra di un mondo diviso tra chi ha troppo e chi nulla, chi comanda e chi è obbligato a chinare il capo, ma anche il segno della lotta e della resistenza che, ogni giorno, in ogni dove, vede gli ultimi alzare la testa.
Neanche un mese dopo scatta la vendetta. Pomodoro e soldi finti davanti all'ingresso dell'Unione Industriali diventano "imbrattamento e deturpamento", "delitto", "disegno criminoso". Il marciapiedi di via Fanti si è trasformato un edificio storico del 1700!
Si rasenta il ridicolo. Peccato che quando i pagliacci recitano in toga nelle aule di un tribunale ci sia poco da ridere. Non ci stupiamo. Il prezzo che chiedono per chi si oppone è ben più lieve di quello pagato dai tanti immigrati che in quest'estate d'inferno sono stati ammazzati in mare dalle leggi razziste di questo paese. Molto più lieve di quello invocato per i reclusi del CIE di Milano alla sbarra per essersi ribellati nel cuore di quest'agosto feroce.

Federazione Anarchica Torinese – FAI

Torino. Scritte sul monumento al carabiniere

"Lo Stato uccide. Carlo Giuliani vive". Questa scritta è comparsa nella notte del 20 luglio sul monumento al carabiniere ai giardini reali a Torino.
Era il 20 luglio del 2001. Asserragliati dentro la "zona rossa", i G8 facevano la loro passerella nel cuore di Genova. I padroni del mondo mettevano in scena la potenza di chi decide su un intero pianeta. Un pianeta dove miliardi di persone ogni giorno fanno i conti con un piatto vuoto, dove l'ambiente è ostaggio degli interessi di pochi, dove la guerra ai poveri e ai migranti miete sempre più vittime.
Fuori, per le strade, decine di migliaia di persone manifestavano contro un "ordine" del mondo che è sfruttamento, oppressione, sangue e fame per i più.
Tra i tanti che quel giorno hanno affrontato la violenza scatenata dallo Stato a Genova, c'era anche Carlo Giuliani.
Un carabiniere gli sparò in faccia spezzando la sua vita.
In questi 8 anni lo stato ha assolto se stesso: l'assassino di Carlo è stato prosciolto, come i massacratori della Diaz e Bolzaneto. Alcuni manifestanti sono invece stati condannati a pene gravissime per quei giorni di resistenza e di rivolta.
Oggi come allora i muri gridano una verità che nessun tribunale potrà cancellare.
Lo Stato uccide. Ogni giorno.

M. M.

Torino. Una scintilla solidale

La solidarietà ai prigionieri del CIE di Torino da fastidio. Molto fastidio. Le lotte che hanno infiammato il ferragosto all'ombra della Mole si sono sopite ma il fuoco cova dietro le sbarre. Sei mesi al CIE, poi la deportazione, poi ancora, per forza, il viaggio, i mercanti di uomini, la vita alla roulette russa dei poveri. E magari, alla fine, una nuova prigione, perché, dal 2 agosto, la clandestinità è reato.
Allora non bastano le gabbie, bisogna tagliare anche i fragili ponti di solidarietà, impedire il contatto, foss'anche un semplice saluto in una sera d'estate.
Domenica 23 agosto. Al CIE di corso Brunelleschi si raduna una cinquantina di compagni per un presidio di solidarietà. La questura prepara un'accoglienza da grandi occasioni, bloccando la strada alle auto e schierando l'antisommossa. Sull'isolato opposto una quindicina di leghisti manifesta in solidarietà alla CAMST, la ditta che ha in appalto la gestione del CIE. La settimana precedente i reclusi avevano trovato un bello scarafaggio nella minestra fornita dalla CAMST. Sulla sede della ditta compaiono numerose scritte di denuncia.
Nonostante lo schieramento di forze del disordine, gli antirazzisti scrivono la loro sul muro di cinta del CIE.
Venerdì 28 agosto. Al CIE ronzano i mosconi. Una, due, tre pattuglie di polizia, un paio di macchine della Digos. Impossibile avvicinarsi, gridare, battere i ferri, qualche petardo. Un po' di rumore per far sentire a chi è in gabbia che fuori non è il deserto.
Un gruppetto di antirazzisti deciso a farsi sentire non si perde d'animo. Attraversa veloce il prato del corso, si pianta davanti al muro e grida. Libertà, libertà, libertà. Dentro sentono e rispondono in tanti. La polizia si affanna a chiedere documenti, minacciare, bloccare.
Ma... Sull'altro lato del CIE, in via Mazzarello, partono i fuochi d'artificio, una scintilla solidale nella notte delle gabbie.
Pattuglie, controlli e uomini armati non sono bastati.
Dentro gridano forte.

m. m.

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