Umanità Nova, n.31 del 13 settembre 2009, anno 89

Crisi profonda


Da tempo sulle colonne di Umanità Nova diversi compagni seguono e commentano le vicende dell'economia con particolare riguardo all'attuale crisi. Una crisi che ha caratteri epocali e, spesso, viene paragonata alla famosa crisi del '29.
Uno dei commenti ricorrenti, non solo da parte degli antagonisti a questo sistema, è che la crisi finirà (ma quando?) ma l'assetto che si presenterà al suo termine non sarà più comparabile alle esperienze degli ultimi vent'anni. Molti analisti (anche di parte avversa a noi) hanno parlato e parlano di "crisi del capitalismo" e di "fine del capitalismo".
Negli ultimi 20 anni (per comodità di datazione dal crollo del muro di Berlino ad oggi) il sistema produttivo capitalistico (di impostazione liberale) non ha avuto più alternative; la stessa Cina ha adottato, accanto all'usuale capitalismo di stato, importanti "riforme" indirizzando in senso liberale importanti settori ed aree dell'economia del paese.
Oggi assistiamo ad una "statalizzazione" del capitalismo liberale che, ancora una volta, non è in grado di autosostenersi. Il carattere pervasivo del modo di produzione che chiamiamo capitalismo gli conferisce un'aura sistemica che, in realtà, ha dismesso almeno cento anni fa. Esaurita la "spinta propulsiva" del suo essere un movimento di trasformazione reale dello stato delle cose, fatto che si è sostanzialmente verificato a cavallo della prima guerra mondiale, il capitalismo è da anni un sistema economico assistito dalla fiscalità generale. Le stesse agenzie di regolazione e investimento internazionali (FMI, BM, G8) utilizzano ingenti fondi pubblici per far funzionare un modo di produzione che non è affatto capace di produrre ricchezza ma, esclusivamente, di distruggerne.
Infatti, i "grandi" economisti discutono quali siano le leve per superare la crisi: fiscali, monetarie, spesa pubblica o un mix di queste. Le "regolazioni" servono a far vedere che i soldi pubblici spesi a sostegno della macchina sono "garantiti".
Quindi tutti strumenti dello stato che interviene sul mercato per farlo funzionare nel modo ad esso (lo stato) più congegnale.
La fitta trama delle relazioni di sfruttamento tipiche del modo di produzione capitalistico è assolutamente congeniale al sistema di potere per riuscire a governare le popolazioni senza dover fare ricorso (se non in termini di minaccia o di uso nelle crisi localizzate) alla mano militare. Quando tale modalità va in crisi e le relazioni di sfruttamento "spontanee" mostrano la corda ecco che interviene il potere "sovrano" sia con investimenti e spesa pubblica sia con la mano militare. Abbiamo, anche su questo aspetto, letto molti commenti: la gravità della crisi ha una manifestazione diretta nell'acuirsi degli aspetti repressivi e di militarizzazione sociale.
Sembrerebbe, quella attuale, una inversione di tendenza. È, più probabilmente, una nuova fase, nella quale i caratteri espansivi della produzione incontrano limiti strutturali: da un punto di vista ecologico (ma questo paradigma era già scontato negli anni '70) e da un punto di vista della saturazione dei mercati.
I limiti dell'ecosistema, sia relativamente alle fonti energetiche sia relativamente alla sostenibilità del modo di produzione, sono noti. Nonostante alcune linee di ricerca (fusione nucleare, risorse rinnovabili) diano interessanti risultati, la voracità del capitalismo non può essere soddisfatta. Come le precedenti "rivoluzioni industriali" sono state segnate da nuove fonti energetiche (il carbone dei primordi, l'elettrificazione dell'800, il petrolio del '900, il nucleare degli ultimi decenni), è lecito attendersi che una nuova fase possa realizzarsi a fronte di significative "scoperte" di nuove fonti energetiche.
I limiti del mercato sembravano, invece, non superati; pareva che le tecniche di finanziarizzazione potessero espandere all'infinito la produzione di "ricchezza". L'attuale crisi è invece tutta interna all'eccedenza delle merci prodotte e la crisi finanziaria ne è la conseguenza. È bene precisare che questo non significa che sia finita la miseria; in questo caso sarebbe definitivamente superato il capitalismo come modo di regolazione delle relazioni sociali di sfruttamento.
Avendo la "giusta quantità" di poveri, di meno poveri, di quasi ricchi e di ricchi che serve a garantire la piramide sociale, la quantità di merci prodotte si è rivelata superiore di un 25% rispetto ai consumi.
Questo è avvenuto in quasi tutti i comparti: dai beni intermedi (prodotti, macchine, servizi per la produzione di sistemi addetti a produrre per il consumo) ai beni finali (sia nel comparto dei vicoli che in quello dell'abbigliamento; sia nella farmaceutica che nell'alimentare); dalle armi all'energia; dai trasporti alla logistica. Gli unici comparti "anticiclici" che non hanno subito contrazioni (se non indirettamente) sono quelli statali e dei servizi alle comunità ed alle persone.
Per concludere, provvisoriamente.
È molto probabile che nel 2012-2015, date nelle quali, forse, la crisi contemporanea sarà risolta, avremo una previsione di ricchezza sensibilmente inferiore a quella indicata fino al 2007; è molto probabile che le "grandi potenze" siano configurate in modo significativamente difforme dall'attuale con ruoli emergenti non solo per il BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) ma anche per Venezuela, Iran e Arabia (in senso esteso); è molto probabile che il modo di produzione subisca significative modifiche con una maggiore attenzione ai patrimoni rispetto al corso economico. E' invece improbabile che siano modificate le relazioni di sfruttamento: ci saranno forse meno salariati e più schiavi o servi. La composizione della piramide sociale potrà essere modificata ma non il suo disegno. A meno che…
Intanto, alla fine del terzo trimestre del 2009, il quadro che si presenta è caratterizzato dalla ripresa della speculazione finanziaria sostenuta proprio da quegli incentivi statali che avevano fatto gridare alla "fine del capitalismo" mentre non riparte affatto la produzione e le previsioni occupazionali sono le più fosche con un picco negativo – segnalano gli analisti – verso la fine del 2011.

Walter Siri

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