L'estate si chiude lasciando traccia nella memoria e nelle forme di
lotta che si vanno sviluppando dall'esperienza dell'occupazione
dell'INNSE e della sua conclusione, per molti versi, vittoriosa.
Altre occupazioni si sono susseguite e si susseguono, altri gruppi di
lavoratrici e di lavoratori salgono sui tetti da quelli delle aziende
in crisi a quelli dei provveditorati nel caso dei precari della scuola.
Si tratta di un fatto che merita riflessione, vi sono situazioni nelle
quali lo sciopero non è né l'unica né la
più efficace delle forme di lotta, nella società dello
spettacolo può giocare un ruolo maggiore che in passato l'azione
comunicativa, cresce la sofferenza sociale e si traduce in nuove forme
di azione.
Ma su questa modalità del conflitto sociale si potrà tornare.
Un fatto in ogni caso è difficilmente contestabile, da una parte
cresce la tensione sociale e dall'altra la capacità di controllo
della sinistra istituzionale sia politica che sindacale è sempre
minore.
La sinistra parlamentare sconta, oltre ai regolamenti elettorali che
non la favoriscono certo, l'indebolimento del suo insediamento sociale
con l'effetto di oscillare fra l'antiberlusconismo di principio e il
cedimento alle pretese del governo.
I sindacati concertativi, che godono in ogni modo di risorse cospicue e
di un insediamento capillare nelle aziende e sul territorio, sono presi
da prove tecniche di ricomposizione.
Dopo che la CGIL ha, per mesi, denunciato il cedimento di CISL ed UIL,
oltre che del loro codazzo di sindacati autonomi, corporativi e
destrignaccoli, alle pretese del governo, l'ineffabile Epifani ha
aperto sulla questione della riforma della contrattazione riconoscendo
che, con qualche acconcia correzione, l'indebolimento del ruolo del
contratto nazionale a favore di quello aziendale può essere
preso in considerazione.
Come si suol dire, sic transit gloria mundi, e l'ennesima gloriosa impresa della CGIL si disvela come una tigre di carta.
Naturalmente non tutta la CGIL è d'accordo con Epifani, e quando
mai è successo?, la FIOM resta critica sulla riforma della
contrattazione ecc. ma ciò che, in questo momento, interessa
rilevare è il fatto che la CGIL ha rimesso nei cassetti gli
stendardi da combattimento, ha preso atto che le mobilitazioni che ha
tentato a primavera l'hanno messa in un angolo e si appresta a
riallinearsi con CISL ed UIL.
Dunque, per un verso tensioni sociali, per l'altro subalternità
esplicita dei sindacati istituzionali a governo e confindustria. Una
situazione non semplice.
Proviamo ora a spostare l'attenzione sul governo. Si è rilevato
che sembrerebbe un governo solido e croccante: ampia maggioranza
parlamentare, buoni rapporti con confindustria, sindacati amici.
Cosa si potrebbe desiderare di più dalla vita, escort escluse?
Eppure la questione sociale, la cupa tensione che la crisi determina,
si riflette anche nell'azione del governo e determina tensioni nella
stessa sfera della rappresentanza politica sia pure in forme
oscenamente modificate rispetto alle reali, ctonie, forze che si
muovono fuori dal cono di luce della società dello spettacolo.
Basta riflettere su quanto è rapidamente avvenuto nel circo equestre politico.
Prima una Lega Nord che tira fuori dal cassetto, odorose di naftalina, le gabbie salariali.
Inutile dilungarsi nel merito, basta rilevare che si tratta di un
evidente tentativo di intercettare la richiesta di salario dei
lavoratori industriali del nord. La soluzione proposta dalla Lega
è, ovviamente, indecente e impraticabile dallo stesso punto di
vista padronale per svariati motivi, ma ci interessa rilevare un fatto
evidente: un movimento politico che si fa vanto di dare raffigurazione
plastica ed immediata alle esigenze dei ceti popolari si rende conto
che la questione salariale è esplosiva e ne fa la sua bandiera.
La domanda che sorge evidente è: nel momento in cui sarà
chiaro che sgravi fiscali sui salari (peraltro richiesti dagli stessi
sindacati concertativi come unica modalità di incremento
retributivo) non se ne vedranno, come troverà sbocco la
richiesta di retribuzioni adeguate?
Alla golosità leghista si è contrapposto, con più
immediata anche se modesta soddisfazione, il variopinto fronte della
destra meridionale e meridionalista che, agitando lo spauracchio di un
partito del sud, ha costretto il governo a distribuire qualche miliardo
di euro al sud in modo da garantirle tangenti e consensi. Ancora una
volta, la destra meridionale e meridionalista (e non solo lei) governa
mediante clientelismo e corruzione ma ciò che ora ci interessa
cogliere è il fatto che, per tenere il territorio, deve
garantirsi e garantire risorse anche a costo di confliggere con lo
schieramento nazionale di riferimento.
A ben vedere, la stessa rivolta dei precari della scuola, che pure
hanno manifestato in numero rilevante a Milano nella scorsa settimana,
ha visto in prima fila una serie di città del sud. Se precari e
molti precari della scuola si sono mobilitati al sud, e non solo, in
forma vivace e comunicativa, è certamente perché la
situazione diviene insostenibile.
Di fronte a questa mobilitazione il governo ha reagito riconoscendo una
qualche concessione retributiva e normativa solo ad una parte dei
precari della scuola, quelli non abilitati o specializzati. È
evidente che si tratta di concessioni inadeguate anche per chi le
ottiene (prolungamento dell'indennità di disoccupazione, corsi
di formazione finanziati dalle regioni e poco altro) e discriminanti
per i molti, troppi, che non ottengono nulla. È anche evidente
che il governo qualcosa ha dovuto cedere e che è tutt'altro che
onnipotente ed impermeabile alla pressione sociale quando si esercita
con forza.
In questo contesto, in un contesto di tensioni sociali forti, il
sindacalismo indipendente sta iniziando a costruire uno sciopero
generale intercategoriale il 23 ottobre.
Non vi è chi di noi non vada con la memoria allo sciopero del 17
ottobre dell'anno scorso, al suo notevolissimo successo anche
perché ha incrociato il movimento NO Gelmini, alle tensioni
interne al sindacalismo di base che hanno impedito al sindacalismo
indipendente ed all'opposizione sociale di prendere le mosse da quel
successo per rilanciare in avanti.
Ammettendo in ipotesi che gli errori del passato servano almeno a farne
di nuovi e a evitare il tedio della reiterazione delle precedenti
stupidaggini, crediamo che la costruzione della mobilitazione debba
essere posta in atto sulla base di alcune semplici regole del gioco:
1. un percorso vero, serio, unitario di assemblee,
attivi manifestazioni locali che sappiano coinvolgere il corpo di
tutti, e insisto sul tutti, i sindacati alternativi, i delegati di base
dei sindacati concertativi, l'assieme dell'opposizione sociale;
2. la scelta di porre in relazione il percorso dello
sciopero con le realtà dell'opposizione sociale realmente
esistente valorizzando la ricchezza, complessità,
pluralità dei movimenti;
3. a quest'approccio consegue la valutazione che
è opportuno puntare su una serie ampia di manifestazioni,
presidi, iniziative e non sulla versione sindacalbasista della parata
degli alpini a Roma in modo da coinvolgere nella mobilitazione un
numero rilevante di persone in carne ed ossa.
In sintesi, una valutazione di opportunità contingente e nello
stesso tempo di metodo. Puntare sui territori e sulla pluralità
delle esperienze significa dare rilievo, spazio, forza allo sciopero e,
nello stesso tempo, frenare la deriva centralista ad oltranza che
caratterizza i settori più istituzionali dello stesso
sindacalista alternativo.
Una doppia battaglia politica insomma e proprio per questo una battaglia interessante.
Guzman