Umanità Nova, n.31 del 13 settembre 2009, anno 89

Una sfida da cogliere


L'estate si chiude lasciando traccia nella memoria e nelle forme di lotta che si vanno sviluppando dall'esperienza dell'occupazione dell'INNSE e della sua conclusione, per molti versi, vittoriosa.
Altre occupazioni si sono susseguite e si susseguono, altri gruppi di lavoratrici e di lavoratori salgono sui tetti da quelli delle aziende in crisi a quelli dei provveditorati nel caso dei precari della scuola.
Si tratta di un fatto che merita riflessione, vi sono situazioni nelle quali lo sciopero non è né l'unica né la più efficace delle forme di lotta, nella società dello spettacolo può giocare un ruolo maggiore che in passato l'azione comunicativa, cresce la sofferenza sociale e si traduce in nuove forme di azione.
Ma su questa modalità del conflitto sociale si potrà tornare.
Un fatto in ogni caso è difficilmente contestabile, da una parte cresce la tensione sociale e dall'altra la capacità di controllo della sinistra istituzionale sia politica che sindacale è sempre minore.
La sinistra parlamentare sconta, oltre ai regolamenti elettorali che non la favoriscono certo, l'indebolimento del suo insediamento sociale con l'effetto di oscillare fra l'antiberlusconismo di principio e il cedimento alle pretese del governo.
I sindacati concertativi, che godono in ogni modo di risorse cospicue e di un insediamento capillare nelle aziende e sul territorio, sono presi da prove tecniche di ricomposizione.
Dopo che la CGIL ha, per mesi, denunciato il cedimento di CISL ed UIL, oltre che del loro codazzo di sindacati autonomi, corporativi e destrignaccoli, alle pretese del governo, l'ineffabile Epifani ha aperto sulla questione della riforma della contrattazione riconoscendo che, con qualche acconcia correzione, l'indebolimento del ruolo del contratto nazionale a favore di quello aziendale può essere preso in considerazione.
Come si suol dire, sic transit gloria mundi, e l'ennesima gloriosa impresa della CGIL si disvela come una tigre di carta.  
Naturalmente non tutta la CGIL è d'accordo con Epifani, e quando mai è successo?, la FIOM resta critica sulla riforma della contrattazione ecc. ma ciò che, in questo momento, interessa rilevare è il fatto che la CGIL ha rimesso nei cassetti gli stendardi da combattimento, ha preso atto che le mobilitazioni che ha tentato a primavera l'hanno messa in un angolo e si appresta a riallinearsi con CISL ed UIL.
Dunque, per un verso tensioni sociali, per l'altro subalternità esplicita dei sindacati istituzionali a governo e confindustria. Una situazione non semplice.
Proviamo ora a spostare l'attenzione sul governo. Si è rilevato che sembrerebbe un governo solido e croccante: ampia maggioranza parlamentare, buoni rapporti con confindustria, sindacati amici.
Cosa si potrebbe desiderare di più dalla vita, escort escluse?
Eppure la questione sociale, la cupa tensione che la crisi determina, si riflette anche nell'azione del governo e determina tensioni nella stessa sfera della rappresentanza politica sia pure in forme oscenamente modificate rispetto alle reali, ctonie, forze che si muovono fuori dal cono di luce della società dello spettacolo.
Basta riflettere su quanto è rapidamente avvenuto nel circo equestre politico.
Prima una Lega Nord che tira fuori dal cassetto, odorose di naftalina, le gabbie salariali.
Inutile dilungarsi nel merito, basta rilevare che si tratta di un evidente tentativo di intercettare la richiesta di salario dei lavoratori industriali del nord. La soluzione proposta dalla Lega è, ovviamente, indecente e impraticabile dallo stesso punto di vista padronale per svariati motivi, ma ci interessa rilevare un fatto evidente: un movimento politico che si fa vanto di dare raffigurazione plastica ed immediata alle esigenze dei ceti popolari si rende conto che la questione salariale è esplosiva e ne fa la sua bandiera. La domanda che sorge evidente è: nel momento in cui sarà chiaro che sgravi fiscali sui salari (peraltro richiesti dagli stessi sindacati concertativi come unica modalità di incremento retributivo) non se ne vedranno, come troverà sbocco la richiesta di retribuzioni adeguate?
Alla golosità leghista si è contrapposto, con più immediata anche se modesta soddisfazione, il variopinto fronte della destra meridionale e meridionalista che, agitando lo spauracchio di un partito del sud, ha costretto il governo a distribuire qualche miliardo di euro al sud in modo da garantirle tangenti e consensi. Ancora una volta, la destra meridionale e meridionalista (e non solo lei) governa mediante clientelismo e corruzione ma ciò che ora ci interessa cogliere è il fatto che, per tenere il territorio, deve garantirsi e garantire risorse anche a costo di confliggere con lo schieramento nazionale di riferimento.
A ben vedere, la stessa rivolta dei precari della scuola, che pure hanno manifestato in numero rilevante a Milano nella scorsa settimana, ha visto in prima fila una serie di città del sud. Se precari e molti precari della scuola si sono mobilitati al sud, e non solo, in forma vivace e comunicativa, è certamente perché la situazione diviene insostenibile.
Di fronte a questa mobilitazione il governo ha reagito riconoscendo una qualche concessione retributiva e normativa solo ad una parte dei precari della scuola, quelli non abilitati o specializzati. È evidente che si tratta di concessioni inadeguate anche per chi le ottiene (prolungamento dell'indennità di disoccupazione, corsi di formazione finanziati dalle regioni e poco altro) e discriminanti per i molti, troppi, che non ottengono nulla. È anche evidente che il governo qualcosa ha dovuto cedere e che è tutt'altro che onnipotente ed impermeabile alla pressione sociale quando si esercita con forza.
In questo contesto, in un contesto di tensioni sociali forti, il sindacalismo indipendente sta iniziando a costruire uno sciopero generale intercategoriale il 23 ottobre.
Non vi è chi di noi non vada con la memoria allo sciopero del 17 ottobre dell'anno scorso, al suo notevolissimo successo anche perché ha incrociato il movimento NO Gelmini, alle tensioni interne al sindacalismo di base che hanno impedito al sindacalismo indipendente ed all'opposizione sociale di prendere le mosse da quel successo per rilanciare in avanti.
Ammettendo in ipotesi che gli errori del passato servano almeno a farne di nuovi e a evitare il tedio della reiterazione delle precedenti stupidaggini, crediamo che la costruzione della mobilitazione debba essere posta in atto sulla base di alcune semplici regole del gioco:
1.    un percorso vero, serio, unitario di assemblee, attivi manifestazioni locali che sappiano coinvolgere il corpo di tutti, e insisto sul tutti, i sindacati alternativi, i delegati di base dei sindacati concertativi, l'assieme dell'opposizione sociale;
2.    la scelta di porre in relazione il percorso dello sciopero con le realtà dell'opposizione sociale realmente esistente valorizzando la ricchezza, complessità, pluralità dei movimenti;
3.    a quest'approccio consegue la valutazione che è opportuno puntare su una serie ampia di manifestazioni, presidi, iniziative e non sulla versione sindacalbasista della parata degli alpini a Roma in modo da coinvolgere nella mobilitazione un numero rilevante di persone in carne ed ossa.
In sintesi, una valutazione di opportunità contingente e nello stesso tempo di metodo. Puntare sui territori e sulla pluralità delle esperienze significa dare rilievo, spazio, forza allo sciopero e, nello stesso tempo, frenare la deriva centralista ad oltranza che caratterizza i settori più istituzionali dello stesso sindacalista alternativo.
Una doppia battaglia politica insomma e proprio per questo una battaglia interessante.

Guzman

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