Dalla metà degli anni '70, la Scuola Pubblica è stata
il laboratorio della precarizzazione del lavoro, quindi con venti anni
di anticipo rispetto alla nascita ufficiale dello slogan della
"flessibilità". Il fatto non fu chiaramente avvertito a suo
tempo, poiché la figura del supplente esisteva da sempre, e fu
quindi facile, almeno all'inizio, confondere le acque.
L'ultimo corso abilitante per docenti precari degli anni '70 fu svolto
nel 1974. Dopo quella data, per un intero decennio, fu negata qualsiasi
occasione agli insegnanti precari di accedere ad un titolo abilitante,
e quindi alla possibilità di assunzione a tempo indeterminato.
Si verificò così uno sbilanciamento numerico del
personale insegnante, tanto che quello di "ruolo" divenne minoritario
in molte realtà (allora esisteva ancora la figura giuridica del
ruolo, poi abolita dal governo Amato nel 1993).
Infatti la maggioranza delle supplenze non era più attribuita
dai Presidi, ma dai Provveditori, a conferma che le supplenze stesse
non riguardavano assenze temporanee dei docenti di ruolo, ma posti
vacanti.
Non è una coincidenza il fatto che dalla metà degli anni
'70 si verificasse il boom delle scuole private dette "diplomifici", le
quali potevano disporre di una quantità di personale docente
costretta a lavorare esclusivamente per acquisire punteggio. Per gli
istituti privati la voce di bilancio "costo del lavoro" scendeva
praticamente a zero, anche considerando che in quel decennio divennero
abituali i provvedimenti governativi di fiscalizzazione degli oneri
sociali delle imprese.
Molti Istituti paritari trasformarono addirittura il contributo statale
del cinquanta per cento sullo stipendio dei docenti, in un profitto
netto, dato che ai docenti stessi, in realtà, non
corrispondevano assolutamente nulla.
La proliferazione degli Istituti privati è quindi avvenuta non
solo a scapito del funzionamento della Scuola Pubblica, ma soprattutto
attraverso il denaro pubblico e la precarizzazione del corpo insegnante
pubblico, reso vulnerabile ad ogni genere di ricatto.
Alla fine degli anni '90 la precarizzazione nella Scuola aveva fatto
segnare nuovamente livelli record, anche se, nel 1998, uno dei
rarissimi atti limpidi del ministro dell'Istruzione Berlinguer, fu
quello di adeguarsi alle sentenze dei TAR e del Consiglio di Stato, che
avevano constatato l'illegalità della prassi dei Provveditori -
particolarmente meridionali - di tenere bloccate le assunzioni in
presenza di posti vacanti da anni. In particolare, le graduatorie del
concorso a cattedre del 1990 erano state tenute in quarantena in attesa
della scadenza della loro validità dopo tre anni; un espediente
che il Consiglio di Stato ritenne illegale dato che la scadenza avrebbe
potuto verificarsi solo in presenza dell'indizione di nuovi concorsi,
che invece non erano stati indetti. La accertata illegalità di
queste pratiche di precarizzazione forzata sbloccò per un po' le
assunzioni a tempo indeterminato, ma non comportò alcuna
sanzione disciplinare per i Provveditori responsabili, poiché si
trattava, evidentemente, di una illegalità di Stato pianificata
ad alti livelli. Non a caso, la via del ricorso amministrativo è
stata resa dai vari governi sempre più ostica e problematica.
Gli odierni pretesti ufficiali per le mancate assunzioni nella Scuola
riguardano sempre la indisponibilità di posti, ma, ancora una
volta, è proprio il numero esorbitante dei precari a smentire
questi pretesti. La precarizzazione, perciò, non è
l'effetto di uno stato di necessità, ma costituisce una
forzatura illegale e funzionale agli interessi affaristici
dell'istruzione privata.
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