Maurizio Sacconi ha utilizzato il meeting di Comunione e Liberazione
(una CL ormai spaccata) per annunciare alcune linee d'intervento per
l'autunno. Particolare rilievo ha avuto la questione delle "gabbie
salariali". Dopo le "provocazioni" di Bossi e le reazioni delle
"parti sociali" il contorno della questione è abbastanza
delineato. La stessa CGIL che svolge il ruolo del "bastian contrario"
ha, sostanzialmente, accettato il quadro della contrattazione,
rivendicando l'estensione "universale" della "contrattazione di secondo
livello".
Le argomentazioni di Sacconi non lasciavano margine. O le parti sociali
accettavano l'accordo di gennaio o non ci sarebbe stato sgravio fiscale
sulle quote di salario eccedenti il minimo tabellare.
Lasciando aperto, per il tavolo di trattativa, il quanto, oggi fissato
ad un 10% dell'IRPEF relativa e conseguente, ulteriore, riduzione del
costo dell'IRAP.
Questa mossa ha rotto l'asse CGIL-Confindustria che metteva in
discussione, appunto, l'accordo di gennaio siglato, in un quadro
anti-concertativo, con CISL-UIL-UGL. La Confindustria in versione
Marcegaglia dà, assieme a CGIL, una lettura della crisi
"pessimistica"; ne consegue che la rivendicazione maggiore (ancora una
volta in sintonia con il sindacato guidato da Epifani) sia quella dei
fondi per la cassa integrazione. La linea del governo e degli
"ottimisti" è invece quella di spingere per una ulteriore
flessibilizzazione del lavoro subordinato; appecorare i lavoratori
è – assieme ai miliardi regalati alla speculazione – un
incentivo alla "ripresa".
La lettura del "socialista" Sacconi si tiene su questi toni, ma
converge, nella sostanza, con la lettura discriminatoria del
nazionalista Bossi. Differenziare ulteriormente i salari.
Come argomentato, in questo caso all'unisono, da Marcegaglia, Epifani,
Bonanni e Angeletti, i salari differenziati sono una realtà. Vi
sono le note differenziazioni di categoria, vi è la crescita di
importanza della quota di salario di "secondo livello" (quello delle
contrattazioni aziendali) ma, in molte categorie (soprattutto dei
servizi che svolgono le attività esternalizzate) vi sono le
contrattazioni provinciali che portano a differenziali sulle tariffe
minime anche dell'ordine del 15%.
Abbiamo così persone che pur facendo lo stesso lavoro possono
avere retribuzioni differenziate anche di un terzo; magari all'interno
della stessa struttura produttiva.
E' evidente come queste quote di differenziazione stimolino la lotta
fra poveri sbrecciando la composizione materiale della classe
lavoratrice; questo si somma, poi, alle altre norme, leggi e istituiti
contrattuali che vedono il 20% della classe operaia (gli immigrati) al
minimo dei minimi sia da un punto di vista retributivo che normativo.
L'ulteriore affondo governativo tende a dare un quadro della
contrattazione nel quale la solidarietà sia completamente
bandita. A questo punto la segmentazione del mondo del lavoro
potrà rappresentare al meglio la piramide sociale facendo
introiettare ulteriormente i canoni di questa società basata
sullo sfruttamento.
La risposta non dovrebbe fermarsi ad un no alle gabbie salariali, ma ad
un rilancio di un processo di emancipazione reale del quale una
rivendicazione storica è l'egualitarismo salariale e la garanzia
del reddito per tutti.
WS