Umanità Nova, n.31 del 13 settembre 2009, anno 89

Dopo la Innse la Esab, e poi?


Marcegaglia, esprimendo solidarietà verso gli operai che in questi giorni stanno protestando, ha poi aggiunto: «Se una persona va sul tetto, di certo però non risolve il problema dell'azienda. Le soluzioni sono altre, come ad esempio lavorare con il sindacato e garantire più ammortizzatori». Da "Marcegaglia apre ai sindacati", La Stampa 6.9.2009.

Quello su cui la signora Marcegaglia, tralasciando la solidarietà pelosa, furbescamente tenta di glissare è che la situazione in Italia si sta ormai evolvendo molto velocemente, sempre più vorticosamente, in una direzione che alcuni "gufi" avevano già da tempo previsto.
Non passa infatti giorno di questo tiepido mese di settembre senza che si legga sui quotidiani la notizia della ennesima chiusura di un sito produttivo, con l'immancabile messa in cassa integrazione o mobilità del personale.
Ne sanno qualcosa i dipendenti della Esab Saldatura di Mesero in provincia di Milano, la cui azienda fa parte del gruppo internazionale ESAB, fondato nel lontano 1904 e passato dal 1994 nelle mani della inglese Charter International Plc, società che è registrata a Jersey, nelle isole del Canale della Manica ed ha la sede operativa a Dublino, il tutto per meglio approfittare di tutta una serie di facilitazioni fiscali e normative.
E sono proprio i lavoratori della Esab ad essere improvvisamente balzati all'onore della cronaca da quando, il 2 settembre scorso, dopo che lo stabilimento era già sotto presidio da parte dei lavoratori, sull'esempio dei colleghi della Innse sei di loro sono saliti sul tetto per una eclatante dimostrazione di protesta in opposizione al piano della casa madre che prevede la chiusura dell'impianto e lo spostamento della produzione nell'est europeo; il tutto senza che la proprietà abbia neppure concesso il beneficio della cassa integrazione ai dipendenti, per 85 dei quali ha invece riservato la sola mobilità rifiutando all'ultimo momento di firmare una ipotesi di accordo in tal senso con la rappresentanza aziendale della CUB-Confederazione Unitaria di Base.
Quello che la signora Marcegaglia pudicamente nasconde è il fatto che spesso, se non sempre, la chiusura di una azienda oggi in Italia non è dovuta a banali questioni di bilancio, bensì all'intenzione pura e semplice di approfittare a man bassa dei vantaggi offerti dai paesi dell'est o dell'oriente per ridurre i costi della manodopera (nel caso specifico, inoltre, si aggiunga che l'area dove è situata la Esab appare particolarmente appetibile per il suo valore sul mercato immobiliare).
E ora la signora Marcegaglia se ne viene sapientemente fuori dicendo che col salire su un tetto non si risolve nulla? Perchè c'é la crisi e siamo tutti nella stessa barca?
Vogliamo allora fare qualche esempio tra i tanti venuti alla luce negli ultimi tragici mesi? La Continental tedesca, produttrice di pneumatici, nella tarda primavera ha chiuso due stabilimenti (Francia e Germania) trasferendo la produzione in Romania e in Repubblica Ceca; in Francia la Sarl Molex Automotive, dove si svolse un episodio di sequestro del manager, chiuderà tra poco tempo i battenti e riaprirà in Cina così come ha fatto la Sony con lo stabilimento della Sony France; vogliamo poi ricordare il caso tutto italiano della Indesit di None (Torino) che nei primi mesi dell'anno aveva annunciato il trasferimento della produzione di None nello stabilimento polacco di Radonisko, salvo poi fare marcia indietro dopo le forti contestazioni dei lavoratori?
Ma in fondo, di cosa possiamo stupirci, visto che la legge non pone alcun vincolo alla possibilità per una azienda di allocare le proprie risorse come e dove ritiene sia a lei più conveniente? È uno dei dogmi del capitalismo, no?
Il fatto è che – di fronte ad un autunno che si prospetta quanto mai cupo e mentre le autorità monetarie internazionali prevedono per il 2010 una crescita senza aumento dei posti di lavoro e con la plausibile minaccia di riflessi particolarmente rischiosi sul piano sociale - la Confindustria è ben conscia che senza accordi con i sindacati concertativi la situazione può sfuggire facilmente di mano. Per questo la Marcegaglia, se da una parte cerca di disinnescare la questione della "salita sul tetto", dall'altra ripropone la via degli accordi con annessi ammortizzatori sociali. Sempre che non sia troppo tardi, visto che in tutta Italia le dismissioni stanno provocando la rivolta di gruppi di lavoratori che non hanno alcuna voglia di immolarsi per il bene di imprese che, dal canto loro, intendono solo approfittare dell'occasione per portare a casa il maggior utile possibile.
Come nel caso della Esab dove il titolo della Casa madre Charter International Plc ha spiccato il volo alla notizia delle ultime decisioni della direzione.
A molte orecchie ormai le parole della Marcegaglia appaiono stonate, così come stonata è (o meglio era) la asettica dichiarazione che appare nel sito della Esab Italia: "Valori condivisi-Quello in cui crediamo: Integrità: applichiamo i più severi standard di onestà, etica ed integrità per quanto riguarda tutti gli aspetti del nostro business ...". (Verrebbe da chiedere "ma proprio tutti, gli aspetti?)
E a riprova di come le parole della signora Emma non vengano poi tenute in particolare conto, ecco che assistiamo a un'ulteriore escalation: il 7 settembre scorso infatti cinque lavoratori dell'Alcatel di Battipaglia (Salerno) sono entrati nello stabilimento minacciando di darsi fuoco con taniche di benzina e bombole di gas se non sarà ritirata la decisione dell'azienda di sospendere le attività.
Come diceva Totò: "Ma fateci il piacere!"

RedM

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