Marcegaglia, esprimendo
solidarietà verso gli operai che in questi giorni stanno
protestando, ha poi aggiunto: «Se una persona va sul tetto, di
certo però non risolve il problema dell'azienda. Le soluzioni
sono altre, come ad esempio lavorare con il sindacato e garantire
più ammortizzatori». Da "Marcegaglia apre ai sindacati",
La Stampa 6.9.2009.
Quello su cui la signora Marcegaglia, tralasciando la
solidarietà pelosa, furbescamente tenta di glissare è che
la situazione in Italia si sta ormai evolvendo molto velocemente,
sempre più vorticosamente, in una direzione che alcuni "gufi"
avevano già da tempo previsto.
Non passa infatti giorno di questo tiepido mese di settembre senza che
si legga sui quotidiani la notizia della ennesima chiusura di un sito
produttivo, con l'immancabile messa in cassa integrazione o
mobilità del personale.
Ne sanno qualcosa i dipendenti della Esab Saldatura di Mesero in
provincia di Milano, la cui azienda fa parte del gruppo internazionale
ESAB, fondato nel lontano 1904 e passato dal 1994 nelle mani della
inglese Charter International Plc, società che è
registrata a Jersey, nelle isole del Canale della Manica ed ha la sede
operativa a Dublino, il tutto per meglio approfittare di tutta una
serie di facilitazioni fiscali e normative.
E sono proprio i lavoratori della Esab ad essere improvvisamente
balzati all'onore della cronaca da quando, il 2 settembre scorso, dopo
che lo stabilimento era già sotto presidio da parte dei
lavoratori, sull'esempio dei colleghi della Innse sei di loro sono
saliti sul tetto per una eclatante dimostrazione di protesta in
opposizione al piano della casa madre che prevede la chiusura
dell'impianto e lo spostamento della produzione nell'est europeo; il
tutto senza che la proprietà abbia neppure concesso il beneficio
della cassa integrazione ai dipendenti, per 85 dei quali ha invece
riservato la sola mobilità rifiutando all'ultimo momento di
firmare una ipotesi di accordo in tal senso con la rappresentanza
aziendale della CUB-Confederazione Unitaria di Base.
Quello che la signora Marcegaglia pudicamente nasconde è il
fatto che spesso, se non sempre, la chiusura di una azienda oggi in
Italia non è dovuta a banali questioni di bilancio, bensì
all'intenzione pura e semplice di approfittare a man bassa dei vantaggi
offerti dai paesi dell'est o dell'oriente per ridurre i costi della
manodopera (nel caso specifico, inoltre, si aggiunga che l'area dove
è situata la Esab appare particolarmente appetibile per il suo
valore sul mercato immobiliare).
E ora la signora Marcegaglia se ne viene sapientemente fuori dicendo
che col salire su un tetto non si risolve nulla? Perchè
c'é la crisi e siamo tutti nella stessa barca?
Vogliamo allora fare qualche esempio tra i tanti venuti alla luce negli
ultimi tragici mesi? La Continental tedesca, produttrice di pneumatici,
nella tarda primavera ha chiuso due stabilimenti (Francia e Germania)
trasferendo la produzione in Romania e in Repubblica Ceca; in Francia
la Sarl Molex Automotive, dove si svolse un episodio di sequestro del
manager, chiuderà tra poco tempo i battenti e riaprirà in
Cina così come ha fatto la Sony con lo stabilimento della Sony
France; vogliamo poi ricordare il caso tutto italiano della Indesit di
None (Torino) che nei primi mesi dell'anno aveva annunciato il
trasferimento della produzione di None nello stabilimento polacco di
Radonisko, salvo poi fare marcia indietro dopo le forti contestazioni
dei lavoratori?
Ma in fondo, di cosa possiamo stupirci, visto che la legge non pone
alcun vincolo alla possibilità per una azienda di allocare le
proprie risorse come e dove ritiene sia a lei più conveniente?
È uno dei dogmi del capitalismo, no?
Il fatto è che – di fronte ad un autunno che si prospetta quanto
mai cupo e mentre le autorità monetarie internazionali prevedono
per il 2010 una crescita senza aumento dei posti di lavoro e con la
plausibile minaccia di riflessi particolarmente rischiosi sul piano
sociale - la Confindustria è ben conscia che senza accordi con i
sindacati concertativi la situazione può sfuggire facilmente di
mano. Per questo la Marcegaglia, se da una parte cerca di disinnescare
la questione della "salita sul tetto", dall'altra ripropone la via
degli accordi con annessi ammortizzatori sociali. Sempre che non sia
troppo tardi, visto che in tutta Italia le dismissioni stanno
provocando la rivolta di gruppi di lavoratori che non hanno alcuna
voglia di immolarsi per il bene di imprese che, dal canto loro,
intendono solo approfittare dell'occasione per portare a casa il
maggior utile possibile.
Come nel caso della Esab dove il titolo della Casa madre Charter
International Plc ha spiccato il volo alla notizia delle ultime
decisioni della direzione.
A molte orecchie ormai le parole della Marcegaglia appaiono stonate,
così come stonata è (o meglio era) la asettica
dichiarazione che appare nel sito della Esab Italia: "Valori
condivisi-Quello in cui crediamo: Integrità: applichiamo i
più severi standard di onestà, etica ed integrità
per quanto riguarda tutti gli aspetti del nostro business ...".
(Verrebbe da chiedere "ma proprio tutti, gli aspetti?)
E a riprova di come le parole della signora Emma non vengano poi tenute
in particolare conto, ecco che assistiamo a un'ulteriore escalation: il
7 settembre scorso infatti cinque lavoratori dell'Alcatel di
Battipaglia (Salerno) sono entrati nello stabilimento minacciando di
darsi fuoco con taniche di benzina e bombole di gas se non sarà
ritirata la decisione dell'azienda di sospendere le attività.
Come diceva Totò: "Ma fateci il piacere!"
RedM