La manovra Gelmini Tremonti dello scorso anno sta producendo i
programmati devastanti effetti sui posti di lavoro della scuola. Le
cifre, tristemente note, si attestano attorno ai 42.000 posti docenti e
15.000 posti di personale amministrativo, tecnico e ausiliario. I tagli
sono stati realizzati con il blocco del turn over (non reintegrando i
pensionamenti con nuove immissioni in ruolo e in molti casi procedendo
addirittura alla cancellazione del posto), con l'introduzione del
maestro unico nella primaria, con il calo delle ore curricolari nella
scuola primaria, media e, già da ora, in alcuni professionali,
con l'aumento del numero degli alunni per classe e la conseguente
diminuzione delle classi, con la formazione, per alcuni insegnamenti,
di cattedre a 20 ore. E ancora: tagli sul personale delle segreterie,
sui collaboratori scolastici, il cui organico è legato al numero
delle classi, ma è anche vittima dei processi di
esternalizzazione delle pulizie, sugli assistenti tecnici e sugli
insegnanti tecnico pratici.
Una mannaia che non cesserà di riproporsi nei prossimi anni. La
riforma delle superiori prevede consistenti tagli di ore di
insegnamento; la flessibilità che ogni scuola potrà
autonomamente adottare favorirà solo deregulation e fluttuazione
di organico, vale a dire altra precarietà; gli stage prolungati
in azienda, che consegneranno studenti in mano all'impresa sempre a
caccia di un apprendistato da sfruttare, faranno il resto.
A scontare l'attacco occupazionale, come è noto dalle cronache
di quest'ultimo periodo, sono soprattutto i precari. Circa 25.000
persone che ricevevano nomine annuali sono a casa; altre 10.000 circa
che lavoravano su supplenze temporanee pure. Una situazione che ha dato
luogo a proteste crescenti e clamorose, mettendo in evidenza un
problema che, per le proporzioni, rappresenta una drammatica emergenza
sociale, ma che non è nuovo per un settore come la scuola, che
storicamente si regge sul precariato. A questa emergenza, lo stesso
governo che taglia risponde con misure anticrisi che dovrebbero avere
funzione di sostegno.
Priorità nell'assegnazione di supplenze brevi a chi ha avuto un
contratto annuale nello scorso anno scolastico e valutazione giuridica
dell'intero anno scolastico per chi accetta tutte le supplenze
brevi (contratto di disponibilità). Corresponsione
più veloce dell'indennità di disoccupazione, estensibile
a 12 mesi per chi ha più di 50 anni. Accordi Governo - regioni
per l'ampliamento dell'offerta formativa (istituzione di corsi vari
ricorrendo ai fondi europei) che crei opportunità integrative di
lavoro per i precari.
I provvedimenti, inseriti nel decreto Ronchi, evidenziano la loro
inconsistenza: si rivolgono ad un numero ristretto di lavoratori
(10-12.000 sugli oltre 30.000 che sono a casa), creando ulteriori
frammentazioni e precarizzando ancora di più la
precarietà; istituiscono corsie preferenziali del tutto
arbitrarie, scavalcando le graduatorie e prefigurando la chiamata
diretta da parte del preside; creano istituti contrattuali e figure
atipiche attraverso i contratti di disponibilità; creano
disomogeneità territoriale appaltando la possibilità
occupazionale alla discrezionalità delle regioni (per ora hanno
aderito solo Lombardia, Sicilia, Sardegna e Campania, mentre le altre
chiedono che il provvedimento venga discusso dalla Conferenza Stato -
regioni) e riversando risorse nella formazione professionale, settore
quanto mai regolato dalle esigenze di mercato e Confindustria. Senza
contare che non sono stati stanziati, per le scuole, fondi da destinare
alle supplenze, cosa che, da sola, mina alla base tutta la manovra.
Nonostante tutto, l'operazione mira ingegnosamente a raggiungere, in un
colpo solo, una pluralità di obiettivi: non solo tagliare le
spese attraverso un massiccio abbattimento di posti di lavoro, ma anche
mutare lo status dei precari della scuola, ridisegnando un panorama.
Come è noto, il precariato, nella scuola, non è
un'invenzione recente. La configurazione del lavoro, in questo settore,
anche per la sua specificità, si è sempre basata sul
personale a tempo indeterminato – una volta si diceva "di ruolo"- e
quello a tempo determinato. Su questa specificità si è
costruito ed alimentato un sistema funzionale all'esigenza economica di
non stabilizzare i rapporti di lavoro. Eppure, paradossalmente, il
sistema non stabilizzato è diventato tanto stabile da
consentire anche alcune garanzie di natura contrattuale per i precari
della scuola. I contratti collettivi del comparto, infatti,
disciplinano anche i lavoratori a tempo determinato e gli aspetti
normativi, retributivi e di "reclutamento" sono regolamentati in modo
chiaro.
L'introduzione degli ammortizzatori sociali va sostanzialmente a
disgregare questo inquadramento, rendendo il precario della scuola un
soggetto molto più debole, prevedendo, come si è detto,
la chiamata diretta fuori graduatoria, travasando il personale nei
canali degli enti locali, normati da altre regole contrattuali, aprendo
ai contratti ad personam su prestazioni da concordare. Il fenomeno del
precariato nella scuola finora ha fatto scandalo perché
rappresentava la paralisi di ciò che per sua natura dovrebbe
essere estremamente transitorio.
Adesso, senza dare maggiori aspettative di lavoro e senza andare verso
il superamento del precariato, lo si fa diventare qualcosa di ancora
meno certo, prospettando, attraverso le misure anticrisi, i mille
rivoli dei contratti atipici. Solo in questo senso ci si
può spiegare perché il Governo intende spendere per gli
ammortizzatori sociali e non per le conferme sui posti di lavoro:
tagliare i posti e insieme depotenziare e destrutturare il precariato
della scuola è un obiettivo estremamente interessante per il
Governo.
E' necessario quindi sostenere le lotte specifiche dei precari volte
al ripristino dei posti di lavoro ed assumerle nell'ambito della
più generale lotta contro i tagli, contro la riforma, contro la
crescente gerarchizzazione e meritocrazia, contro la politica del
governo; devono essere valorizzate tutte le mobilitazioni che si
muovano attorno a questi obiettivi, da quelle spontanee a quelle
già in calendario, come lo sciopero indetto dall'Unicobas per il
9 ottobre, a quelle che sono da costruire.
Infine, un paio di osservazioni di carattere generale.
Le azioni simboliche intraprese in quest'ultimo periodo dai lavoratori
di varie situazioni, dall'industria alla scuola, hanno l'innegabile
pregio di rappresentare la drammaticità di un problema e la
volontà di misurarsi con la controparte senza mediazioni, oltre
che richiamare l'attenzione pubblica in modo potente. E' bene
ricordare comunque che, in queste come in altre situazioni, le azioni
simboliche vanno inserite in un percorso di lotta collettivo. Sarebbe
estremamente fuorviante, soprattutto in una fase in cui il diritto di
sciopero è attaccato pesantemente, accantonare le forme
classiche di mobilitazione collettiva dei lavoratori per favorire
l'iniziativa clamorosa del singolo, anche se replicata e
condivisa.
Inoltre, la questione del precariato, in generale, ha necessità
di essere ripensata. Quantomeno è ora di uscire dalla logica del
precariato "esistenziale" su cui spesso il dibattito si intrattiene. Il
diritto al lavoro, se lo si vuole rivendicare, va rivendicato per
obiettivi che abbiano elementi di emancipazione: l'autonomia economica,
l'autodeterminazione, la volontà di contrastare le dinamiche
dello sfruttamento capitalistico. Tutto ciò che, in ogni caso,
sia elemento di rottura. Smettiamo di recitare la trita litania secondo
la quale il precario va compatito perché non può
progettare di sposarsi, pagare un mutuo o le rate della macchina.
Il precariato va superato non per assicurare ad un lavoratore delle
condizioni di integrazione sociale e culturale, ma per rendere il
precario un soggetto più forte, in grado di produrre reale
antagonismo al capitale.
Patrizia