Come in tutte le descrizioni lineari c'è qualcosa che non
torna. Dal resoconto di Guzman sulla crisi della Cub si evince che le
RdB hanno tentato un colpo di mano, non ancora riuscito, per rompere il
più grande sindacato di base, o meglio per impossessarsene.
Questo tentativo di "colpo di stato interno" sembra che abbia
rivitalizzato le componenti Cub non appiattite su RDB. Guzman ci invita
a guardare dietro le quinte del palcoscenico e lo fa indicando
sostanzialmente due modelli sindacali che non solo non hanno trovato
una sintesi comune, ma che nel corso degli anni, invece di riunificarsi
si sono differenziati sempre più: sul federalismo organizzativo,
sulla firma dei contratti nazionali e sull'autonomia da partiti,
governo e padronato.
Gli elementi evidenziati da Guzman sono reali e basati su dati di
fatto, tant'è che molti compagni libertari criticavano la Cub
indistinta e unificata proprio sui tre punti evidenziati in precedenza.
Peccato che questi aspetti fossero ben presenti in tutto il rapporto di
unificazione tra le due sigle sindacali, ovvero RdB e Cub e quindi ben
prima che esplodessero le divergenze tutt'ora in atto. Se da logica
consegue logica, questo significa che il carattere
centralista/autoritario delle RdB, i rapporti con partiti comunisti di
varia natura, governativi e non, e le firme di svariati contratti
nazionali e locali non sono stati un problema rilevante in tutti questi
anni. Altrimenti, e viceversa, ci si sarebbe dovuti aspettare ben prima
un distanziamento delle componenti federaliste, etc, etc.
Il problema politico è emerso, ci dice Guzman, quando una
componente politica, tramite una rottura organizzativa, ha fatto
emergere il problema in quanto politico. Ci sembra una spiegazione
ex-post molto poco convincente, ma non tanto perché non sia vera
nella sua formulazione, quanto perché, a nostro parere, non
risponde al vero dato di realtà sulla rottura organizzativa tra
il cartello romano di Leonardi e il cartello milanese di Tiboni.
La questione di fondo era ed è, sempre a nostro parere, quello
che ha sottolineato Guzman quando parla di peso specifico delle
componenti organizzative: detto in soldoni significa chi va a gestire
che cosa e con quale ruolo. Nessuno, neppure i federalisti tiboniani
avevano mai messo in discussione, oltre che le derive (derive di cosa?
sono sempre stati così) autoritario/firmaiole di RdB, il patto
sindacale con Cobas e Sdl. Una Sdl, tra le altre cose, molto più
vicina a RdB che non ai federalisti tiboniani. Almeno così
sembra di capire dagli avvenimenti sino al fatidico terremoto in
Abruzzo. Poi non si capisce più nulla o meglio si inizia a
capire tutto. I sindacati di base del patto revocano lo sciopero
generale proprio a causa del terremoto: lo sciopero generale viene
rimandato sine die. Con un colpo di mano organizzativo, i federalisti
tiboniani, contro la propria organizzazione e contro le altre del patto
riconvocano lo sciopero generale per metà maggio. In questa
operazione di facciata i lavoratori sono mere pedine di un gioco
interno: a questo punto Tiboni, solo, decide di imbarcare chi
può. E non trovando nessuno sulla piazza, i federalisti
tiboniani riescono a chiamare a raduno chi avevano sempre snobbato:
l'USI-AIT di cui facciamo parte, che purtroppo ha accettato.
Guarda caso, in quella situazione, molti dei federalisti tiboniani,
seppur contrari allo sciopero, non dissero pubblicamente nulla. Quindi
è probabile che i metodi del grande timoniere milanese vadano
bene più o meno di quelli del timoniere romano, finché le
parti sono in equilibrio.
Lo sciopero di maggio è stata una farsa e un insuccesso totale,
ma di questo poco importa. Il fallimento dello sciopero nonché
il colpo di mano sulla sua convocazione divengono pretesto, ma forse
qualcosa si era già consumato nelle stanze del sindacato, per
arrivare ad una rottura formale di tipo organizzativo condita da
pretesti contenutistici.
Come abbiamo già avuto modo di dire, non è che questi non
ci siano o non ci fossero anche prima: soltanto che una lettura
oltremodo contenutistica degli avvenimenti, come quella fatta da
Guzman, nasconde purtroppo pezzi di storia che riguardano potere, sedi,
soldi, distacchi e forse anche i lavoratori. In tutto questo, da fuori,
riesce difficile schierarsi con qualcuno dei contendenti.
Pietro Stara e Guido Barroero