Umanità Nova, n.32 del 20 settembre 2009, anno 89

Dibattito. La CUB vista da fuori


Come in tutte le descrizioni lineari c'è qualcosa che non torna. Dal resoconto di Guzman sulla crisi della Cub si evince che le RdB hanno tentato un colpo di mano, non ancora riuscito, per rompere il più grande sindacato di base, o meglio per impossessarsene. Questo tentativo di "colpo di stato interno" sembra che abbia rivitalizzato le componenti Cub non appiattite su RDB. Guzman ci invita a guardare dietro le quinte del palcoscenico e lo fa indicando sostanzialmente due modelli sindacali che non solo non hanno trovato una sintesi comune, ma che nel corso degli anni, invece di riunificarsi si sono differenziati sempre più: sul federalismo organizzativo, sulla firma dei contratti nazionali e sull'autonomia da partiti, governo e padronato.
Gli elementi evidenziati da Guzman sono reali e basati su dati di fatto, tant'è che molti compagni libertari criticavano la Cub indistinta e unificata proprio sui tre punti evidenziati in precedenza. Peccato che questi aspetti fossero ben presenti in tutto il rapporto di unificazione tra le due sigle sindacali, ovvero RdB e Cub e quindi ben prima che esplodessero le divergenze tutt'ora in atto. Se da logica consegue logica, questo significa che il carattere centralista/autoritario delle RdB, i rapporti con partiti comunisti di varia natura, governativi e non, e le firme di svariati contratti nazionali e locali non sono stati un problema rilevante in tutti questi anni. Altrimenti, e viceversa, ci si sarebbe dovuti aspettare ben prima un distanziamento delle componenti federaliste, etc, etc.
Il problema politico è emerso, ci dice Guzman, quando una componente politica, tramite una rottura organizzativa, ha fatto emergere il problema in quanto politico. Ci sembra una spiegazione ex-post molto poco convincente, ma non tanto perché non sia vera nella sua formulazione, quanto perché, a nostro parere, non risponde al vero dato di realtà sulla rottura organizzativa tra il cartello romano di Leonardi e il cartello milanese di Tiboni.
La questione di fondo era ed è, sempre a nostro parere, quello che ha sottolineato Guzman quando parla di peso specifico delle componenti organizzative: detto in soldoni significa chi va a gestire che cosa e con quale ruolo. Nessuno, neppure i federalisti tiboniani avevano mai messo in discussione, oltre che le derive (derive di cosa? sono sempre stati così) autoritario/firmaiole di RdB, il patto sindacale con Cobas e Sdl. Una Sdl, tra le altre cose, molto più vicina a RdB che non ai federalisti tiboniani. Almeno così sembra di capire dagli avvenimenti sino al fatidico terremoto in Abruzzo. Poi non si capisce più nulla o meglio si inizia a capire tutto. I sindacati di base del patto revocano lo sciopero generale proprio a causa del terremoto: lo sciopero generale viene rimandato sine die. Con un colpo di mano organizzativo, i federalisti tiboniani, contro la propria organizzazione e contro le altre del patto riconvocano lo sciopero generale per metà maggio. In questa operazione di facciata i lavoratori sono mere pedine di un gioco interno: a questo punto Tiboni, solo, decide di imbarcare chi può. E non trovando nessuno sulla piazza, i federalisti tiboniani riescono a chiamare a raduno chi avevano sempre snobbato: l'USI-AIT di cui facciamo parte, che purtroppo ha accettato.
Guarda caso, in quella situazione, molti dei federalisti tiboniani, seppur contrari allo sciopero, non dissero pubblicamente nulla. Quindi è probabile che i metodi del grande timoniere milanese vadano bene più o meno di quelli del timoniere romano, finché le parti sono in equilibrio.
Lo sciopero di maggio è stata una farsa e un insuccesso totale, ma di questo poco importa. Il fallimento dello sciopero nonché il colpo di mano sulla sua convocazione divengono pretesto, ma forse qualcosa si era già consumato nelle stanze del sindacato, per arrivare ad una rottura formale di tipo organizzativo condita da pretesti contenutistici.
Come abbiamo già avuto modo di dire, non è che questi non ci siano o non ci fossero anche prima: soltanto che una lettura oltremodo contenutistica degli avvenimenti, come quella fatta da Guzman, nasconde purtroppo pezzi di storia che riguardano potere, sedi, soldi, distacchi e forse anche i lavoratori. In tutto questo, da fuori, riesce difficile schierarsi con qualcuno dei contendenti.

Pietro Stara e Guido Barroero

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