Umanità Nova, n.32 del 20 settembre 2009, anno 89

informAzione - 2


Torino. Fronte del CIE

Mercoledì 9 settembre. Gli anarchici della FAI torinese danno vita ad un punto info sui CIE in via Po. Nei CIE – Centri di Identificazione ed Espulsione - quella appena trascorsa è stata una lunga estate calda e l'autunno che si affaccia potrebbe non essere da meno.
Da sempre nei CIE – ieri CPT - soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. La resistenza e le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l'ultimo decennio. Negli ultimi mesi, durante il dibattito sulle nuove norme, si sono moltiplicati gli episodi di resistenza. Una resistenza spesso disperata fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno l'ha fatta finita appendendosi nei bagni. È successo il 7 maggio al CIE di Ponte Galeria a Roma. Si chiamava Nabruka Nimuni, era tunisina, il giorno che si è ammazzata era quello della sua deportazione.
In agosto, quando sono cominciati a fioccare i provvedimenti di estensione a sei mesi della detenzione, nei CIE di Milano, Roma, Bari, Gradisca, Bologna, Torino, Modena ci sono stati scioperi della fame, materassi bruciati, suppellettili distrutte, attacchi alla polizia, proteste sul tetto. Polizia, militari e crocerossini rispondono a suon di botte.
A Torino l'ultimo episodio è del 9 settembre. Una quindicina di immigrati, in coda per la terapia, protestano vivacemente per la lunga attesa. Gli alpini, è la prima volta da quando sono di "servizio" nel CIE, rispondono con un violento pestaggio. Un operatore umanitario della CRI porta loro i manganelli perché possano lavorare meglio.
Venerdì 11 settembre. In prefettura a Torino è il giorno dell'apertura delle buste per l'appalto per la gestione dei CIE nei prossimi tre anni. La data è sul bando esposto in prefettura, dove si specifica che la seduta è pubblica. Alle 10 in punto sei anarchici si presentano all'ingresso della Prefettura in piazza Castello. All'ingresso li attendono due funzionari della Digos che negano loro l'ingresso, asserendo che l'apertura delle buste è stata rimandata. Il responsabile della prefettura conferma. Sarà vero?
Domenica 13 settembre. Sotto le mura del CIE, petardi, fumogeni, slogan solidali per far sentire a chi è dentro la solidarietà alla loro lotta.

M. M.

Torino. Casa Bianca resiste

Venerdì 11 settembre. Per i profughi e i rifugiati somali, eritrei ed abissini che, da quasi un anno, occupano l'ex clinica S. Paolo di corso Peschiera, è il giorno del "trasferimento". Circa duecento hanno accettato di andare nella ex caserma di via Asti, un altro centinaio – quelli bisognosi di protezione – sono destinati ad una struttura della CRI a Settimo. Le operazioni vanno avanti per l'intera mattinata, mentre fuori c'è un folto presidio di antirazzisti e solidali.
Una trentina, che non si erano iscritti, restano fuori ma verranno alla fine sistemati anche loro. Tutto a posto, tutti contenti. Forse. Qualche rifugiato di via Asti fa sapere che l'ex caserma non è esattamente un albergo: le cucine per il momento non funzionano.
La polizia sigilla l'ex clinica con assi da cantiere e piazza una camionetta all'angolo con la via. Già, perché la partita è ben lungi dall'essersi chiusa. Nel retro della ex clinica c'è una casa di appartamenti che un tempo ospitava gli infermieri, dove si sono insediati numerosi rifugiati, facendone la loro dimora. L'hanno chiamata "casa bianca" e non hanno nessuna intenzione di andarsene. Per la prima volta da quando sono in Italia hanno un posto decente dove vivere, lo hanno conquistato con la lotta e non intendono mollare.
La polizia non interviene ma fa sapere che è questione di giorni. L'avvocato della proprietà, l'ex deputato socialista Filippo Fiandrotti, ha una posizione ambigua circa la possibilità di non chiedere lo sgombero immediato.
I profughi di "casa bianca" non intendono mollare. Tra loro c'è anche una ragazza al settimo mese, che esibisce con orgoglio il suo pancione, decisa a far nascere suo figlio in una vera casa.

M. M.

Udine. Irving in città

Alla fine di agosto filtrava la notizia che un gruppo fascista locale stava organizzando un incontro a Udine per il 12 settembre con lo pseudostorico negazionista David Irving. Pronta era la reazione del gruppo libertario Antifascisti/e friulani/e e studenti e studentesse antifascisti/e che denunciava pubblicamente l'iniziativa suscitando scalpore mediatico sulla stampa locale. Non si facevano attendere le rituali dichiarazioni di condanna da parte del Sindaco di centrosinistra Honsell e dell'antifascismo ufficiale, prese di posizione piene di pathos ma rigorosamente relegate al piano verbale, mentre alcuni figuri della destra locale invocavano la "libertà di espressione" anche per la propaganda neonazista di Irving.
Seguiva una pantomima degna di un film giallo con smentite da parte dei fascisti, che dichiaravano di aver rinviato l'incontro a gennaio, oscure lettere anonime, manovre diversive da parte della Questura...
All'avvicinarsi della data del 12 settembre, anche sulla base di alcune segnalazioni che sembravano indicare che l'incontro fosse stato segretamente confermato ma dirottato nella vicina cittadina di Tolmezzo, gli Antifascisti/e friulani/e rilanciavano l'allarme convocando anche un presidio in quella località. La risposta dell'antifascismo istituzionale era pari a zero, mentre i fascisti continuavano a dichiarare di aver rinviato l'incontro.
Solo la sera dell'11 trapelava la notizia che l'incontro si sarebbe effettivamente tenuto l'indomani ma in località che sarebbe stata tenuta rigorosamente segreta fino all'ultimo momento.
A questo punto l'USI di Udine convocava un secondo presidio in città nel quale confluivano le varie anime del movimento libertario e molti altri antifascisti.
Buona era la presenza nei due presidi, ma solo a cose fatte si veniva a sapere che l'incontro con Irving aveva comunque potuto tenersi: a porte chiuse, nella massima segretezza, in un hotel alla periferia di Udine, grazie alla sapiente regia della Questura.
Se rimane l'amarezza di non essere riusciti ad impedire la vergognosa iniziativa costituisce almeno una vittoria aver obbligato Irving e i fascisti a nascondersi per poterla realizzare.

M

Cosenza. Le tute gialle sono da giorni sul tetto della provincia

Cosenza è stracolma di immondizia, lo vedono tutti, lo vede tutta la città.
È da diversi anni che le tute gialle della Vallecrati lottano per vedere garantiti i loro diritti di lavoratori, sempre calpestati da i vari amministratori succedutisi e dal consorzio tutto. Vallecrati è una società misto pubblico-privato, composta da 44 sindaci che ne detengono il 51% e da 4 soci privati che hanno il restante 49%.
La crisi dell'azienda in cui lavoriamo, la Vallecrati, colpisce non tanto gli organi dirigenti della spa, ma la città e soprattutto noi operai. La città vede, commenta ma, al momento, sembra non rispondere.
Allo stesso tempo i politici ci buttano fango addosso tacciandoci delinquenti e fannulloni, loro che hanno voluto il carrozzone Vallecrati, Hanno sperperato tutti i fondi, tra cui quelli sulla raccolta differenziata, di fatto mai partita. Protestiamo perché non vogliono pagare le schifezze fatte da chi gestisce l'azienda, chiediamo gli stipendi arretrati (tre mensilità e quattordicesima) ma soprattutto il futuro.
Siamo in 400, guadagniamo meno di 1000 euro al mese e la maggior parte di noi è padre di famiglia. Oltre a questa protesta altri lavoratori nella giornata del 4 settembre scorso hanno occupato l'Autostrada Salerno-Reggio. Intanto la città di Cosenza viene invasa dalla spazzatura e alcuni cassonetti prendono fuoco.
"Siamo stati tacciati di tutto, l'ultima è di aver intimidito le ditte private di non raccogliere i rifiuti, naturalmente operazioni giornalistiche per distogliere l'opinione pubblica dal vero problema che abbiamo: il lavoro.
Abbiamo attuato questa protesta autonomamente, ci siamo autodeterminati e agiremo giorno dopo giorno a seconda delle scelte che nei piani alti decideranno sulla pelle e sul nostro futuro. Non placheremo la lotta nemmeno di fronte al pagamento delle mensilità arretrate, la nostra lotta è per il futuro, vogliamo garanzie scritte non le solite chiacchiere, vogliamo continuare a lavorare per le nostre città, garantire il decoro a tutti i cittadini e a noi stessi, che siamo, prima di tutto, cittadini oltre che operatori ecologici che lavoriamo da anni in condizioni precarie, le mascherine non sappiamo cosa sono, i guanti e le buste riusciamo ad averle con estrema difficoltà, i mezzi a volte sono del tutto inadeguati. Ad ogni nostra richiesta la risposta è sempre uguale: non ci sono i soldi."
Pur trattandosi di un lavoro dequalificato, poco retribuito, le tute gialle, così come molti meridionali, abituati ad accettare come una fortuna quella che è di fatto una sciagura, tengono oramai da più di una settimana. Il palazzo della provincia occupato si trova di fronte al carcere di via Popilia e la prima solidarietà arriva proprio dal cortile e dalle celle dove di notte si vedono le fiammelle degli accendini, come nei concerti allo stadio. I primi giorni passano con blocchi estemporanei della 107 adiacente. Intanto monta il presidio nel cortile del palazzo della provincia, con la presenza fissa di una parte degli operai pronti a dare il cambio ai colleghi che vanno a casa dopo la notte passata sul tetto. Commozione, rabbia, applausi, in uno dei quotidiani cortei, gli operai della Vallecrati, s'incrocia con quello dei precari  della scuola, c'è chi va dalla prefettura al comune e chi fa il tragitto al contrario.
La sede legale della Vallecrati, diventata un fortino protetto dalle forze dell'ordine in assetto anti-sommossa, anche se mancano gli operai che decidono di aspettare le notizie dal tetto occupato.
In questa storia di palleggi tra Spa, sindaci e privati, in questa storiaccia di saccheggio dei fondi pubblici per fini privati, in questa triste vicenda di potentati politici che hanno ingrassato la gallina Vallecrati per poi sgozzarla,  a rimetterci sono solo gli operai; il 17 settembre, verrà chiesto il fallimento in tribunale. La lotta continua.

Oreste

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti