Quotidiani, periodici, televisione, blog e molta dell'informazione
su internet ci bombardano da anni con la retorica della sicurezza. Al
di là e contro ogni evidenza statistica, la "sicurezza", intesa
nel suo senso fisico e mai nei termini di sicurezza esistenziale
(salariale, sociale, ambientale, medica, educativa ecc.) è
obiettivo prioritario di qualunque schieramento di governo.
Un'enfasi penale – potremmo chiamarla - che prova continuamente ad
ammorbarci di un nuovo senso comune, penale anch'esso, di
criminalizzazione della miseria che sperimentata negli Stati Uniti ha
contagiato il mondo, stivale compreso.
Negli USA il "rigore penale" degli ultimi tre decenni ha
implicato una crescita inarrestabile di quel che in maniera appropriata
è stato denominato "l'universo concentrazionario", o ancora "il
più grande esperimento di imprigionamento di massa dai tempi di
Stalin". Una dinamica, questa, che non conosce soste e che mostra dati
impressionanti. Su trecento milioni di abitanti che abitano il
territorio statunitense circa un milione e seicentomila carcerati
riempiono le prigioni statali e federali (trent'anni fa erano
duecentomila), ottocentomila quelle locali (cinquecentomila sono in
attesa di giudizio), e più di centomila minori popolano i
riformatori (30.000 sono nelle carceri per adulti).
Un totale di 2,5 milioni di persone in prigione: un carcerato ogni 120
abitanti, con un tasso di detenzione di 833 per 100.000; ma, se
aggiungiamo ai 2,5 milioni in prigione i 5,2 milioni che sono in
libertà vigilata ("probation e parole"), arriviamo a un
condannato ogni 40 abitanti (2,5 per cento). 100.000 sono i detenuti in
isolamento, 3.300 quelli nel braccio della morte. Gli ergastolani sono
140.000 (di cui 7.000 minorenni). Un terzo non ha la possibilità
di rilascio sulla parola e di questi 2-3.000 erano minorenni al momento
del crimine (alcuni di 13 e 14 anni).
Dall'età di Reagan in poi - senza soluzione di continuità
tra governi democratici e repubblicani – il mantenimento dell'ordine
pubblico secondo la parola d'ordine "tolleranza zero" è via via
cresciuto sino a diventare pressoché l'unico modo per contenere
e reprimere le diseguaglianze sociali.
Così le galere strabordano di uomini e donne: un adulto
americano ogni cento è dietro le sbarre e per i maschi neri si
arriva a uno ogni nove. Metà dei carcerati sono neri, neri che
formano il 13% della popolazione. Se contiamo i 5,2 milioni in
libertà vigilata siamo a un adulto ogni 31 sotto contenzione
penale.
Proprio la politica della tolleranza zero "nata americana" e ben presto
globalizzata, ha inasprito le politiche penali nei confronti dei neri,
in quanto ancora rappresentanti gli strati più bassi della
società – considerandoli come obbiettivi delle proprie politiche.
Se il tasso d'incarcerazione per i bianchi è di 409 per 100.000,
per i neri è di sei volte tanto (2.468). Se si escludono le
donne e si considerano i maschi bianchi il tasso sale a 736 mentre per
i neri arriva a 4.789, ma in molti stati supera abbondantemente quota
10.000. Le donne detenute sono 200.000, spesso si ha notizia di una di
loro costretta a partorire ammanettata mani e piedi e frequenti sono le
violenze sessuali.
In un quarto degli Stati il 10% dei maschi neri adulti è in
galera. É risaputo che molti di questi sono in prigione per
piccoli reati, spesso legati alla droga; non a caso pur essendo il 13%
di chi fa uso di sostanze stupefacenti, i neri sono il 35% degli
arrestati per possesso di droga, il 55% dei processati per questo reato
e il 75% di quelli che stanno scontando una pena per questo delitto.
La "grande reclusione", con i suoi numeri da gulag staliniano,
colpisce però selettivamente: i poveri, spesso afroamericani e
giovani, tanto da potere affermare che per i giovani neri passare un
periodo di tempo in prigione è un "rito di passaggio"
comparabile al servizio militare obbligatorio. Un terzo dei ventenni di
colore è in prigione o in libertà vigilata e il loro
tasso d'incarcerazione è di 13.000 per centomila, mentre per i
loro coetanei bianchi è di 1.700. Non solo: sono più i
ragazzi neri in prigione che quelli all'università.
Per i minorenni considerati come "problematici" la situazione supera le
nostre capacità di immaginazione: ogni anno le galere per minori
(pubbliche o private) gestiscono 1,6 milioni di casi e almeno 200.000
minori sono processati e condannati come se fossero adulti.
Una ipertrofia del mondo penale all'interno della quale il sistema
penitenziario è diventato grande motore economico e fonte di
business paragonabile alla General Motors o a Wal-Mart. Ovviamente a
spese dei contribuenti. Il prezzo del mantenimento del gulag americano
è di 60-70 miliardi di dollari annui e l'intero sistema
giudiziario-penale ne costa 200, a discapito del servizio sociale e
delle condizioni di detenzione. Il sovraffollamento implica condizioni
igienico sanitarie atroci, con altissimi tassi di violenza, stupro e
suicidio, tanto che una prigione in Georgia è stata definita da
un giudice federale "una nave di schiavi".
A ingrassare tali meccanismi ci pensano le diciottomila polizie
americane, che compiono ogni anno 15 milioni di arresti, ovvero 5.000
arresti ogni 100.000 abitanti (5 per cento). 1 milione e 500.000 sono
gli arresti per guida in stato di ebbrezza. 2,5 milioni sono gli
arresti di minorenni e almeno 500.00 sono bambini sotto i 14 anni. Una
massa di procedimenti penali così smisurata in grado di
schiacciare qualsiasi sistema giudiziario: non quello americano,
salvato dalle infinite possibilità di ricatto e contrattazione
che offre il patteggiamento e dimentico di qualunque nozione di
certezza del diritto. I processi con giuria sono stati, nel 2004,
appena 155.000 su di un totale di 45 milioni e duecentomila casi
giudiziari civili e penali, mentre gli appelli solo 273.000.
Così due milioni e mezzo di persone in prigione, 200.000 in
libertà vigilata, 800.000 secondini, più di 5.000
prigioni ben rappresentano la sostanza del gulag americano.
Un sistema concentrazionario che è insieme "discarica della
società" e strumento di disciplinamento funzionale
all'imposizione di condizioni salariali e di precarietà
particolarmente feroci.
La carcerazione di massa da una parte riduce il tasso di
disoccupazione, incarcerando i potenziali disoccupati o facendoli
diventare poliziotti e carcerieri, dall'altra fa in modo che chi esce
dalle galere possa ambire solo a lavori degradati. Perpetua e sviluppa
una nuova miseria, urbana e proletaria all'interno di una
società sempre più diseguale e gerarchica.
L'articolo è redatto sulla
base dello studio "American Gulag 2009" di Claudio Giusti, che
ringraziamo sentitamente. I dati sono verificabili al seguente link,
dove è leggibile il lavoro completo di Giusti con una
bibliografia minima sulla questione [RedB]
http://www.osservatoriosullalegalita.org/09/acom/08ago3/2800giustiusjus.htm