Capita di leggere alla conclusione di un articolo dell'ottimo
compagno Guzman: "Quello che però è certo è che i
molti compagni libertari che nella Cub militano continueranno nella
loro azione sia sul terreno immediato della lotta fra le classi che su
quello della battaglia politica e culturale sui contenuti che ci
caratterizzano e lo faranno come sapranno e come potranno, senza
pretendere di sostenere che la nostra è l'unica scelta
opportuna, ma anche difendendone le profonde ragioni". Non avevamo
dubbi sulla coerenza di questi compagni e sapevamo (e sappiamo) che il
loro impegno non sarà messo in discussione dal pietoso
spettacolo che le frazioni della ex-Cub stanno mettendo in scena.
Continueranno la loro battaglia all'interno delle due nuove Cub
(sicuramente in maggior numero in quella tiboniana), criticheranno gli
eccessi centralisti e opportunisti della Cub-RdB, deploreranno le
sbandate dirigiste della Cub-privati. Faranno insomma quello che hanno
fatto, con ammirevole costanza, negli ultimi 17 anni.
Quello che mi sorprende un poco è il richiamo ad una categoria
di "coerenza a scartamento ridotto". La coerenza è un valore
importantissimo nel patrimonio culturale e politico libertario: la
coerenza nei principi, la coerenza nel rapporto mezzi-fini sono
basilari. Anche la coerenza nelle scelte pratiche, siano tattiche o
strategiche di medio periodo, siano politiche o sindacali, è
buona cosa ma, come per le leggi della robotica di Asimov, se
confliggono col principio fondamentale, ad esso conviene che si
sottomettano. Giacché vorremmo vivere in un mondo "coerente" e
concettualmente ordinato e all'interno di una sfera di senso e di
significati condivisa, almeno tra compagni libertari.
Arriviamo al punto. Poco prima Guzman aveva scritto in merito alle
ragioni della spaccatura Cub: "Indubbiamente se la Cub ha convissuto
con RdB per diciassette anni, nonostante significativi scontri interni,
vuol dire che si era scelta la logica del 'più gente entra,
più bestie si vedono'. Una logica magari non elegantissima ma
sindacalmente sensata. Non risulta, infatti, a chi scrive, che nessuno
dei sindacati alternativi, di base, indipendenti – scegliete voi la
definizione – effettivamente esistenti appena superate le dimensioni
familiari sia sfuggito a questo ordine di problemi che rimandano al
fatto banale che un sindacato rivoluzionario puro e duro semplicemente
non esiste in questo momento".
Qualche considerazione:
Che ci siano stati significativi scontri interni alla Cub non abbiamo
ragione di dubitarne, il problema è su cosa vertevano. Qualche
ipotesi: spartizione di cariche e di distacchi? Se vertevano su
questioni ideali e di principio, poche notizie sono trapelate al di
fuori del suo milieu strettamente militante.
Che la logica del mercato delle vacche (mi permetto di usare questo
termine dato che il lessico della transumanza lo introduce Guzman) sia
sindacalmente sensata è un dato di fatto nel contesto di un
sindacato-azienda come quello confederale, lo è stato per molto
sindacalismo riformista novecentesco, lo è, purtroppo, per molto
sindacalismo alternativo attuale.
Non lo è stato per svariate esperienze storiche sindacaliste
rivoluzionarie (cito solo il Syndicalisme d'action directe francese,
l'IWW, la CNT, ometto di citare l'esperienza italiana per non incorrere
in sospetto di partigianeria), non lo è stato, a livello di
principio, nemmeno per la Cub alle sue origini.
Sulle dimensioni familiari che Guzman (ironicamente) sembra attribuire
alle esperienze odierne sindacal-rivoluzionarie e immagino segnatamente
al sindacato di cui faccio parte, gli segnalo che in base ai dettami
etno-antropologici di Malinowski e Lévi-Strauss dovrebbe
concederci quantomeno lo status di famiglia allargata o di piccolo
clan. Certo molto poco rispetto alle dimensioni dalle nazioni Comanche,
Sioux o Apache che si stanno affrontando sui verdi (?) pascoli del
sindacalismo di base…
Se poi Guzman vuole alludere ad una dimensione anacronistica o utopica
dell'ipotesi sindacalista rivoluzionaria dura e pura oggi, direi che
oggi è altrettanto anacronistico perseguire una dimensione
mediamente, ragionevolmente, moderatamente, sensatamente conflittuale e
compatibilista, democratica ed efficiente, come dicono di voler fare i
sindacati di base. Il modello vincente e straripante è oggi
quello delle lobbies sindacal-politico-finanziarie del sindacato di
stato.
Sull'utopicità nulla da dire, io personalmente la rivendico sul
piano progettual-politico come su quello progettual-sindacale. Se
utopico è radicalmente altro da quello che c'è, ma
vorremmo e cerchiamo di costruire, allora ci si pone il problema di
come farlo. Poco mi dice che non esista in questo momento.
Infine, prevengo l'inevitabile obiezione, mi si potrebbe dire che non
ci sono le condizioni per operare in tal senso. Risponderei che
l'analisi delle condizioni oggettive è cosa complessa
(perché suscettibili di rapidi cambiamenti dovuti a sommovimenti
sotterranei e non prevedibili del corpo sociale) e che, soprattutto, a
queste si sovrappone l'attività cosciente, la prassi di chi non
accetta di considerarle un dato immutabile o comunque sul quale non si
può incidere.
Se queste considerazioni sono giudicate astrattamente ideologiche,
allora il realismo di Guzman e degli altri compagni libertari della Cub
li autorizza a non considerarle, ma almeno dicano con chiarezza qual
è la loro sensata dimensione progettuale che con gradualismo e
pazienza andrà a costruire un sindacato di classe.
Personalmente, dato che l'età incalza e sebbene mi mantenga in
discreta forma fisica, non credo di poter aspettare altri 17 anni.
Walter Kerwal