Umanità Nova, n.33 del 27 settembre 2009, anno 89

Dibattito. Se diciassette anni vi sembran pochi...


Capita di leggere alla conclusione di un articolo dell'ottimo compagno Guzman: "Quello che però è certo è che i molti compagni libertari che nella Cub militano continueranno nella loro azione sia sul terreno immediato della lotta fra le classi che su quello della battaglia politica e  culturale sui contenuti che ci caratterizzano e lo faranno come sapranno e come potranno, senza pretendere di sostenere che la nostra è l'unica scelta opportuna, ma anche difendendone le profonde ragioni". Non avevamo dubbi sulla coerenza di questi compagni e sapevamo (e sappiamo) che il loro impegno non sarà messo in discussione dal pietoso spettacolo che le frazioni della ex-Cub stanno mettendo in scena. Continueranno la loro battaglia all'interno delle due nuove Cub (sicuramente in maggior numero in quella tiboniana), criticheranno gli eccessi centralisti e opportunisti della Cub-RdB, deploreranno le sbandate dirigiste della Cub-privati. Faranno insomma quello che hanno fatto, con ammirevole costanza, negli ultimi 17 anni.
Quello che mi sorprende un poco è il richiamo ad una categoria di "coerenza a scartamento ridotto". La coerenza è un valore importantissimo nel patrimonio culturale e politico libertario: la coerenza nei principi, la coerenza nel rapporto mezzi-fini sono basilari. Anche la coerenza nelle scelte pratiche, siano tattiche o strategiche di medio periodo, siano politiche o sindacali, è buona cosa ma, come per le leggi della robotica di Asimov, se confliggono col principio fondamentale, ad esso conviene che si sottomettano. Giacché vorremmo vivere in un mondo "coerente" e concettualmente ordinato e all'interno di una sfera di senso e di significati condivisa, almeno tra compagni libertari.
Arriviamo al punto. Poco prima Guzman aveva scritto in merito alle ragioni della spaccatura Cub: "Indubbiamente se la Cub ha convissuto con RdB per diciassette anni, nonostante significativi scontri interni, vuol dire che si era scelta la logica del 'più gente entra, più bestie si vedono'. Una logica magari non elegantissima ma sindacalmente sensata. Non risulta, infatti, a chi scrive, che nessuno dei sindacati alternativi, di base, indipendenti – scegliete voi la definizione – effettivamente esistenti appena superate le dimensioni familiari sia sfuggito a questo ordine di problemi che rimandano al fatto banale che un sindacato rivoluzionario puro e duro semplicemente non esiste in questo momento".
Qualche considerazione:
Che ci siano stati significativi scontri interni alla Cub non abbiamo ragione di dubitarne, il problema è su cosa vertevano. Qualche ipotesi: spartizione di cariche e di distacchi? Se vertevano su questioni ideali e di principio, poche notizie sono trapelate al di fuori del suo milieu strettamente militante.
Che la logica del mercato delle vacche (mi permetto di usare questo termine dato che il lessico della transumanza lo introduce Guzman) sia sindacalmente sensata è un dato di fatto nel contesto di un sindacato-azienda come quello confederale, lo è stato per molto sindacalismo riformista novecentesco, lo è, purtroppo, per molto sindacalismo alternativo attuale.
Non lo è stato per svariate esperienze storiche sindacaliste rivoluzionarie (cito solo il Syndicalisme d'action directe francese, l'IWW, la CNT, ometto di citare l'esperienza italiana per non incorrere in sospetto di partigianeria), non lo è stato, a livello di principio, nemmeno per la Cub alle sue origini.
Sulle dimensioni familiari che Guzman (ironicamente) sembra attribuire alle esperienze odierne sindacal-rivoluzionarie e immagino segnatamente al sindacato di cui faccio parte, gli segnalo che in base ai dettami etno-antropologici di Malinowski e Lévi-Strauss dovrebbe concederci quantomeno lo status di famiglia allargata o di piccolo clan. Certo molto poco rispetto alle dimensioni dalle nazioni Comanche, Sioux o Apache che si stanno affrontando sui verdi (?) pascoli del sindacalismo di base…
Se poi Guzman vuole alludere ad una dimensione anacronistica o utopica dell'ipotesi sindacalista rivoluzionaria dura e pura oggi, direi che oggi è altrettanto anacronistico perseguire una dimensione mediamente, ragionevolmente, moderatamente, sensatamente conflittuale e compatibilista, democratica ed efficiente, come dicono di voler fare i sindacati di base. Il modello vincente e straripante è oggi quello delle lobbies sindacal-politico-finanziarie del sindacato di stato.
Sull'utopicità nulla da dire, io personalmente la rivendico sul piano progettual-politico come su quello progettual-sindacale. Se utopico è radicalmente altro da quello che c'è, ma vorremmo e cerchiamo di costruire, allora ci si pone il problema di come farlo. Poco mi dice che non esista in questo momento.
Infine, prevengo l'inevitabile obiezione, mi si potrebbe dire che non ci sono le condizioni per operare in tal senso. Risponderei che l'analisi delle condizioni oggettive è cosa complessa (perché suscettibili di rapidi cambiamenti dovuti a sommovimenti sotterranei e non prevedibili del corpo sociale) e che, soprattutto, a queste si sovrappone l'attività cosciente, la prassi di chi non accetta di considerarle un dato immutabile o comunque sul quale non si può incidere.
Se queste considerazioni sono giudicate astrattamente ideologiche, allora il realismo di Guzman e degli altri compagni libertari della Cub li autorizza a non considerarle, ma almeno dicano con chiarezza qual è la loro sensata dimensione progettuale che con gradualismo e pazienza andrà a costruire un sindacato di classe.
Personalmente, dato che l'età incalza e sebbene mi mantenga in discreta forma fisica, non credo di poter aspettare altri 17 anni.

Walter Kerwal

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti