Umanità Nova, n.34 del 4 ottobre 2009, anno 89

CorAzone


Si è svolta, come annunciato nella colonnina dei comunicati, la seconda edizione (italiana) del Festival Internazionale del canto sociale.
Un migliaio di persone hanno attraversato la tre giorni dipanatasi fra la scuola di musica popolare "Ivan Illich", il circolo anarchico "Camillo Berneri" e la casa del popolo di Ponticelli di Malalbergo.
Questa edizione era dedicata ad Ivan della Mea, compagno-poeta, animatore di quel ampio gruppo di ricercatori che più o meno direttamente fa riferimento al lavoro ed alla tradizione dell'Istituto "Ernesto De Martino" di Sesto Fiorentino.
Accanto al sentito ricordo e tributo ad Ivan, la caratterizzazione dell'iniziativa si è manifestata attraverso la presenza di 150 coristi distribuiti in una decina di gruppi-cori-canzonieri provenienti dal centro-nord Italia, da Parigi, da Marsiglia, da Siviglia.
In realtà la localizzazione di queste istanze è "per brevità e comodo", visto il carattere (ricercato) meticcio ed internazionalista che ognuna di queste esperienze esprime. Non sono mancate infatti testimonianze fisiche e canore dalla Palestina, dal Kurdistan, dall'Ungheria
Tre le sezioni coincidenti con la scansione temporale.
Venerdì proiezione del film-documentario della televisione svizzera sulla storia dei "dischi del sole"; una retrospettiva non solo sul lavoro di ricerca e sulla produzione poetica e canora, ma un pezzo della storia del movimento di emancipazione in Italia a cavallo degli anni '70; poi una session ha ricordato "dal vivo" il lavoro di Ivan della Mea.
Sabato, alla scuola, "grande festa" con esibizione di tutti i complessi canori dove, accanto alle tradizioni popolari, al canto sociale e del lavoro, hanno prevalso i temi di carattere più generale legati al grande sogno di una nuova umanità. Non a caso il carattere libertario se non decisamente anarchico ha prevalso.
Domenica, nel grande prato della casa del popolo, dopo un pranzo sociale con oltre 200 commensali, la giornata dedicata al canto del "lavoro": accanto al coro dei minatori dell'Amiata si sono alternati due cori femminili delle mondine di Bentivoglio e Porporano.
Non potevano mancare, in questo contesto, i canti della ribellione e della resistenza popolare in una consapevolezza di quanto queste attitudini siano oggi tutt'altro che ricerca delle radici ma necessaria lotta quotidiana contro le diverse forme dell'autoritarismo.
Dopo la cronaca alcuni elementi di riflessione.
Vi è in questo lavoro "di base" della cultura di lotta, della cultura sociale, una voluta ed evidente allusione ad un movimento di reale trasformazione sociale.
Oggi, più che nel passato (recente o remoto), vi è accanto al lavoro culturale una reale rappresentazione delle contraddizioni che si agitano nella società.
Un mix di elementi vanno in questa direzione: le condizioni materiali degli "artisti", la tecnologia a disposizione di "chiunque", la sensibilità (intesa come sensore sociale) dei poeti.
L'insieme di questi fattori abilitanti, accanto alla radicale soggettività dei protagonisti di questo movimento fa sì che i "nuovi cantastorie" si possano collocare nel solco dell'autonomia e dell'autoorganizzazione, sottraendosi al ruolo di "intellettuali organici" di novecentesca memoria.
Cantare oggi dell'internazionale delle genti, della lotta contro i governi, il militarismo, i preti e l'odiata borghesia non è elemento banale e, crediamo, nemmeno residuale se guardiamo con più attenzione a questo movimento che si è rappresentato in minima parte nelle tre giornate bolognesi, ma che si alimenta di migliaia di gruppi nel nostro paese e di altrettante esperienze nei paesi europei (almeno di quelli dell'area mediterranea).

 RedB

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