Si è svolta, come annunciato nella colonnina dei comunicati,
la seconda edizione (italiana) del Festival Internazionale del canto
sociale.
Un migliaio di persone hanno attraversato la tre giorni dipanatasi fra
la scuola di musica popolare "Ivan Illich", il circolo anarchico
"Camillo Berneri" e la casa del popolo di Ponticelli di Malalbergo.
Questa edizione era dedicata ad Ivan della Mea, compagno-poeta,
animatore di quel ampio gruppo di ricercatori che più o meno
direttamente fa riferimento al lavoro ed alla tradizione dell'Istituto
"Ernesto De Martino" di Sesto Fiorentino.
Accanto al sentito ricordo e tributo ad Ivan, la caratterizzazione
dell'iniziativa si è manifestata attraverso la presenza di 150
coristi distribuiti in una decina di gruppi-cori-canzonieri provenienti
dal centro-nord Italia, da Parigi, da Marsiglia, da Siviglia.
In realtà la localizzazione di queste istanze è "per
brevità e comodo", visto il carattere (ricercato) meticcio ed
internazionalista che ognuna di queste esperienze esprime. Non sono
mancate infatti testimonianze fisiche e canore dalla Palestina, dal
Kurdistan, dall'Ungheria
Tre le sezioni coincidenti con la scansione temporale.
Venerdì proiezione del film-documentario della televisione
svizzera sulla storia dei "dischi del sole"; una retrospettiva non solo
sul lavoro di ricerca e sulla produzione poetica e canora, ma un pezzo
della storia del movimento di emancipazione in Italia a cavallo degli
anni '70; poi una session ha ricordato "dal vivo" il lavoro di Ivan
della Mea.
Sabato, alla scuola, "grande festa" con esibizione di tutti i complessi
canori dove, accanto alle tradizioni popolari, al canto sociale e del
lavoro, hanno prevalso i temi di carattere più generale legati
al grande sogno di una nuova umanità. Non a caso il carattere
libertario se non decisamente anarchico ha prevalso.
Domenica, nel grande prato della casa del popolo, dopo un pranzo
sociale con oltre 200 commensali, la giornata dedicata al canto del
"lavoro": accanto al coro dei minatori dell'Amiata si sono alternati
due cori femminili delle mondine di Bentivoglio e Porporano.
Non potevano mancare, in questo contesto, i canti della ribellione e
della resistenza popolare in una consapevolezza di quanto queste
attitudini siano oggi tutt'altro che ricerca delle radici ma necessaria
lotta quotidiana contro le diverse forme dell'autoritarismo.
Dopo la cronaca alcuni elementi di riflessione.
Vi è in questo lavoro "di base" della cultura di lotta, della
cultura sociale, una voluta ed evidente allusione ad un movimento di
reale trasformazione sociale.
Oggi, più che nel passato (recente o remoto), vi è
accanto al lavoro culturale una reale rappresentazione delle
contraddizioni che si agitano nella società.
Un mix di elementi vanno in questa direzione: le condizioni materiali
degli "artisti", la tecnologia a disposizione di "chiunque", la
sensibilità (intesa come sensore sociale) dei poeti.
L'insieme di questi fattori abilitanti, accanto alla radicale
soggettività dei protagonisti di questo movimento fa sì
che i "nuovi cantastorie" si possano collocare nel solco dell'autonomia
e dell'autoorganizzazione, sottraendosi al ruolo di "intellettuali
organici" di novecentesca memoria.
Cantare oggi dell'internazionale delle genti, della lotta contro i
governi, il militarismo, i preti e l'odiata borghesia non è
elemento banale e, crediamo, nemmeno residuale se guardiamo con
più attenzione a questo movimento che si è rappresentato
in minima parte nelle tre giornate bolognesi, ma che si alimenta di
migliaia di gruppi nel nostro paese e di altrettante esperienze nei
paesi europei (almeno di quelli dell'area mediterranea).
RedB