Il 28 e 29 ottobre si svolgerà a Torino la seconda edizione
dell'"Aerospace and Defense Meeting", una fiera/mercato dell'industria
bellica aerospaziale che ha in Piemonte uno dei suoi poli di
"eccellenza". Il Meeting, rigorosamente riservato agli "addetti ai
lavori", è promosso dalla Camera di Commercio e organizzato da
Ceipiemonte in collaborazione con BCI - Business Conventions
International, Comitato Promotore del Distretto Aerospaziale
Piemontese, Città di Torino, Provincia di Torino, Regione
Piemonte e AIAD (Associazione Industrie per l'Aerospazio, i Sistemi e
la Difesa).
In altre parole una montagna di soldi pubblici al servizio di
un'industria di morte. In prima linea tutti i maggiori produttori
nazionali e internazionali.
La prima edizione si è svolta in sordina nel marzo del 2008
senza che vi fosse stato alcun annuncio. A cose fatte il tg3 le
dedicò un breve servizio.
La guerra è un buon affare, ma non bisogna parlarne troppo.
L'Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un
ben pagato professionista ci lascia la pelle: un po' di retorica su
interventi umanitari e democrazia, Napolitano che saluta la salma, una
bella pensione a coniugi e figli.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella
neolingua del peacekeeping, dell'intervento umanitario, ma parla il
lessico feroce dell'emergenza, dell'ordine pubblico, della repressione.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli
stessi delle torture e degli stupri in Somalia, dall'estate del 2008
sono nelle strade e nelle piazze delle nostre città.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia.
Lo rivela l'armamentario propagandistico che le sostiene. Le questioni
sociali, coniugate sapientemente in termini di ordine pubblico, sono il
perno dell'intera operazione.
Il paradigma della guerra come operazione di polizia, con i militari
affiancati da specialisti dell'umanitario, perché il fine
dichiarato non è la tutela di interessi di parte ma la generosa
difesa dei civili, rende sempre più labile la separazione tra
guerra e ordine pubblico, tra esercito e polizia. L'alibi della
salvaguardia dei civili è una menzogna mal mascherata di fronte
all'evidenza che le principali vittime ed obiettivi delle guerre
moderne sono proprio i civili. Civili bombardati, affamati,
controllati, inquisiti, stuprati, derubati: è quotidiana cronaca
di guerra. Poi arriva la "ricostruzione", la creazione di uno stato
democratico fantoccio delle truppe occupanti, l'organizzazione di
esercito, polizia, magistratura leali ai nuovi padroni. È la
prosecuzione con altri mezzi della guerra guerreggiata, obiettivo e
insieme strumento di guerra.
La costruzione di un nuovo modello polemologico era funzionale a
contrastare una tensione pacifista molto forte nel nostro paese.
Prima c'è stata la guerra "umanitaria", l'intervento di truppe
per soccorrere popolazioni stremate, incapaci di difendersi, strette in
paesi in cui dominava il "caos". L'aspetto "poliziesco", pur presente,
era ancora in secondo piano. La più emblematica delle guerre
"umanitarie" fu quella in Somalia: peccato che le foto di torture e
stupri abbiano un po' sporcato l'operazione. La guerra irachena di Bush
padre e quella per il Kosovo hanno segnato il primo salto di paradigma:
l'intervento umanitario è garantito da un'operazione di "polizia
internazionale". In Kosovo e Serbia l'aviazione italiana ha bombardato
per settimane case, ospedali, ferrovie, fabbriche, strade.
Prima i militari, poi la Croce Rossa.
Come nei CIE, ieri CPT, inventati dal governo di centro sinistra pochi
mesi prima delle bombe su Belgrado. A volte le coincidenze...
Da qui ad applicare nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla Somalia all'Afganistan il passo era breve.
Se la guerra è filantropia planetaria, se condizione per il
soccorso sono le bombe, l'occupazione militare, i rastrellamenti, se il
militare si fa poliziotto ed insieme sono anche operatori umanitari il
gioco è fatto.
L'11 settembre, le guerre afgana e irachena chiuderanno il cerchio.
Riappare il fantasma della guerra "giusta", quella che si combatte per
difendersi da nemici irriducibili, malvagi, feroci; per affermare la
superiorità di un modello politico, culturale, economico,
finanche religioso. In Afganistan e Iraq si combattono guerre in nome
dell'umanità. Astrazione assoluta per una guerra assoluta, la
guerra contro il nuovo impero del male. Una guerra totale,
perché il nemico può solo distruggerci o essere
distrutto. Non c'è spazio per le mediazioni, non c'è
spazio per i neutrali.
La guerra umanitaria, l'operazione di polizia internazionale, la guerra
giusta, la guerra totale hanno di volta in volta modellato le politiche
del governo contro il principale nemico "interno", l'immigrato povero,
e con lui, i miliardi di diseredati cui la ferocia di stati e capitale
ha sottratto un futuro.
L'opposizione alla guerra, che sei anni fa ha riempito le piazze di
folle oceaniche, si è lentamente esaurita, come le bandiere
arcobaleno, che il sole e la pioggia hanno stinto e lacerato sui
balconi delle case.
La mera testimonianza, la rivolta morale non basta a fermare la guerra,
se non sa, e non ha saputo né voluto, farsi resistenza concreta.
La delega ad una sinistra ipocrita, che si opponeva all'intervento in
Iraq ma sosteneva l'avventura afgana, ha tolto ogni linfa a movimenti
che pur avevano portato in piazza milioni di persone.
La guerra, interna ed esterna, è diventata "normale". La
costituzione di un esercito di professionisti, lungi dal decretare il
declino del patriottismo classico, lo riporta in auge. Tensione
emotiva, tricolore e mano sul cuore, inni e retorica da gustare comodi
in poltrona. Una roba come le partite in TV: probabilmente più
costosa.
Le bombe, le torture, l'occupazione militare è roba lontana, che
non ci tocca direttamente. La mera compassione per le vittime si
scolora nella consapevolezza che "loro" non sono come noi.
La propaganda della paura, alimentata per anni con tenacia, ha prodotto
i suoi frutti avvelenati. Ricostruire un'opposizione efficace non
è facile.
Serve che nuova linfa alimenti l'esperienza concreta della
solidarietà tra oppressi e sfruttati. Sarebbe stolido darla per
scontata. La leva degli interessi immediati, rafforzata dal timore
dell'altro, da molto tempo spinge nel campo avverso. Questa partita si
gioca soprattutto nelle strade e nei quartieri popolari, dove uomini in
armi, poco a poco, sperimentano su di noi le tattiche già
testate nelle missioni militari all'estero. Saper riconoscere i propri
nemici nel terreno infido della guerra tra poveri è il primo
passo per liberare le "nostre" strade dall'esercito, mandando in
frantumi le frontiere identitarie che ci stanno cucendo addosso. Le
stesse che hanno eroso l'opposizione alla guerra esterna, facendone
patrimonio di pochi.
Se rompere la propaganda di guerra è un esercizio ben più
concreto della semplice affermazione di principio, altrettanto concreta
deve essere la lotta a chi la guerra la prepara, la finanzia, la
alimenta, la fa.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi,
partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove
ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d'armi.
In questi anni qualche segnale, pur tra mille difficoltà,
c'è stato: dalla lotta contro la nuova base di Vicenza a quella
contro gli F35 a Cameri, dall'opposizione alla base di Mattarello alla
resistenza contro la base di Aviano, sino alle mai sopite lotte delle
popolazioni sarde contro le servitù militari che schiacciano il
loro territorio.
Anche a Torino si sono moltiplicate le iniziative contro le industrie belliche e la presenza dei militari nelle strade.
Ma non basta. Occorre un impegno maggiore.
In occasione della mostra dell'"Aerospace and Defense Meeting" sono in
cantiere una serie di iniziative di confronto, informazione, lotta.
Tra l'8 e il 29 ottobre:
- punti info
- contestazione attiva di chi fa la guerra e di chi ci lucra
- azioni simboliche sul territorio...
Giovedì 8 ottobre.
Spazio antimilitarista in corso Giulio Cesare angolo corso Bresci(a) di
fronte alla postazione degli alpini. Appuntamento alle 18.
Mercoledì 14 ottobre
Alle radici della guerra
"Il nemico – genesi di un paradigma bellico". Interviene Pietro Stara – Collegamenti Wobbly
Ore 21 in corso Palermo 46
Sabato 17 ottobre
Dalle 10 presidio al Balon, via Andreis angolo via Borgo Dora
Sabato 24 e domenica 25 ottobre, Sala di corso Ferrucci 65a, Nessuna pace per chi fa guerra: Meeting Antimilitarista
Sabato 24 ottobre ore 14
L'Italia in guerra: le missioni militari all'"estero" i professionisti
delle armi e quelli dell'umanitario. Interventi di Marco Rossi, autore
di "Afganistan senza pace", Stefano Capello, autore di "Oltre il
giardino".
L'industria bellica tra stato e mercato. Intervento di Tiziano Antonelli.
La guerra in casa. Dai militari nelle strade alle ronde. Interventi di
Maria Matteo e Simone Bisacca, autori di "Sicuri da Morire".
ore 20 cena
ore 21,30
Il canzoniere antimilitarista di Alessio Lega e Rocco Marchi
Domenica 25 ottobre ore 10
Basi militari e movimenti di opposizione popolare
Interventi di: Domenico Argirò/Valter Bovolenta No F35; Stefano
Raspa del Comitato Unitario contro Aviano 2000; compagni della lotta No
Dal Molin, dell'assemblea antimilitarista contro la base di Matterello
e contro la militarizzazione in Sardegna.
Per resistere alla guerra: assemblea
Pranzo
Ore 15
Fabbriche d'armi/banche armate/lotte per la riconversione
Alberto Perino, protagonista della lotta per la riconversione delle
Officine Moncenisio di Condove, Massimo Zucchetti - Politecnico di
Torino e Scienziati contro la guerra.
28 e 29 ottobre... Nessuna pace per chi fa guerra!
Che i mercanti di morte non abbiano una buona accoglienza!
Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese - FAI
fai_to@inrete.it
338 6594361