L'azienda Esab di Mesero (Magenta-Mi), produttrice di elettrodi e
filo per saldature e di proprietà di una potente multinazionale
inglese, ha deciso di eliminare il settore produttivo licenziando 85
dei 140 dipendenti mettendoli in mobilità.
I lavoratori, sostenuti dalla Flmu-Cub, il sindacato maggiormente
presente in fabbrica, hanno ingaggiato una dura battaglia con
occupazioni e presidi, terminata con una forte azione di protesta da
parte di 6 dipendenti che, per 15 giorni, hanno resistito sui tetti
dell'Azienda fino alla firma dell'accordo.
Un accordo che l'Flmu-Cub non ha voluto sottoscrivere perché
"Restano ben presenti le ombre negative circa il processo di
deindustrializzazione – dichiara Walter Montagnoli della Cub – in
particolar modo per il comportamento dell'azienda, che non si è
impegnata nemmeno formalmente in tal senso".
L'accordo prevede il ritiro della mobilità e il miglioramento
delle condizioni di uscita. Per chi verrà accompagnato alla
pensione è prevista una integrazione fino al 90% dello
stipendio; per gli altri 2 anni di cassa integrazione, con incentivo
all'esodo di 24.000 euro per chi accetterà la mobilità
volontaria. Sicuramente tale accordo è al di sotto delle
richieste della piattaforma rivendicativa, soprattutto deludente la
mancanza d'impegno alla ricollocazione della mano d'opera e della
deindustrializzazione dell'area per la quale si sono spese solo parole.
Allora, ci si chiede, chi l'ha accettato quell'accordo frutto di una trattativa avvenuta a Roma tra le parti?
La risposta è semplice: l'hanno accettato la stragrande
maggioranza dei lavoratori riuniti in assemblea, 52 a favore e 8 contro.
La decisione dei lavoratori è autonoma, questo nel bene e nel
male. Il sindacato di base può criticarla, non può non
rispettarla.
Non va mai dimenticato che sono i lavoratori stessi, in prima persona,
a sostenere il peso della lotta e solo a loro compete decidere se
continuare o accettare la conclusione della vertenza quando non
riescono a vedere altri sbocchi positivi.
Può sembrare una banalità, ma non è, purtroppo,
quello che normalmente avviene nei sindacati concertativi (Cgil, Cisl,
Uil, autonomi compresi), dove generalmente gli accordi predefiniti dai
vertici vengono di fatto imposti ai lavoratori.
E' evidente, nel caso specifico, che la maggior parte dei lavoratori
della Esab, di fronte ad una finanziaria multinazionale decisa a
smantellare il settore della produzione aziendale in Italia, perdendo
la speranza in una soluzione di salvaguardia del posto di lavoro, hanno
accettato l'incremento della parte economica e di buona uscita.
Quello che è necessario, in questa vicenda, è aprire una
riflessione sui limiti del sindacalismo, particolarmente in questa fase.
Di fronte ad una pesante crisi che travolge le condizioni di vita di
centinaia di migliaia di lavoratori, una crisi che, come è
già stato detto e ripetuto, è dei padroni, ma viene fatta
pagare ai lavoratori, non si riesce, nella maggior parte dei casi, a
trovare soluzione all'interno di regole fatte apposta per garantire ai
padroni il profitto e il controllo sociale. Di certo la
spettacolarità di gesti eclatanti da parte dei lavoratori non
sono risolutivi per eliminare lo scarto di differenza nello scontro tra
i lavoratori da una parte e i padroni e lo Stato dall'altra.
È ora di mettere in discussione la sacralità della
proprietà privata, del possesso dei mezzi di produzione, degli
immobili e dei terreni spesso oggetto di speculazioni. E' giunto il
tempo in cui i lavoratori devono rivendicare il diritto alla
espropriazione/riappropriazione nei casi di cessazione per fallimento,
delocalizzazione, esternalizzazione. Battersi con radicalità per
questi obbiettivi che di certo nessuna Costituzione si sogna di
contemplare.
Commissione "Mondo del Lavoro" della Federazione Anarchica Milanese – F.A.I.