Umanità Nova, n.35 dell'11 ottobre 2009, anno 89

Una occasione di riflessione sul sindacato


L'azienda Esab di Mesero (Magenta-Mi), produttrice di elettrodi e filo per saldature e di proprietà di una potente multinazionale inglese, ha deciso di eliminare il settore produttivo licenziando 85 dei 140 dipendenti mettendoli in mobilità.
I lavoratori, sostenuti dalla Flmu-Cub, il sindacato maggiormente presente in fabbrica, hanno ingaggiato una dura battaglia con occupazioni e presidi, terminata con una forte azione di protesta da parte di 6 dipendenti che, per 15 giorni, hanno resistito sui tetti dell'Azienda fino alla firma dell'accordo.
Un accordo che l'Flmu-Cub non ha voluto sottoscrivere perché "Restano ben presenti le ombre negative circa il processo di deindustrializzazione – dichiara Walter Montagnoli della Cub – in particolar modo per il comportamento dell'azienda, che non si è impegnata nemmeno formalmente in tal senso".
L'accordo prevede il ritiro della mobilità e il miglioramento delle condizioni di uscita. Per chi verrà accompagnato alla pensione è prevista una integrazione fino al 90% dello stipendio; per gli altri 2 anni di cassa integrazione, con incentivo all'esodo di 24.000 euro per chi accetterà la mobilità volontaria. Sicuramente tale accordo è al di sotto delle richieste della piattaforma rivendicativa, soprattutto deludente la mancanza d'impegno alla ricollocazione della mano d'opera e della deindustrializzazione dell'area per la quale si sono spese solo parole.
Allora, ci si chiede, chi l'ha accettato quell'accordo frutto di una trattativa avvenuta a Roma tra le parti?
La risposta è semplice: l'hanno accettato la stragrande maggioranza dei lavoratori riuniti in assemblea, 52 a favore e 8 contro.
La decisione dei lavoratori è autonoma, questo nel bene e nel male. Il sindacato di base può criticarla, non può non rispettarla.
Non va mai dimenticato che sono i lavoratori stessi, in prima persona, a sostenere il peso della lotta e solo a loro compete decidere se continuare o accettare la conclusione della vertenza quando non riescono a vedere altri sbocchi positivi.
Può sembrare una banalità, ma non è, purtroppo, quello che normalmente avviene nei sindacati concertativi (Cgil, Cisl, Uil, autonomi compresi), dove generalmente gli accordi predefiniti dai vertici vengono di fatto imposti ai lavoratori.
E' evidente, nel caso specifico, che la maggior parte dei lavoratori della Esab, di fronte ad una finanziaria multinazionale decisa a smantellare il settore della produzione aziendale in Italia, perdendo la speranza in una soluzione di salvaguardia del posto di lavoro, hanno accettato l'incremento della parte economica e di buona uscita.
Quello che è necessario, in questa vicenda, è aprire una riflessione sui limiti del sindacalismo, particolarmente in questa fase.
Di fronte ad una pesante crisi che travolge le condizioni di vita di centinaia di migliaia di lavoratori, una crisi che, come è già stato detto e ripetuto, è dei padroni, ma viene fatta pagare ai lavoratori, non si riesce, nella maggior parte dei casi, a trovare soluzione all'interno di regole fatte apposta per garantire ai padroni il profitto e il controllo sociale. Di certo la spettacolarità di gesti eclatanti da parte dei lavoratori non sono risolutivi per eliminare lo scarto di differenza nello scontro tra i lavoratori da una parte e i padroni e lo Stato dall'altra.
È ora di mettere in discussione la sacralità della proprietà privata, del possesso dei mezzi di produzione, degli immobili e dei terreni spesso oggetto di speculazioni. E' giunto il tempo in cui i lavoratori devono rivendicare il diritto alla espropriazione/riappropriazione nei casi di cessazione per fallimento, delocalizzazione, esternalizzazione. Battersi con radicalità per questi obbiettivi che di certo nessuna Costituzione si sogna di contemplare.

Commissione "Mondo del Lavoro" della Federazione Anarchica Milanese – F.A.I.

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