Umanità Nova, n.35 dell'11 ottobre 2009, anno 89

Donne e carcere


Spesso quando si parla di detenzione e condizioni carcerarie si tende a soffermarsi soltanto sull'accezione maschile della questione e si finisce così con il sottovalutare il problema carcere osservato da un'angolazione di colore rosa. Sui motivi per cui se ne parla poco, è presto detto: rispetto a chi condivide medesima sorte, ma fa parte del genere opposto, le detenute non balzano agli onori della cronaca con la stessa sequenza; è altresì vero che le loro specificità rendono i loro problemi tendenzialmente meno eclatanti e poco spendibili sia dal punto di vista politico che da quello mediatico. Noi crediamo che tale visione esuli da una presa di coscienza attenta e lungimirante, e che quindi esso sia del tutto immotivato, nonostante l' ultimo rapporto sulla situazione carceraria femminile denoti una riduzione di crimini efferati e omicidi, una diminuzione delle detenute tossicodipendenti e un maggiore utilizzo delle misure alternative quali arresti domiciliari e semilibertà.
La percentuale delle detenute donne sul territorio nazionale è soltanto il 5%, ma nonostante l'evidente sproporzione tra i fenomeni dal punto di vista strettamente quantitativo, riteniamo necessario sottolineare come le peculiarità insite nella condizione della detenuta stessa in quanto donna (una su tutte, la maternità), e la correlazione tra cause della detenzione e condizioni economiche e sociali spesso disagiate rendano il tema molto delicato.
Come dicevamo, attualmente le detenute rappresentano il 5% della popolazione carceraria nazionale. Tale quota è rimasta piuttosto costante nel tempo, mentre il numero complessivo di donne in carcere è aumentato, proporzionalmente all'incremento generale della popolazione detenuta.
La detenzione femminile è caratterizzata dal punto di vista geografico dalla esistenza di cinque istituti esclusivamente femminili, che ospitano la quasi totalità delle detenute; il restante trova posto nei 59 istituti cosiddetti "misti", dotati di aree separate.
Uno degli istituti è situato all'isola della Giudecca. Esso è annoverato tra i più efficienti del paese, anche grazie alle tre attività economiche che si sono sviluppate al suo interno; orto biodinamico, lavanderia e laboratori sartoriale e di ceramica, attività che grazie alla collaborazione con cooperative locali consentono alle detenute di attenuare la routine della prigionia.
Le detenute italiane rappresentano circa il 40% del totale e generalmente sono imputate di violazioni delle norme vigenti in materia di stupefacenti e tossicodipendenza (44% delle detenute); al 37% delle donne sono ascritti reati contro il patrimonio mentre il 24% ha commesso crimini contro la persona.
Le detenute straniere hanno un'età inferiore delle loro compagne italiane: in media 32 anni, contro i 40 delle italiane. L'età media calcolata con riferimento al momento dell'ingresso in carcere è di poco inferiore, rispettivamente 37 per le italiane e 30 per le straniere.
La maggior parte di loro proviene dall'Europa e dall'Africa. Il 46% delle detenute straniere proviene da Nigeria, ex Jugoslavia e Romania, i paesi con il più elevato numero di donne in carcere. Per quanto riguarda il continente americano la situazione è più frammentata, in quanto il contributo viene fornito da più paesi del centro e del sud; la maggior parte sono di origine colombiana, imputate perlopiù di traffico di stupefacenti.
I paesi citati sono i primi per numero di detenuti stranieri presenti (uomini e donne) e rappresentano da soli ben il 46% del totale dei detenuti stranieri. Di contro si rileva una scarsa presenza tra le detenute straniere di donne originarie del Nord Africa (Marocco, Tunisia) e dell'Albania, al contrario di quanto affermato dalla stampa nazionale e locale, sintomo evidente di un'informazione volta a creare paura e allarme sociale.
Le cause di detenzione sono ascrivibili al traffico di stupefacenti, prostituzione, furto e reati legati all'immigrazione clandestina. Questo sottolinea quanto già affermato in precedenza; che si parli di italiane o di straniere, il leit-motiv che spinge queste persone a delinquere va ricercato nel disagio che contraddistingue le loro esistenze riprova di ciò, il fatto che il livello di scolarizzazione è tendenzialmente basso soprattutto per quanto riguarda le immigrate; nel caso delle detenute più anziane e di molte immigrate si può addirittura parlare di basso tasso di alfabetizzazione.
Inoltre, anche in assenza di dati chiari e inequivocabili sugli ambienti di origine possiamo affermare quanto riportato da operatori e volontari; molte donne "criminali" hanno subito a loro volta violenze fisiche e psicologiche, vessazioni e abusi di ogni genere.
Un altro aspetto che spesso società e istituzioni trattano con noncuranza è quello parentale nonostante i bambini che vivono in carcere con le madri siano un centinaio.
L'Italia, a livello legislativo, prevede una serie di benefici per le donne in considerazione del loro ruolo di madri. Essi riguardano l'applicazione delle misure cautelari, l'esecuzione della pena e la concessione di misure alternative alla detenzione.
A livello teorico l'art. 275 c.p.p. comma 4 prevede che non possa essere disposta la custodia cautelare in carcere, salvo eccezioni, quando imputati siano donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente.
Esiste poi una legge del 1975 di riforma dell'Ordinamento penitenziario, volta a salvaguardare il rapporto madre-figlio almeno nell'età più delicata del bambino, che consente appunto alle detenute di tenere con sé i propri figli fino all'età di tre anni. Una legge successiva, la n. 40 dell'8 marzo 2001, pur avendo introdotto principi importanti, come la carcerazione domiciliare speciale, non ha cambiato in modo sostanziale le cose: solo poche donne, infatti, riescono a usufruire dei benefici previsti perché la loro applicazione prevede una serie di condizioni che spesso non si verificano, soprattutto nel caso di detenute straniere, nomadi in particolare, oggi ormai numerosissime nelle carceri italiane.
I penitenziari si equipaggiano così di strutture e servizi per accogliere al loro interno i figli delle detenute, quali asili-nido, scuole materne, ludoteche ecc..
La realtà delle cose è comunque quella che vede fanciulli che, negli anni fondamentali della loro crescita, vivono un'esperienza di costrizione.
Soffermarsi su una situazione di questo tipo significa pensare ad un minore segnato dal ricordo di una cella. Di conseguenza una prigione, anche se decantata quale esemplare di istituto di detenzione modello, resta pur sempre un insieme di implacabili sbarre, soprattutto se vista con gli occhi di un fanciullo inconsapevole.

Da "Salta Maria Maggiore"
Foglio Informale Anticarcerario

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