A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
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Alla Ideal Standard la trattativa va avanti da mesi e gli operai da mesi sono in presidio. L'azienda è di proprietà del gruppo americano Bain Capital con sede a Bruxelles. Lunedì della scorsa settimana era previsto un incontro a Roma al Ministero della attività produttive, ma la situazione è precipitata quando la direzione ha minacciato la chiusura del forno di cottura delle ceramiche. A quel punto i 150 dipendenti hanno reagito in modo determinato mandando via tutti e si sono barricati in fabbrica per non far spegnere il forno, mantenere in funzione le macchine e difendere il loro lavoro dalle speculazione dei padroni. È evidente la volontà aziendale di fermare la produzione, chiudere l'impianto di Brescia e di ottenere la ricollocazione speculativa dell'area. "Siamo organizzati con cucina per pranzo e cena. Siamo dentro e non facciamo entrare nessuno" – è quanto hanno dichiarato gli occupanti. I lavoratori stanno progettando le prossime iniziative: andare in sciopero a Bologna in occasione della "fiera dei sanitari" e successivamente a Bruxelles "per manifestare sotto le finestre dei loro padroni". L'occupazione della fabbrica prosegue e gli operai sono molto determinati: la proprietà, il governo e gli enti locali dovranno tenerne conto.
Tricase, Salento. Qui il 30 settembre scorso, cinque operai del
gruppo calzaturiero Nuova Adelchi, sono saliti sul tetto del palazzo
comunale e, dopo avere steso uno striscione che recita "Adelchi +
istituzioni = 500 famiglie senza lavoro e dignità" - hanno
dichiarato che non scenderanno finché non sarà stata
trovata una soluzione definitiva che eviti la perdita del lavoro per
tutti i dipendenti. Gli operai chiedono che la proprietà ora
rispetti gli impegni presi per la ripresa del ciclo produttivo in La
Nuova Adelchi, Crc e Gsc Plast. Nelle tre aziende del gruppo Adelchi,
terminato il 13 giugno scorso il periodo di casa integrazione
ordinaria, era poi subentrata la cig straordinaria, concessa con
l'accordo sottoscritto il 6 luglio fra la Provincia di Lecce,
organizzazioni sindacali e rappresentanti dell'Adelchi. Secondo tali
accordi, entro e non oltre il 15 settembre, il gruppo industriale
avrebbe dovuto comunicare la data di ripresa dell'attività, ma
il 15 è trascorso senza che sia arrivata alcuna comunicazione.
Di qui la decisione di iniziare questa forma di lotta. Da notare che
quello di Tricase è solo uno fra i tanti casi in cui un datore
di lavoro approfitta della ghiotta occasione – la crisi economica – per
smobilitare e trasferire all'estero la produzione, verso paesi dove il
costo del lavoro sia ancora più basso che nel meridione
d'Italia. Nel caso poi del gruppo Adelchi, si tratta di una strategia
già in precedenza messa in atto, in quanto da alcuni anni buona
parte della produzione era già stata spostata in Albania e
Bangladesh. Ma a quanto pare questa volta il meccanismo si è
inceppato per la resistenza dei lavoratori.
Se qualcuno pensava che la vicenda della INNSE si fosse finalmente
risolta in gloria e senza strascichi, dovrà ricredersi. A
distanza di alcune settimane dal 2 agosto, giorno in cui si
giocò il futuro della lotta, ad alcuni compagni, tra quelli che
erano accorsi a difendere la fabbrica insieme ai lavoratori, sono state
recapitate multe salate, per importi che vanno dai 2.500 ai 10.000
euro, quale punizione per avere contribuito a bloccare per alcuni
minuti la tangenziale est di Milano. Un fatto che dimostra palesemente
come la vicenda INNSE e la resistenza degli operai, malgrado
l'affermazione del Prefetto secondo cui l'accordo assumeva "un
significato ancora più importante visto il momento di crisi
generale", in realtà sia andata di traverso alle autorità
di Milano ed alle potenti lobby del mattone meneghino. Se non si
possono più colpire i lavoratori, divenuti loro malgrado un
simbolo agli occhi di tanti che si trovano nelle medesima condizioni,
si colpiscono quanti hanno osato sostenere attivamente quella lotta,
fino alla vittoria. Hanno però fatto i conti senza l'oste. Il 22
settembre scorso si è svolta al presidio di via Rubattino
un'assemblea particolarmente partecipata, al termine della quale i
lavoratori della INNSE hanno comunicato di assumere su di sé la
piena responsabilità della decisione di bloccare la tangenziale
e chiedere ufficialmente il ritiro delle multe. "Respingiamo i
tentativi di rompere l'unità costruita alla INNSE fra gli operai
e tutti coloro che li hanno sostenuti. Qualora la risposta della
Prefettura non sia soddisfacente o tardasse a venire, verrà
convocata una successiva e più ampia assemblea, per vagliare la
risposta più pertinente contro chi vuole spezzare la
solidarietà intorno agli operai della INNSE, creando anche un
deterrente per i sostenitori delle lotte in altre fabbriche. Non
riusciranno a dividerci, otterranno il risultato contrario, saremo
più uniti e forti di prima."
La Frigostamp di Bruino (TO) aveva deciso l'uso indiscriminato e
pretestuoso della cassa integrazione obbligatoria per tutti i
dipendenti, a 0 ore. Ma i 170 operai non si sono dati per vinti. Sono
scesi in sciopero compatti e uniti, bloccando le merci in entrata ed
uscita. Il padrone per rompere la loro volontà di lotta ha
sguinzagliato capi e capetti, provando a intimidire gli scioperanti e
affiggendo comunicati minacciosi che accusavano i lavoratori di portare
avanti "una protesta di carattere ideologico che evocava gli anni
settanta". Ma la forte determinazione dei lavoratori, dovuta
essenzialmente al loro coinvolgimento e partecipazione a tutte le fasi
organizzative della lotta, è uscita indenne da tutte le manovre
padronali. Anche perché i lavoratori sono coscienti che se
dovesse passare la cassa integrazione ordinaria, ci sarà la fase
della cig straordinaria, fino ad arrivare alla mobilità e quindi
ai licenziamenti. La determinazione degli operai ha fatto paura al
padrone che ha preferito sospendere la procedura di cig e finalmente
aprire le trattative con le RSU aziendale. Una vittoria che è
una ulteriore conferma: la lotta paga.
La Disney, società di fama internazionale nel settore dell'entertainment per l'infanzia, è sotto accusa da parte del sindacato "Unite here local one" per una questione che riguarda l'assistenza sanitaria dei dipendenti. Secondo questo sindacato infatti, la società, benchè nello scorso anno abbia ottenuto un profitto netto di ben 4 miliardi e mezzo di dollari, si rifiuta categoricamente di erogare l'assistenza sanitaria al suo personale e propone, invece, che la spesa venga sostenuta dal sindacato stesso per il 75% e per il restante 25% dai dipendenti. A suo dire infatti, il costo sarebbe di soli circa 250 dollari al mese per ogni dipendente; peccato che la stessa società sia nota per elargire ai dipendenti stipendi notoriamente da fame, a fronte dei quali 250 dollari al mese sono un salasso. Per questo motivo i lavoratori Disney hanno organizzato alcuni picchetti; i dimostranti indossavano i costumi dei principali personaggi della stessa Disney. Bella figura, dinanzi ad un pubblico di inconsapevoli pargoli ai quali, a diffusione planetaria, vengono propinate sdolcinate e melense favolette che però convogliano miliardi di dollari nelle casse Disney.