«Una vendetta». Così Haidi Giuliani ha commentato
la sentenza pronunciata dal Presidente della corte d'appello di Genova,
Maria Rosaria d'Angelo, alla fine del processo riguardante le giornate
genovesi del G8, per i 25 manifestanti accusati a vario titolo di
devastazione, saccheggio, resistenza aggravata, porto e detenzione di
materiale esplodente, furto aggravato, rapina e lesioni; una sentenza
che, comminando 98 anni e mezzo in totale a dieci manifestanti (con
pene fino a 15 anni) oltre al risarcimento di 23 mila euro, accoglie in
blocco sia la tesi della procura, sia il verdetto di primo grado,
secondo cui quello che successe nella città della Lanterna fu
diretto, organizzato e attuato dai black-bloc, mentre le forze
dell'ordine hanno semplicemente svolto il proprio dovere, agendo
all'unisono per "legittima difesa", come quel carabiniere che la sera
del 20 luglio 2001 tolse la vita al figlio di Haidi Giuliani, Carlo, in
piazza Alimonda a Genova.
Che dire, soprattutto dopo l'assoluzione dell'allora capo della polizia
Gianni De Gennaro e dell'ex-capo della Digos Spartaco Mortola, imputati
per aver depistato il processo dell'assalto alla scuola Diaz,
convincendo il questore Colucci ad allontanare ogni sospetto dal
"Capo"? O dopo le pene ridicole nel processo di primo grado per le
violenze alla caserma di Bolzaneto e l'assoluzione di tutti i vertici a
danno degli operativi per il pestaggio alla scuola Diaz? Due pesi, due
misure? No! Un solo peso, anzi un macigno, con il quale lo Stato ha
aperto – non certo chiuso – i conti con i rivoltosi scesi in piazza, e
che continueranno a manifestare il proprio dissenso, opponendosi ai
soprusi, alle angherie, alle violenze del sistema securitario, prima,
giudiziario, poi.
Del resto, fin dal primo processo svoltosi nel dicembre 2002, si era
già capito quale sarebbe stata la musica suonata: allora 23
manifestanti su 26 vennero colpiti da qualche misura di restrizione
della libertà. Nove furono messi in carcere, 4 ai domiciliari,
10 con obbligo di dimora e di presentazione alle autorità
giudiziarie. Quelli in carcere ci resteranno sei mesi e poi altri sei
mesi ai domiciliari. La sentenza del processo di primo grado
arrivò nel dicembre 2007 con una sola assoluzione e 24 condanne
per un totale di 108 anni. In tal modo la partitura seguì il
"refrain" di sempre: chi mette a rischio l'ordine pubblico creando
paura fra la gente, fa devastazione e saccheggio invece che
danneggiamento, e pertanto mette a repentaglio la società.
Soprattutto se si è parte di un corteo non autorizzato;
perché altrimenti nel subire le cariche e prender le mazzate dai
tutori dell'ordine si può anche "ottener giustizia", tanto a lor
signori aggressori non accadrà nulla: non son mica black-bloc!
Così qualche vetrina rotta, qualche bancomat messo fuori uso,
qualche auto capovolta, qualche merce-oggetto distrutta, ha fatto
comminare pene da far inorridire e scioccare anche il "Comitato per la
verità e giustizia su Genova", che in una nota ha ribadito
quanto «pene così pesanti, fino a 15 anni, per persone
accusate di reati contro le cose, e non contro le persone, sono del
tutto sproporzionate e fuori anche dal senso comune. Al G8 di Genova
l'uccisione di una persona è stata archiviata senza processo e
le inusitate violenze compiute da uomini in divisa contro persone
indifese, alcune ferite molto gravemente, sono state punite con pene
lievi, per lo più coperte dalla prescrizione. Questa ingiusta e
inedita sproporzione, più che a un paese democratico fedele allo
stato di diritto, fa pensare alle sanzioni inflitte dagli stati
autoritari contro i dissidenti. E' una sentenza inquietante e dovrebbe
allarmare tutti».
Che sia una sentenza che dovrebbe allarmare tutti, va da sé. Che
sia inquietante, potrà forse esserlo soltanto per chi ancora si
rifiuta di sapere che la giustizia non fa parte di un sistema di potere.
gianfranco marelli