Umanità Nova, n.36 del 18 ottobre 2009, anno 89

Mercanti di morte


Il 28 e 29 ottobre si svolgerà a Torino – all'Oval Lingotto – una mostra/mercato dell'industria aerospaziale di guerra, l'"Aerospace and defence meeting", giunto alla sua seconda edizione. In questa partita le industrie piemontesi – Alenia, Microtecnica, Fiat Avio – giocano un ruolo di primo piano che Camera di Commercio e istituzioni locali, Regione, Provincia e Comune di Torino, sponsorizzano.
La mostra di Torino è solo la vetrina di una bottega molto grossa, i cui traffici sono in costante aumento ormai da molti anni. Il nostro paese detiene un posto di tutto rispetto tra i produttori e commercianti di armamenti.
In costante aumento, al di là dei giochetti di Tremonti, anche il bilancio della difesa. Negli ultimi tre anni soldati in strada, missioni all'estero, finanziamento per nuovi sistemi d'arma hanno assorbito sempre più risorse. 

Spesa militare
L'Italia secondo il SIPRI, l'istituto per le ricerche sulla pace di Stoccolma, nel 2008, pur spendendo in armi "solo" l'1,8% del proprio budget – gli Stati Uniti sono a quota 42%, la Cina al 5,8%, seguiti da Francia, Russia, Gran Bretagna, Germania, Giappone – è tra i paesi con il costo più alto per i cittadini. Con i suoi 689 dollari pro-capite, si piazza tra i maggiori al mondo e, per il quinto anno consecutivo, supera la Germania (568 dollari) e altri paesi del G8 come Russia (413 dollari) e Giappone (361 dollari). In altri termini qui la spesa di guerra è fatta soprattutto di commesse governative. E, siccome la coperta è corta, a restare scoperti, ormai da lunghi anni, sono le scuole, gli asili, la sanità, i trasporti per i lavoratori e studenti. I tagli nei servizi hanno costantemente finanziato l'acquisto di nuove armi. Come gli F35, cacciabombardieri di nuova generazione, prodotti da Lockheed Martin e Alenia, che costano intorno a 130 milioni l'uno. L'Italia ne ha comperati 100 e si accinge a costruire uno stabilimento per l'assemblaggio nell'area dell'Aeroporto militare di Cameri, nella periferia novarese.
La crisi finanziaria globale non tocca l'industria della guerra. Secondo il rapporto del Sipri nel 2008 c'è stato un vero boom del settore. Le spese militari globali hanno toccato la cifra record di 1.464 miliardi di dollari, il 2,4 per cento del prodotto interno lordo mondiale. Un incremento del 4% rispetto al 2007, ma soprattutto, un aumento della spesa del 45% negli ultimi 10 anni, quando ancora ci si attestava sotto i 1.000 miliardi di dollari. 10 anni di guerre che hanno insanguinato il pianeta. Ma il costo in vite umane, distruzione ambientale, devastazione di intere città non conta nulla: perdite e guadagni non stanno certo dalla stessa parte.
Nel 2009 Tremonti ha indossato le vesti del "pacifista", riducendo la spesa per la difesa a "soli" 20.294,3 miliardi di euro, circa 650 milioni di euro in meno rispetto all'anno precedente. Le pretese di La Russa di portare il pur imponente bilancio militare dallo 0,9 all'1,5% della spesa pubblica pare siano state del tutto ignorata. Il mensile "altreconomia", in un'inchiesta di Massimo Paolicelli pubblicata in marzo, ha dimostrato che il trucco c'è e si vede.
Al ministero della Difesa sono stati assegnati anche 470,8 milioni di euro da ripartire per le spese di organizzazione e di funzionamento, nonché per le spese riservate, quelle cioè da assegnare a Dis, Aise e Aisi (ovvero gli ex Cesis, Sismi e Sisde, cioè i servizi segreti e di sicurezza).
A questi vanno poi aggiunti i 379,6 milioni di euro destinati al "Fondo per gli interventi agevolati alle imprese", che negli ultimi anni sono serviti unicamente a finanziare l'aeronautica e l'industria aerospaziale.
Un altro stanziamento di 1.359,7 milioni di euro è destinato per interventi a sostegno del settore aeronautico. 180 milioni sono andati ad interventi per lo sviluppo e l'acquisizione delle unità navali. Con il solito gioco delle tre carte Tremonti ha poi stabilito che le entrate derivanti dalla gestione degli immobili della Difesa siano versate all'entrata del Bilancio dello Stato per essere integralmente riassegnate allo stato di previsione del ministero della Difesa. Prendo dalla tasca destra e passo in quella sinistra: il risultato non cambia, ma ci faccio bella figura.
Ai 20.294,3 miliardi del bilancio della Difesa vanno poi aggiunti i soldi stanziati per i nuovi sistemi d'arma e quelli per le missioni all'estero. Si arriva ad oltre 24 miliardi di euro.
I militari per le strade, nei CIE e nelle discariche costano una media di 31 milioni di euro a semestre. 

Export
In questo gioco di morte le industrie italiane hanno un ruolo di primo piano. Lo scorso anno – lo si evince dai dati ufficiali resi noti in aprile da palazzo Chigi – è stato un anno record per l'export made in Italy.
I nuovi contratti hanno superato i tre miliardi di euro, con un incremento del 29% rispetto al 2007. Le armi consegnate sono state pari a 1,8 miliardi di euro: 500 milioni in più. A questo considerevole flusso vanno poi aggiunte le autorizzazioni relative a programmi intergovernativi, cioè le coproduzioni, pari a 2,7 miliardi di euro.
La presidenza del consiglio ha così commentato questi dati "L'industria italiana per la difesa – si legge nel documento della Presidenza del Consiglio – ha quindi consolidato e incrementato la propria presenza sul mercato globale dei materiali per la sicurezza e difesa, confermandosi un competitivo integratore di sistemi, capace di affermarsi in mercati tecnologicamente all'avanguardia".
La lista dei clienti mostra bene a cosa siano serviti i giocattolini prodotti e venduti nel nostro paese. In prima fila paesi in guerra o che non amano distinguersi troppo nella salvaguardia di libertà e vita di chi vive sotto il loro controllo.
Sebbene l'Italia abbia, sin dal 1990, una legge – la 185 – che disciplina le esportazioni di armi, vietandone la vendita ai paesi in guerra e a quelli responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali sui diritti umani, i fatti dimostrano che questa legge non è che carta straccia. Con buona pace dei pacifisti che continuano a reclamarne l'applicazione, il governo firma senza battere ciglio le autorizzazioni all'export in paesi in guerra o dove la tortura è praticata sistematicamente.
Quest'anno il cliente principale è la Turchia che ha stretto un contratto di un miliardo di euro per l'acquisto di alcune decine di elicotteri d'attacco dell'Agusta. Senza scomodare l'ultimo rapporto di Amnesty International su "maltrattamenti ed eccessivo impiego della forza da parte delle forze dell'ordine" basta dare un'occhiata alle immagini o leggere le testimonianze sulla feroce repressione che ha colpito i manifestanti contro l'ultimo summit dell'FMI, il Fondo Monetario Internazionale, per capire cosa intenda il governo turco per "diritti umani"
I 3 miliardi di contratti per l'export bellico sono così ripartiti: 254 milioni dal Regno Unito, 173 milioni dall'India, 130 dalla Francia, 126 dagli USA, 126 dall'Australia, 109 dalla Germania, 105 dalla Spagna, 93 dalla Libia, 76 dall'Algeria, 59 dalla Nigeria, 43 dall'Oman, 39 dagli Emirati Arabi, 36 dal Venezuela, 30 dal Kuwait, 30 dal Pakistan, 23 dall'Arabia Saudita, 17 dall'Egitto, 1,9 milioni rispettivamente da Malaysia, Indonesia, Cile e Israele.
Quasi tutti questi paesi sono impegnati in conflitti aperti o latenti al di fuori dei loro confini o attuano violente politiche repressive contro minoranze ed oppositori politici.
In prima fila nell'export c'è il colosso Finmeccanica, che vede tre proprie aziende in cima alla classifica.
Prima assoluta l'AgustaWestland che, con i suoi 1.535 milioni, si è aggiudicata la metà dei nuovi contratti; seguono nell'ordine Alenia Aeronautica con 279, Oto Melara con 185; Fincantieri con 163; Simmel Difesa con 161; IVECO (gruppo Fiat) con 116; Selex Sistemi Integrati con 99; Galileo Avionica con 44; Avio con 42; Microtecnica e Selex Communications con 39.
Per quanto riguarda le armi consegnate al primo posto assoluto nella lista dei clienti c'è la Germania con 275 milioni, seguono Regno Unito con 247, Spagna con 100, Usa con 98. Fra i Paesi con importi minori sono da evidenziare la Turchia con 56, l'India con 38, il Pakistan con 36, l'Egitto con 34, la Libia con 30, l'Arabia Saudita con 25, il Sud Africa con 19 e la Nigeria con 14.
Nella produzione e commercio di ordigni di morte il Piemonte ha un ruolo di primo piano, specie nel settore aeronautico: Alenia, Fiat Avio, Microtecnica sono le punte di "eccellenza" di cui si è vantata la presidente della Regione Mercedes Bresso in occasione della prima edizione dell'"Aerospace and defence meeting", svoltosi in sordina lo scorso anno.
Nessuna pace per chi fa guerra!
La guerra non è solo in Afganistan, è sotto casa nostra. Sono i militari nelle strade e nei CIE, sono le caserme e le fabbriche di morte.
Per fermarla non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d'armi.
Numerose le iniziative promosse a Torino contro la seconda edizione della mostra/mercato dell'industria di guerra.
Un lungo ottobre antimilitarista, partito con un presidio contro la presenza degli alpini nelle strade (la cronaca la trovate nella rubrica "inform@zione"), andrà avanti nei prossimi quindici giorni con un programma fitto di appuntamenti di piazza, azioni comunicative, e, infine, sabato 24 e domenica 25 ottobre il meeting antimilitarista "Nessuna pace per chi fa guerra!".

Ma. Ma.

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti