L'8 ottobre, solo grazie al picchetto anti-sfratto organizzato dagli
inquilini dell'AS.I.A.-RdB e dagli attivisti di Bologna Prende Casa
è stata impedita l'esecuzione di uno sfratto per morosità
ai danni di una famiglia monoreddito composta da padre madre e figlio
minore in via Tagliamento.
È stato ottenuto un rinvio di un mese, tempo che
dovrà essere più che sufficiente perché vengano
individuate delle soluzioni e perché ogni istituzione,
dall'amministrazione comunale alla prefettura si assumano le loro
responsabilità, passando dalle parole ai fatti. Parole che hanno
visto il riconoscimento dell'emergenza sfratti da parte dell'assessore
alla casa e la dichiarata disponibilità della prefettura a
trattare il problema. Come associazione inquilini e assegnatari
chiediamo che vengano convocati urgentemente dei tavoli fra le parti
sociali per risolvere concretamente l'emergenza abitativa. Gli effetti
della crisi sono visibili anche sul territorio bolognese con l'aumento
della cassa integrazione e della disoccupazione, che hanno conseguenze
immediate sul problema abitativo. Lo scontro tra diritto alla casa e
rendita si manifesta con sempre più violenza a scapito dei
diritti delle fasce popolari. I lavoratori, gli inquilini sono nel
giusto e possono ottenere dei risultati quando difendono la propria
esistenza con forme di lotta organizzate.
Uscire dall'emergenza abitativa vuol dire affitto calcolato in base al
reddito, ovvero incremento dell'edilizia residenziale pubblica.
L'assegnazione di una casa popolare non deve essere più
considerato un lontano miraggio, ma deve diventare un diritto.
Associazione inquilini assegnatari (as.i.a.-RdB)
http://bolognaprendecasa.noblogs.org/
Nel lontano 1589 l'ex-gesuita Giovanni Botero consigliava ai sovrani
d'Europa tre modi per impedire la ribellione delle minoranze di etnia o
religione diversa: «avvilirli d'animo, indebolirli di forze e
togliere loro il modo di unirsi insieme, perché i sollevamenti
nascono o da generosità di cuore, o da grandezza di forze, o da
moltitudine unita insieme» («Ragion di Stato», V, 3).
Ascoltando gli interventi al presidio del Coordinamento Migranti di
Bologna tenutosi la mattina del 10 ottobre si sarebbe potuto concludere
che i metodi dello Stato sono sempre gli stessi. Coloro che hanno preso
la parola al gazebo posto in piazza Nettuno hanno raccontato le maniere
molteplici con cui lo Stato avvilisce, sfrutta, ricatta, discrimina e
opprime le lavoratrici e i lavoratori migranti, costretti a versare
cifre sempre maggiori per rinnovare i permessi di soggiorno, che spesso
arrivano in ritardo o addirittura già scaduti. E oggi il
«pacchetto sicurezza» mette ancor più in pericolo la
libertà e la vita delle persone migranti incrementando le
espulsioni, ostacolando i ricongiungimenti familiari, diffondendo
incertezza e paura, ponendo a rischio l'esistenza di ragazzi nati e
cresciuti in Italia, ma senza alcuna garanzia di poterci restare. Anche
la crisi economica e i licenziamenti pesano drammaticamente sulle
spalle dei e delle migranti, che possono trovarsi a un tratto, dopo
anni e decenni di lavoro regolare e contributi versati, in condizione
di clandestinità o detenuti in un lager. In questo contesto di
violenza legale, «la proposta di concedere il voto amministrativo
ai migranti risulta una beffa, in quanto nessun rappresentante
istituzionale ha mostrato la minima volontà di dare risposte ai
nostri problemi».
La scelta del Coordinamento Migranti è stata quella di portare
in piazza questi racconti perché «il silenzio non paga,
non si può più tacere»: non tanto per ottenere una
generica solidarietà, quanto per far capire che le politiche
razziste dello Stato sono solo il primo anello di una catena repressiva
che investe e opprime tutti i lavoratori. Sul pericolo delle
discriminazioni razziste in materia di sanità e sull'impianto
discriminatorio del «pacchetto sicurezza» sono poi
intervenuti i medici di Sokos e del Cestas.
Scopo del presidio è stato anche di promuovere la manifestazione
del 17 ottobre a Roma contro il razzismo istituzionale e per bloccare
la legge Bossi-Fini. Al di là delle specifiche parole d'ordine,
si tratta di una manifestazione importante perché può
contribuire a ridare orgoglio, forza e senso di solidarietà alle
persone migranti, in un periodo cupo di razzismo aggressivo e di
disciplinamento autoritario. Perché davvero le effettive
trasformazioni sociali non possono nascere che «da
generosità di cuore, o da grandezza di forze, o da moltitudine
unita insieme».
Redb
In 5000 sono scesi in piazza a Palermo in occasione dello sciopero
generale dei metalmeccanici. Il corteo, partito alle 10 circa da piazza
Marina, ha attraversato il centro storico della città arrivando
sotto il palazzo della regione siciliana. Alla manifestazione, indetta
dalla FIOM-CGIL, erano presenti diverse realtà di lotta: dagli
operai della Fincantieri, ai precari della scuola, agli studenti
universitari e medi. Al corteo erano presenti anche una decina di
compagni del Coordinamento Anarchico Palermitano, dotati di striscione
e di un volantino scritto per l'occasione. In risposta ai
licenziamenti, alle delocalizzazioni, alla mancanza di commesse ed alla
cassa integrazione, i compagni del Coordinamento hanno sottolineato la
loro distanza dalle politiche di mediazione del conflitto tipiche dei
sindacati, ribadendo la loro posizione chiara e distinta che verte sui
metodi di lotta tipici di una prassi libertaria: l'autorganizzazione
delle lotte per la libertà, l'autogestione della produzione e
l'azione diretta.
Nucleo FAS
"Giustizia e Libertà" - Palermo
Se vi capita di passare in via Cecchi, sulle serrande del ristorante
"Il Caminetto" vedrete una scritta nera: "Qua mangia brutta gente...
Non venite".
Forse qualcuno non gradisce le passeggiate del sindaco Chiamparino in
zona. Lo scorso mercoledì, prima dell'ennesimo giro di "ronda",
il piccolo sceriffo subalpino pare si sia fermato proprio al
"Caminetto" per penne all'arrabbiata e polpo.
Quando si è presentato ai giardinetti di via Cecchi, i residenti
che si godevano il fresco dopo una giornata ancora estiva, vedendo la
sua brutta faccia hanno pensato bene di andarsene.
Il giorno dopo il sindaco ha annunciato che il comune sta mettendo a
punto il progetto di "riqualificazione" dei giardini di via Cecchi. In
questi anni gli abitanti delle periferie hanno imparato cosa intenda
l'amministrazione comunale per "riqualificazione": illuminazione stile
carcere di massima sicurezza e telecamere ovunque. Ai fascisti e
leghisti dei Comitati "spontanei" lampioni e occhi elettronici
ovviamente non bastano. Loro vogliono una pulizia radicale. Etnica.
Qui trovate un paio di foto delle scritte al Caminetto:
http://piemonte.indymedia.org/article/5891
M. M.
Giovedi 8 ottobre alle prime luci dell'alba un massiccio
dispegamento di forze del disordine ha fatto irruzione nel campo rom di
Via Popilia. Interi gruppi familiari, compresi i bambini e gli anziani
malati, sono stati costretti ad estenuanti attese sotto il sole all'
interno del campo, prima di essere deportati presso gli uffici della
Questura di Cosenza. Il campo è in una situazione di assoluto
degrado, infestato dai topi, circondato da discariche abusive di
lamiere e amianto.
Ben note sono le responsabilità dell'amministrazione di Cosenza
che ha finora negato il proprio intervento a proposito di acqua
potabile, smaltimento dei rifiuti e questione sanitaria.
I giornalisti dal canto loro auspicano la cacciata dei rom e lo
sgombero della "cittadella della vergogna", ma si guardano bene dal
fare inchiesta sui veri mali che affliggono la nostra vallata.
Nonostante le televisioni nazionali raccontino di interi quartieri
costruiti senza alcun controllo pubblico, di milioni e milioni di
euro dei finanziamenti europei spariti nelle casse degli studi
professionali, di intrecci perversi tra malavita e politica, di
inquinamento d'ogni genere e forma... i rom ed i rumeni rimangono al
primo posto nella classifica della paura.
Il peggio è stato evitato grazie alla tempestiva presenza di
Enza, attivista antirazzista della Kasba, che è riuscita a
impedire che almeno i bambini fossero portati in caserma. Al campo non
è stato trovato nulla, né coltelli, né droga o
armi. Tuttavia i rom sono stati intimati di allontanarsi dal territorio
nazionale, pena tre anni di carcere. La motivazione sarebbe che 80
persone non riescono ha dimostrare come vivono - come tanti a Cosenza
- non hanno domicilio riconosciuto e quindi sono socialmente
pericolose! Si tratta di una pulizia etnica a sfondo sociale!
Da una comunicazione di Oreste
Torino 8 ottobre. Nessuna pace per chi fa guerra
L'appuntamento è tra corso Brescia e corso Giulio Cesare. In
quest'angolo di Barriera di Milano da qualche tempo c'è una
postazione fissa di alpini. Camionetta, uomini in mimetica, armi. Come
in Afganistan. D'altra parte gli uomini sono gli stessi: sei mesi a far
la guerra in Asia, sei mesi a far la guerra nelle nostre periferie.
Lo spazio antimilitarista apre intorno alle sei di sera. Gli alpini
sono all'angolo scortati da una camionetta di poliziotti e da un fitto
nugolo di uomini della Digos.
Gli antimilitaristi non fanno in tempo a piazzare banchetti e
striscioni che gli alpini se la filano via, lasciando libera la zona.
Per una sera questo scampolo di quartiere è restituito a chi ci
vive.
Vengono issati gli striscioni "Fuori i militari dai quartieri!", "Fuori
i razzisti. Casa per tutti", "basta retate". Chi passa si ferma, legge
i volantini, da un'occhiata alla mostra sul pacchetto sicurezza e i
pannelli "Sicuri da morire" con foto sulle torture e le violenze dei
"nostri" militari in missione di pace.
Molti gli immigrati che leggono, scambiano quattro chiacchiere,
ringraziano per il – purtroppo momentaneo – allontanamento degli
alpini. Non poteva mancare un saluto al ministro dell'Interno Maroni,
che ha trasformato un incubo in realtà. Fare la guerra e
chiamarla sicurezza.
Uno striscione giallo con la scritta "offri un... a Maroni" e, in
mezzo, ben visibile, un dito medio levato, ha fatto la sua comparsa in
strada. Ben tre triscioni "gemelli" di quello erano stati strappati a
forza dalla polizia ma nuovi cloni compaiono di tanto in tanto. Gli
antimilitaristi hanno salutato con calore il ministro di polizia:
"Maroni leghista sei il primo della lista!", "A piazzale Loreto
c'è ancora tanto posto... Maroni, baffetto, per te c'è un
angoletto!" Ma in quell'angolo ci torneremo perché anche questo
è un modo per mettersi in mezzo. Per fermare la guerra non basta
la testimonianza perché la guerra è qui, nelle nostre
città, nei quartieri dove uomini armati pattugliano le strade.
È guerra interna. Contro i poveri, gli immigrati, i senza casa.
Quante case, ambulatori, asili nido si potrebbero aprire con i soldi
usati per tenere gli alpini all'angolo di una strada?
Questa non è sicurezza, è occupazione militare.
Cacciamoli via.
Foto a quest'indirizzo:
http://piemonte.indymedia.org/article/5949
Con quest'iniziativa è partito un lungo ottobre antimilitarista,
contro la mostra mercato dell'industria di guerra. Si prosegue il 14
con un incontro antimilitarista, il 17 con un presidio in piazza, il 24
e 25 con il meeting antimilitarista. E poi ogni giorno in giro per la
città.
M.M.
Un viaggio in tram a Torino ormai da anni rischia di trasformarsi in
una brutta avventura per tanti di quelli che ci viaggiano.
Controllori/sceriffi spesso accompagnati da vigili e poliziotti provano
a fare cassa sulle spalle della povera gente e vanno a caccia di
immigrati senza carte.
Negli ultimi tempi hanno preso di mira il tram 4.
Mercoledì pomeriggio un gruppo di antirazzisti sono saliti su
numerosi tram della linea 4: qualcuno distribuiva volantini mentre
altri, con un piccolo megafono, parlavano con i viaggiatori. Tanti,
tantissimi gli immigrati e gli italiani. Molti hanno apprezzato
l'iniziativa, raccontando a loro volta le proprie storie.
Facciamo un passo indietro. La linea degli scrocconi. Così l'ha
chiamata qualche giorno fa "La Stampa", la "busiarda – bugiarda" come
la chiamano da sempre i torinesi. Con il 4 si va dalla Falchera a
Mirafiori, passando per Barriera e Porta Palazzo. Chi ci va, stretto
stretto con le borse della spesa in mano, di solito conta il centesimo
per arrivare alla fine del mese. Pensionati, lavoratori, studenti,
tutta gente che il biglietto a volte non ce la fa a pagarlo,
perché la crisi – dicono che sta passando, ma nessuno se ne
accorge – morde la vita di tanti. Di troppi. E, come sempre, quando
molti tengono la testa bassa, la crisi dei padroni la paga chi lavora,
magari in nero, magari rischiando la vita e la salute. Si sono spesi
miliardi per le Olimpiadi: i soliti noti – amici e compari di chi
governa - hanno mangiato e digerito già da un pezzo la loro
fetta di torta. C'è bisogno di fare cassa ed ecco frotte di
controllori sui tram, così i buchi di bilancio li fanno pagare
alla povera gente. 70 euro a capoccia, 25 se li sganci subito. È
tempo che la crisi la paghino i padroni: trasporti pubblici gratuiti
per tutti!
Ci raccontano la favola triste che la colpa di tutto è dei
più poveri, degli immigrati che fanno i lavori che nessun
italiano fa più, di quelli che lavorano senza carte nei cantieri
o si occupano per pochi soldi dei nostri vecchi. Tanti cascano nella
trappola e battono le mani quando sui tram con i controllori salgono
vigili o poliziotti a caccia di chi non ha documenti, di esseri umani
come noi, nati in paesi dove la povertà è ancora
più nera che qui. Gente che ha affrontato deserto, prigioni,
torture e stupri in Libia, carrette del mare e mercanti d'uomini, pur
di dare un futuro ai propri figli.
Pochi anni fa gli immigrati venivano dal sud, dal Veneto, dal Friuli
per costruirsi una vita diversa, forse migliore. Allora dicevano che i
meridionali erano tutti delinquenti, mafiosi e camorristi. Oggi dicono
lo stesso di marocchini, nigeriani, cinesi... Eppure, la maggior parte
di loro, la gente dei quartieri popolari, la vede partire ogni mattina
per andare al lavoro. Proprio come i loro genitori.
Anche allora era dura: in fabbrica e nei quartieri, dove non c'erano
servizi, scuole, case. Anche allora il razzismo verso gli ultimi
divideva la gente, ma poi, poco a poco, tutti compresero che il nemico
non era l'immigrato meridionale, ma i padroni che si arricchivano sulla
pelle di tutti.
La guerra tra poveri fa comodo a chi vuole che gli ultimi siano divisi,
incapaci di reagire, di lottare per un futuro migliore di questo
presente, che non da prospettive a nessuno, italiano o immigrato, con
le carte o senza le carte. Con il biglietto o senza il biglietto. Anche
una corsa in tram può essere un'occasione. Un'occasione per
puntare sulla solidarietà contro il razzismo. Un'occasione per
dare una mano a chi rischia molto più di una multa: chi non ha
le carte viene rinchiuso in un CIE – Centro di identificazione e
Espulsione - anche per sei mesi prima della deportazione in un paese
dove non vuole e non può più vivere. In questi ultimi
mesi nei CIE, le galere per immigrati, come quello di corso
Brunelleschi a Torino, decine di uomini e donne hanno tentato la fuga,
si sono ribellati, facendo lo sciopero della fame, tagliandosi le
braccia per non essere riportati verso carestia, guerra, persecuzioni.
I controllori della GTT collaborano attivamente alle retate, lavorando
fianco e fianco con vigili e polizia. Ogni tanto interi autobus vengono
bloccati per dare la caccia ai clandestini. Chi sta a guardare e
non fa nulla, chi addirittura plaude, diventa complice dei razzisti, di
chi divide la gente in uomini e no.
È tempo che ciascuno decida da che parte stare.
M. M.
Per info e contatti con: "Resistere al razzismo"; mail noracism@inventati.org; tel. 338 6594361