Umanità Nova, n.37 del 25 ottobre 2009, anno 89

Sciopero Generale. La banda Brunetta-Sacconi scippa le RSU


Lo scorso 9 ottobre è stata approvata in via definitiva la riforma del pubblico impiego elaborata dal ministro Brunetta. Si tratta del Decreto attuativo della Legge Delega n.15 del marzo 2009, "finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e all'efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni", che, tra le altre cose, si propone anche di riformare la disciplina del rapporto di lavoro, introducendo in modo ancora più marcato meccanismi di valutazione e di meritocrazia e intervenendo pesantemente sulla contrattazione collettiva e decentrata. Gli elementi introdotti con questa manovra sono tanti e tali da ridisegnare il panorama del settore del pubblico impiego, ma, come sempre accade, non nascono dal nulla, anzi, si inquadrano in una serie di provvedimenti e di linee di indirizzo già avviate da tempo, e contemporaneamente costituiscono il presupposto necessario per interventi successivi.
Tra i punti più caratterizzanti della legge 15 c'è la valutazione delle performance del dipendente, da effettuare tramite "pagelline". Già affermata da tempo in alcuni settori del pubblico impiego,  la prassi degli aumenti salariali selettivi legati alla valutazione, trova ora piena e completa attuazione, rafforzandosi anche attraverso il nuovo elemento della sanzionabilità del dirigente che non attui la valutazione selettiva dei dipendenti. I lavoratori saranno quindi divisi in tre fasce predefinite, a "numero chiuso": 25% collocati nella fascia di merito più bassa (nessun salario accessorio), 50% nella fascia intermedia ( e 50% del salario accessorio); 25% nella fascia più alta (50% del salario accessorio).
La contrattazione decentrata perde qualsiasi margine di autonomia rispetto alla contrattazione nazionale, anzi viene introdotto il criterio della deroga in peius: il contratto decentrato che doveva avere funzione di adeguamento migliorativo rispetto ai contratti nazionali, potrà dunque prevedere peggioramenti normativi ed economici rispetto ai contratti nazionali.
La contrattazione collettiva vede ridotti da 10 a 4 i comparti di contrattazione nazionale e vede ridotti anche alcuni importanti ambiti come quello dell'organizzazione del lavoro e della gestione delle risorse umane, che, sottratti alla contrattazione, passano nelle competenze esclusive dei Dirigenti.
Notevoli irrigidimenti sono anche previsti sul fronte delle sanzioni disciplinari e della possibilità di licenziamento, con la crescita smisurata del potere dei dirigenti, incentivati ad un'applicazione ferrea delle nuove disposizioni tramite la sanzionabilità economica dei dirigenti stessi.
Questo, a grandi linee l'impianto base del decreto, sul quale bisogna comunque condurre alcune osservazioni, che ne qualifichino appunto la natura di elemento di raccordo tra provvedimenti che ne hanno costituito il presupposto e provvedimenti che ne potranno costituire un'ulteriore applicazione.
Innanzitutto va ricordato come il decreto Brunetta, soprattutto negli aspetti che prevedono la ridefinizione della contrattazione, si ponga in linea di strettissima continuità con la riforma complessiva della contrattazione realizzata con gli accordi quadro firmati qualche mese fa da governo, Confindustria e CISL, UIL e UGL. Tali accordi prevedevano: l'allungamento della vigenza dei contratti, dilatando i tempi del rinnovo della parte economica; un ulteriore indebolimento delle possibilità di recupero salariale, determinato secondo nuovi indici previsionali che porterebbero il riallineamento persino al di sotto dell'inflazione programmata; il collegamento tra aumenti salariali, merito e produttività; la perdita di potere e la possibile deroga in peggio della contrattazione decentrata. Brunetta quindi ha recepito ed esplicitato quanto era già contenuto negli accordi tra governo e sindacati concertativi.
Un'altra osservazione va fatta su un settore specifico del pubblico impiego che è la scuola, settore che si trova al centro di un violentissimo processo di ristrutturazione. I tagli e la conseguente perdita di posti di lavoro e di ore di insegnamento sono il dato evidente e macroscopico, ma i processi in atto mirano non solo ad un'imponente cura dimagrante. Ad essere radicalmente ridefinito è l'assetto strutturale, l'organizzazione del lavoro, l'inquadramento del personale. La riforma della primaria ha già provveduto in parte in questo senso; altri passaggi verranno svolti dall'imminente riforma della secondaria superiore. La riforma del pubblico impiego imporrà anche nel settore scuola i provvedimenti generali che sopra abbiamo elencato. Ma un'altra manovra, collegata in modo evidente con il decreto attuativo della legge Brunetta, attende la scuola: si tratta del disegno di legge Aprea, il cui iter si era arenato negli ultimi due mesi, ma che ora, alla luce dell'approvazione del decreto Brunetta, ha tutte le carte in regola per poter proseguire il suo devastante percorso.
Il decreto Brunetta, nel definire i livelli di merito in cui inquadrare i lavoratori del pubblico impiego esclude il settore scuola rimandando ad interventi successivi e specifici. Il disegno Aprea, fra le varie cose, prevede appunto, per i lavoratori della scuola una analoga divisione in tre fasce, un analogo criterio di ripartizione del salario accessorio, un diversificato accesso agli incarichi, al governo della scuola, alla stessa possibilità di elaborare progetti didattici che esclude totalmente chi appartiene alla fascia di merito più bassa. Ma nel disegno Aprea non c'è solo questo; c'è anche la trasformazione delle scuole in fondazioni con un consiglio di indirizzo caratterizzato dalla presenza dei privati, esponenti delle realtà imprenditoriali etc, c'è la scomparsa del Collegio dei docenti; c'è la costituzione dell'organismo di valutazione interna che regola la collocazione nelle fasce di merito e stipendiali; c'è la proposta di abolizione della RSU. E' evidente dunque che, per un settore come quello della scuola, ancora al riparo da meccanismi di selezione meritocratica già avviati in altri comparti del pubblico impiego, il decreto Brunetta ha bisogno di collegarsi ad una manovra specifica e allo stesso tempo più complessiva, come è appunto il disegno Aprea. Su una questione comunque il decreto Brunetta si affretta a dare disposizioni: il rinvio delle elezioni delle RSU.
Nella scuola le elezioni per il rinnovo delle RSU sono calendarizzate per i primissimi giorni di dicembre e la procedura elettorale è già stata attivata; il 9 ottobre, tre giorni prima dell'avvio della presentazione delle liste, nel decreto Brunetta è stato approvato il rinvio di un anno delle elezioni, motivato dalla necessità di far partire la contrattazione collettiva riferita ai nuovi comparti di contrattazione e successivamente avviare il nuovo modello di contrattazione decentrata con la formazione delle relative rappresentanze sindacali. Per la scuola il rinvio delle elezioni rappresenta un notevole problema. Ogni singola scuola, infatti, è considerata unità produttiva autonoma, elegge proprie RSU e stipula un contratto decentrato. Rispetto al panorama del pubblico impiego, si tratta di una situazione particolare, che moltiplica la presenza delle RSU, ma che richiede un aggiornamento costante. In questa fase, alla scadenza del triennio di vigenza, molte RSU risultano decadute a causa di pensionamenti, trasferimenti dei singoli rappresentanti sindacali o a causa del mutamento di status della scuola, che a causa dei tagli è stata magari accorpata ad un'altra. Ritardare di un anno significa lasciare molte scuole senza rappresentanza sindacale; laddove si verifica questa situazione, la contrattazione decentrata viene portata avanti da soggetti esterni alla scuola, vale a dire dalle segreterie dei sindacati maggiormente rappresentativi, con l'esclusione delle segreterie dei sindacati di base. Va considerato inoltre il fatto che, per i sindacati di base, avere un proprio rappresentante in RSU costituisce l'unica possibilità per poter indire proprie assemblee sindacali. Il rinvio elettorale dunque favorisce esclusivamente i Dirigenti, che si sbarazzano di controparti scomode, e i sindacati di stato, che riprendono il monopolio contrattuale e il terreno clientelare nelle scuole. In ogni caso, poiché il decreto Brunetta non è ancora stato registrato in gazzetta ufficiale, in molte scuole in questi giorni vengono comunque presentate le liste elettorali.
Il panorama sia pur sommariamente delineato evidenzia un attacco particolarmente aggressivo al settore del pubblico impiego, che rimane comunque una delle più grandi aggregazioni di lavoro subordinato. Le manovre in atto sono complesse ed articolate-non certo legate all'isterismo del ministro di turno - e meritano pertanto di essere contrastate in ogni modo.

Patrizia

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