Lo scorso 9 ottobre è stata approvata in via definitiva la
riforma del pubblico impiego elaborata dal ministro Brunetta. Si tratta
del Decreto attuativo della Legge Delega n.15 del marzo 2009,
"finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro
pubblico e all'efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni", che, tra le altre cose, si propone anche di riformare
la disciplina del rapporto di lavoro, introducendo in modo ancora
più marcato meccanismi di valutazione e di meritocrazia e
intervenendo pesantemente sulla contrattazione collettiva e decentrata.
Gli elementi introdotti con questa manovra sono tanti e tali da
ridisegnare il panorama del settore del pubblico impiego, ma, come
sempre accade, non nascono dal nulla, anzi, si inquadrano in una serie
di provvedimenti e di linee di indirizzo già avviate da tempo, e
contemporaneamente costituiscono il presupposto necessario per
interventi successivi.
Tra i punti più caratterizzanti della legge 15 c'è la
valutazione delle performance del dipendente, da effettuare tramite
"pagelline". Già affermata da tempo in alcuni settori del
pubblico impiego, la prassi degli aumenti salariali selettivi
legati alla valutazione, trova ora piena e completa attuazione,
rafforzandosi anche attraverso il nuovo elemento della
sanzionabilità del dirigente che non attui la valutazione
selettiva dei dipendenti. I lavoratori saranno quindi divisi in tre
fasce predefinite, a "numero chiuso": 25% collocati nella fascia di
merito più bassa (nessun salario accessorio), 50% nella fascia
intermedia ( e 50% del salario accessorio); 25% nella fascia più
alta (50% del salario accessorio).
La contrattazione decentrata perde qualsiasi margine di autonomia
rispetto alla contrattazione nazionale, anzi viene introdotto il
criterio della deroga in peius: il contratto decentrato che doveva
avere funzione di adeguamento migliorativo rispetto ai contratti
nazionali, potrà dunque prevedere peggioramenti normativi ed
economici rispetto ai contratti nazionali.
La contrattazione collettiva vede ridotti da 10 a 4 i comparti di
contrattazione nazionale e vede ridotti anche alcuni importanti ambiti
come quello dell'organizzazione del lavoro e della gestione delle
risorse umane, che, sottratti alla contrattazione, passano nelle
competenze esclusive dei Dirigenti.
Notevoli irrigidimenti sono anche previsti sul fronte delle sanzioni
disciplinari e della possibilità di licenziamento, con la
crescita smisurata del potere dei dirigenti, incentivati ad
un'applicazione ferrea delle nuove disposizioni tramite la
sanzionabilità economica dei dirigenti stessi.
Questo, a grandi linee l'impianto base del decreto, sul quale bisogna
comunque condurre alcune osservazioni, che ne qualifichino appunto la
natura di elemento di raccordo tra provvedimenti che ne hanno
costituito il presupposto e provvedimenti che ne potranno costituire
un'ulteriore applicazione.
Innanzitutto va ricordato come il decreto Brunetta, soprattutto negli
aspetti che prevedono la ridefinizione della contrattazione, si ponga
in linea di strettissima continuità con la riforma complessiva
della contrattazione realizzata con gli accordi quadro firmati qualche
mese fa da governo, Confindustria e CISL, UIL e UGL. Tali accordi
prevedevano: l'allungamento della vigenza dei contratti, dilatando i
tempi del rinnovo della parte economica; un ulteriore indebolimento
delle possibilità di recupero salariale, determinato secondo
nuovi indici previsionali che porterebbero il riallineamento persino al
di sotto dell'inflazione programmata; il collegamento tra aumenti
salariali, merito e produttività; la perdita di potere e la
possibile deroga in peggio della contrattazione decentrata. Brunetta
quindi ha recepito ed esplicitato quanto era già contenuto negli
accordi tra governo e sindacati concertativi.
Un'altra osservazione va fatta su un settore specifico del pubblico
impiego che è la scuola, settore che si trova al centro di un
violentissimo processo di ristrutturazione. I tagli e la conseguente
perdita di posti di lavoro e di ore di insegnamento sono il dato
evidente e macroscopico, ma i processi in atto mirano non solo ad
un'imponente cura dimagrante. Ad essere radicalmente ridefinito
è l'assetto strutturale, l'organizzazione del lavoro,
l'inquadramento del personale. La riforma della primaria ha già
provveduto in parte in questo senso; altri passaggi verranno svolti
dall'imminente riforma della secondaria superiore. La riforma del
pubblico impiego imporrà anche nel settore scuola i
provvedimenti generali che sopra abbiamo elencato. Ma un'altra manovra,
collegata in modo evidente con il decreto attuativo della legge
Brunetta, attende la scuola: si tratta del disegno di legge Aprea, il
cui iter si era arenato negli ultimi due mesi, ma che ora, alla luce
dell'approvazione del decreto Brunetta, ha tutte le carte in regola per
poter proseguire il suo devastante percorso.
Il decreto Brunetta, nel definire i livelli di merito in cui inquadrare
i lavoratori del pubblico impiego esclude il settore scuola rimandando
ad interventi successivi e specifici. Il disegno Aprea, fra le varie
cose, prevede appunto, per i lavoratori della scuola una analoga
divisione in tre fasce, un analogo criterio di ripartizione del salario
accessorio, un diversificato accesso agli incarichi, al governo della
scuola, alla stessa possibilità di elaborare progetti didattici
che esclude totalmente chi appartiene alla fascia di merito più
bassa. Ma nel disegno Aprea non c'è solo questo; c'è
anche la trasformazione delle scuole in fondazioni con un consiglio di
indirizzo caratterizzato dalla presenza dei privati, esponenti delle
realtà imprenditoriali etc, c'è la scomparsa del Collegio
dei docenti; c'è la costituzione dell'organismo di valutazione
interna che regola la collocazione nelle fasce di merito e stipendiali;
c'è la proposta di abolizione della RSU. E' evidente dunque che,
per un settore come quello della scuola, ancora al riparo da meccanismi
di selezione meritocratica già avviati in altri comparti del
pubblico impiego, il decreto Brunetta ha bisogno di collegarsi ad una
manovra specifica e allo stesso tempo più complessiva, come
è appunto il disegno Aprea. Su una questione comunque il decreto
Brunetta si affretta a dare disposizioni: il rinvio delle elezioni
delle RSU.
Nella scuola le elezioni per il rinnovo delle RSU sono calendarizzate
per i primissimi giorni di dicembre e la procedura elettorale è
già stata attivata; il 9 ottobre, tre giorni prima dell'avvio
della presentazione delle liste, nel decreto Brunetta è stato
approvato il rinvio di un anno delle elezioni, motivato dalla
necessità di far partire la contrattazione collettiva riferita
ai nuovi comparti di contrattazione e successivamente avviare il nuovo
modello di contrattazione decentrata con la formazione delle relative
rappresentanze sindacali. Per la scuola il rinvio delle elezioni
rappresenta un notevole problema. Ogni singola scuola, infatti,
è considerata unità produttiva autonoma, elegge proprie
RSU e stipula un contratto decentrato. Rispetto al panorama del
pubblico impiego, si tratta di una situazione particolare, che
moltiplica la presenza delle RSU, ma che richiede un aggiornamento
costante. In questa fase, alla scadenza del triennio di vigenza, molte
RSU risultano decadute a causa di pensionamenti, trasferimenti dei
singoli rappresentanti sindacali o a causa del mutamento di status
della scuola, che a causa dei tagli è stata magari accorpata ad
un'altra. Ritardare di un anno significa lasciare molte scuole senza
rappresentanza sindacale; laddove si verifica questa situazione, la
contrattazione decentrata viene portata avanti da soggetti esterni alla
scuola, vale a dire dalle segreterie dei sindacati maggiormente
rappresentativi, con l'esclusione delle segreterie dei sindacati di
base. Va considerato inoltre il fatto che, per i sindacati di base,
avere un proprio rappresentante in RSU costituisce l'unica
possibilità per poter indire proprie assemblee sindacali. Il
rinvio elettorale dunque favorisce esclusivamente i Dirigenti, che si
sbarazzano di controparti scomode, e i sindacati di stato, che
riprendono il monopolio contrattuale e il terreno clientelare nelle
scuole. In ogni caso, poiché il decreto Brunetta non è
ancora stato registrato in gazzetta ufficiale, in molte scuole in
questi giorni vengono comunque presentate le liste elettorali.
Il panorama sia pur sommariamente delineato evidenzia un attacco
particolarmente aggressivo al settore del pubblico impiego, che rimane
comunque una delle più grandi aggregazioni di lavoro
subordinato. Le manovre in atto sono complesse ed articolate-non certo
legate all'isterismo del ministro di turno - e meritano pertanto di
essere contrastate in ogni modo.
Patrizia