La retorica della meritocrazia ha sempre imperversato nel mondo
accademico. Anche nell'ambito delle mobilitazioni studentesche dello
scorso anno erano in molti a partire dal presupposto che la
meritocrazia, in una società dominata da clientelismo e
corruzione, fosse la panacea di tutti i mali. Anche se il movimento era
composto da diverse correnti di pensiero, coloro che avevano un
atteggiamento critico nei confronti del meccanismo meritocratico
venivano spesso attaccati in quanto la loro visione sembrava 'poco
pragmatica', ideologica ed utopistica.
In realtà quello meritocratico è un sistema tutt'altro
che innovativo e tutt'altro che idilliaco. E' un sistema fortemente
radicato a vari livelli sia in università che nel resto della
società. In ambito universitario il sistema, già
attualmente in vigore, ha pesanti ripercussioni sulla vita degli
studenti.
La soggettività del merito
Innanzitutto bisogna chiarire un punto fondamentale: il termine
'merito' si rifà inevitabilmente ad una visione soggettiva, in
quanto ciò che per una persona può essere degno di lode,
per un'altra potrebbe non esserlo o addirittura essere degno di
biasimo. Considerando che in un sistema meritocratico ogni
riconoscimento viene assegnato esclusivamente in base al merito
individuale, ecco che diviene di fondamentale importanza capire in base
a quali parametri si svolge la valutazione. Questi parametri non sono
espressione di un giudizio universalmente accettato, ma di una ben
precisa idea della società e dei rapporti che la regolano. I
criteri che al giorno d'oggi vengono utilizzati per valutare il
rendimento dello studente universitario vanno quindi interpretati sulla
base delle logiche che regolano il sistema universitario.
Incentivi e disincentivi: come si penalizzano gli studenti-lavoratori.
Se uno studente passa molti esami con voti alti, può godere di
una riduzione delle tasse, mentre se non si laurea in tempo e va fuori
corso si trova a dover pagare una somma aggiuntiva.
Un sistema di questo tipo può andar bene per uno studente con
reddito medio-alto, che ha la possibilità di studiare a tempo
pieno (anche se questo può precludergli la possibilità di
svolgere attività esterne al corso di laurea). Ma lo stesso non
si può dire per gli studenti meno abbienti, per i quali anche le
borse di studio ed altri incentivi sono vincolati ai voti e al numero
di esami conseguiti. In tale situazione lo studente si ritrova
obbligato a tenere un determinato ritmo di studio, che spesso risulta
troppo frenetico per permettere una buona assimilazione dei contenuti
delle materie.
Ovviamente coloro che più sono penalizzati da questo sistema
sono gli studenti-lavoratori. E' chiaro che uno studente che deve
lavorare per mantenersi non può riuscire a seguire corsi,
preparare esami e fare stage non retribuiti, alla stregua di uno
studente a tempo pieno. In Italia stentano a venir approvati
provvedimenti per incentivare coloro che lavorano e vogliono
contemporaneamente seguire l'università. Al contrario, invece,
questi studenti vengono sempre più penalizzati. Non solo sono
sfavoriti dal punto di vista economico, in quanto non rientreranno mai
negli standard richiesti per gli incentivi, ma ci sono anche altri
fattori che contribuiscono a sfavorire chi non può seguire le
lezioni. In molti corsi a frequenza obbligatoria gli studenti sono
costretti ad essere presenti a lezione, pena l'impossibilità di
dare gli esami; in altri invece i professori penalizzano chi non
frequenta incentrando i loro esami su quanto spiegato in classe invece
che su quanto si trova nei libri di testo. E ovviamente gli orari dei
corsi non sono mai pensati in modo che studio e lavoro si possano
conciliare.
Corsi a numero chiuso: come si limita la libertà di scelta.
Un'ulteriore forma di discriminazione che si cela sotto un sistema
apparentemente meritocratico è l'introduzione di sempre
più corsi a numero chiuso, che limitano pesantemente le
possibilità di scelta dei singoli. Si tratta di un meccanismo
che dovrebbe favorire i più competenti, ma invece di valutare il
rendimento dello studente in quella facoltà, fa una sorta di
controllo 'preventivo' sulle sue conoscenze, prima che questo vi possa
accedere. L'impegno del singolo spesso non è sufficiente per
garantirne l'ammissione. Infatti anche una persona che risulta idonea
può venire esclusa se ci sono troppi candidati e la
qualità dell'educazione ricevuta negli anni precedenti gioca un
ruolo molto importante. Le recenti devastanti politiche in tema di
scuola pubblica influiranno, quindi, sempre di più sulle
possibilità di accesso all'università.
Inoltre i quiz spesso non sono per nulla pertinenti con l'oggetto di
studio del corso e richiedono conoscenze che difficilmente si
acquisiscono nelle scuole superiori. Queste selezioni sembrano quindi
avere come unico scopo quello di limitare l'accesso ad un determinato
numero di persone. Le uniche che avranno poi la possibilità di
accedere ad una determinata professione.
Insomma, tutta questa tanto incensata 'meritocrazia' in realtà
non è altro che il frutto di una vecchia logica gerarchica, che
insegue un'idea di merito e di eccellenza basata sulla competizione, in
linea con la logica dell'attuale sistema economico. La vera conoscenza
si dovrebbe basare sulla cooperazione e non dovrebbe essere utilizzata
come mezzo di prevaricazione. Invece in questa ottica il sapere non
è più considerato un diritto da condividere, ma un
privilegio da conquistare, in un clima di competizione serrata. A farne
le spese saranno sempre le persone più svantaggiate e in questo
modo si riprodurranno nel campo del sapere le stesse logiche classiste
che vigono nell'economia capitalistica.
Valentina