Negli ultimi 7-8 anni ho partecipato ininterrottamente
all'organizzazione e alla riuscita di scioperi, incontri, assemblee e
mobilitazioni nazionali e locali su queste questioni. Quello che mi ha
personalmente arricchito, e che è stato elemento di
"qualità" per la riuscita delle mobilitazioni stesse, è
in qualche modo dovuto al fatto di aver lavorato dal "punto di vista"
sindacale (cioè dal punto di vista di chi nella scuola e
nell'università ci lavora) piuttosto che direttamente dal punto
di vista del rispetto dei diritti previsti a tutela dello studente.
Un punto di vista valido come gli altri ma forse di più ampio respiro. In che senso?
In questi giorni leggevo con soddisfazione, e anche con un pizzico di
autostima, che oggi non esiste una piattaforma in cui non si chieda il
ritiro immediato del Ddl Aprea (1). Già a partire dalle
mobilitazioni d'epoca morattiana, e poi in maniera più marcata
con Fioroni ministro, ricordo benissimo che nel denunciare quell'idea
di sistema formativo elaborato da Aprea venivamo considerati un po' dei
matti, come se fossimo svincolati dal reale e dalla battaglia in corso,
e quindi spesso attaccati non solo da CGIL-CISL-UIL ma anche dalle loro
organizzazioni giovanili (UdS, UdU, etc.)
Non tutti sapevano che quell'impianto era contenuto in un libro di
Valentina Aprea intitolato La scuola che non c'è edito da
Mondadori nel 1998 con prefazione di Silvio Berlusconi [...]
Il modello di sistema scolastico ed universitario esposto in quel
testo, in perfetta sintonia con il liberismo dilagante e con tutta la
miseria politica e sociale che esso produce, è stato il filo
conduttore – passo dopo passo, un pezzetto alla volta, attuato un po'
per volta – dall'autonomia a Moratti a Fioroni a Gelmini, fino al
rischio di vedercelo trasformato in legge dello stato.
C'è stata dunque una cecità (o convenienza?) di molti nel
non vedere un percorso che, in vista di un obbiettivo da raggiungere,
ha sviluppato nel tempo tutte le premesse per la sua stessa attuazione.
E questo percorso, come dicevo prima, era ben visibile leggendo i fatti
dal punto di vista del lavoratore di quel particolare sistema, nelle
dinamiche del conflitto capitale-lavoro in cui sono immersi i
lavoratori di quel settore (all'epoca, le mode del movimento non ci
definivano precari bensì "cognitari").
In qualche modo, però, troviamo ora alcuni dei vecchi
sostenitori di quel modello contro di esso (speriamo non in termini
strumentali), e questo è senza dubbio un passo importante,
perché porta molti a schierarsi definitivamente contro il
modello aziendalistico e contro il concetto stesso di scuola o
università "azienda" e/o di formazione "merce"; sembra, in
pratica, che non serpeggi più nelle assemblee l'idea fino a
qualche anno fa diffusa di azienda "buona", forse perché il
dirigente stava con il centrosinistra o perché era diventato
dirigente perché era stato un pezzo grosso del sindacato (per lo
più CISL e CGIL).
Io penso che questo passo in avanti sia il frutto non solo delle
conseguenze delle pesanti condizioni che vivono i lavoratori e della
diffusione della precarietà di massa e della disoccupazione, ma
anche di un buon lavoro fatto dai sindacati di base, tutti, nel non
mollare sulla questione nonostante sconfitte su sconfitte e vertenze
perse.
Inoltre, al di là delle polemiche purtroppo sempre vive […]
ciò è stato ovviamente anche merito di tutti quei
movimenti che hanno saputo operare connettendo il proprio agire in
questa direzione, saldando con le analisi di cui sopra un certo tipo di
gestione del conflitto-progetto (do per scontato il nesso scuola
azienda - perdita di qualità dell'educazione intesa quale
potente mezzo di crescita culturale, di sviluppo di capacità
critiche e di denuncia dell'esistente, di elemento d'emancipazione
sociale).
Personalmente, e sottolineo, parlo al di là di ogni polemica in
corso, ho lavorato e lavoro molto bene con le uniche realtà di
base presenti sul mio territorio, cobas e unicobas, e mi sento in tutta
sincerità di consigliare non solo agli studenti, ma soprattutto
ai lavoratori di scuola e università, di essere presenti in
queste battaglie e di continuare a mettere al centro di esse proprio la
questione del Ddl Aprea, in quanto elemento di unione e al contempo
"contenitore" di tante contraddizioni, a partire da quella tra
qualità della vita/del lavoro/dell'educazione ed economia
capitalista.
Edo
1 Le "Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la
libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la
riforma dello stato giuridico dei docenti", contenute nel Ddl Aprea,
mirano sostanzialmente a fare della scuola un'azienda, all'insegna del
regionalismo, dell'entrata dei privati, del mercato, della riduzione
della rappresentanza sindacale. Così fondazioni, consigli di
amministrazione e consulenti privati diventano i protagonisti del
"rinnovamento della scuola", tutte le norme per il reclutamento e la
carriera dei docenti vengono riscritte, gli spazi di contrattazione
sindacale sono ridimensionati e le RSU scuola abolite. Viene istituita
una rappresentanza sindacale unitaria regionale per i docenti e l'area
contrattuale della docenza. Cfr. anche
http://www.unicobas.it/cost18708.htm [ndr]