Quando, da ragazzo, sentivo i racconti sui desaparecidos argentini,
sul modo in cui venivano massacrati dagli apparati repressivi dello
stato e ascoltavo i racconti delle madri, delle famiglie, lasciate
sole, senza informazioni, senza notizie sui loro cari, ero schifato,
sdegnato, indignato per quello che accadeva in un altro paese, talmente
distante da avere un oceano in mezzo. Forse, nella mia ingenuità
di ragazzo, pensavo che qui non sarebbero potute succedere.
Forse, sempre nella mia ingenuità di ragazzo, non lo volevo credere. Purtroppo ho dovuto ben presto cambiare idea.
Leggendo della vicenda di Stefano Cucchi, molte analogie con troppi
altri casi mi sono venute in mente. Ma una soprattutto mi ha toccato. E
ho riprovato lo stesso sdegno, la stessa rabbia, la stessa collera di
quando ascoltavo i racconti delle madri argentine.
Leggere del calvario di questi genitori, che invano cercano di avere
informazioni del figlio, arrestato per un reato minore, e che vengono
puntualmente respinti con scuse difficilmente sostenibili. Ai quali
nessuno dice come stanno le cose, ai quali nessuno dice che il loro
figlio è stato massacrato di botte al punto da portarlo in fin
di vita e che vengono a sapere della sua morte solo perché i
carabinieri gli notificano il decreto di autorizzazione dell'autopsia.
Nessuno, nessuno si è degnato di dire una mezza parola. Non
pretendo questo da carabinieri, polizia penitenziaria o giudici, del
resto si sa che razza di esseri umani siano, ma i medici, il personale
paramedico dell'ospedale, un qualsiasi inserviente coinvolto nella
vicenda.... Niente, niente di niente. Tutti vigliaccamente asserviti a
questo sistema repressivo. Nessuno di loro che abbia avuto anche un
minimo moto di umanità, un barlume, uno sprazzo sporadico.
Niente. Tutti fermi e complici nel mentire, nel coprire il massacro.
Parole, tante parole si possono spendere su questa vicenda, come su
altre, ma nessuna potrà mai spiegare accuratamente fatti che
vanno oltre. Forse avrò ancora in me quell'ingenuità di
ragazzo che non vuole, non può credere che alcuni esseri umani
possano essere così gratuitamente efferati da superare ogni
limite che la nostra superbia di "esseri evoluti" dovrebbe porre con la
ragione. Bestie! No, le bestie non si comportano così, le
bestie, gli animali, hanno un'etica. No, questi sono esseri umani della
peggior specie, quella più becera, più ripugnante,
più disgustosa.
Cucchi, Mastrogiovanni, Lonzi, Aldrovandi e quanti altri, vittime di un
apparato marcio, disgustoso e putrido, prima massacrati fisicamente e
poi dilaniati mediaticamente. Sempre per Cucchi, è vomitevole
sentire come nei notiziari venga regolarmente puntato il dito sul suo
passato di tossicodipendente, sui suoi problemi con la droga, su come
sia stato trovato in possesso di droga (cazzo! venti grammi di
marijuana! e ditelo che erano solo venti grammi di marijuana!). E tutto
questo quasi fosse una giustificazione. Sì un bravo ragazzo, ma
era un drogato, quindi.... E a ruota il politico di turno a chiedere
che si faccia chiarezza, che si faccia luce e che si trovino i
colpevoli.
Dai carabinieri alla polizia penitenziaria, dai tribunali all'ospedale.
Tutti a puntare il dito contro tutti in un perfido gioco di scarica
barile. E intanto si aprono inchieste contro ignoti. Ignoti i
massacratori di Cucchi, ignoti i massacratori di Lonzi nel carcere
delle Sughere a Livorno. Ignoti e mele marce: la via di fuga di una
struttura repressiva che, nonostante sia ben collaudata, ogni tanto
sfugge al controllo. E quando sfugge, a chi dare la colpa? A tutti e a
nessuno. E nel gioco perverso, apparentemente mentitore, c'è un
fondo di verità: al di là del singolo autore, il
colpevole vero è il sistema Stato che tutti concorrono
colpevolmente a mantenere con le proprie violenze, che siano fisiche o
meno. Al quale tutti collaborano con la sistematica distruzione della
esistenza.
Una violenza quotidiana che non sempre è fisica, ma morale.
E se qualcosa va storto, alla fine i colpevoli chi saranno? Le solite mele marce!
G.A.