Una morte come quella di Francesco Mastrogiovanni ad un primo
sguardo è potuta apparire ai più come il risultato di una
serie di coincidenze maligne o fortuite. Queste "coincidenze" hanno
però radici lontane, sia nella vita di Francesco, sia nelle
politiche governative di repressione, e questo vale soprattutto per chi
è (o appare) avverso al sistema e/o diverso.
Ricapitoliamo brevemente i fatti, partendo da chi era Francesco.
Dobbiamo ritornare al 1970, quando cinque anarchici calabresi sono in
viaggio verso Roma per consegnare alla redazione di Umanità Nova
i materiali di un'inchiesta che essi avevano condotto sulle stragi
statal/fasciste del tempo. Non arriveranno mai, e con loro non
arriveranno i materiali che portavano con sé. Moriranno tutti in
un "incidente" stradale, schiantati contro un autotreno guidato da un
salernitano con tendenze fasciste, tra Anagni e Ferentino, all'altezza
della residenza di Junio Valerio Borghese (pochi mesi dopo ci sarebbe
stato il famoso tentativo di Golpe legato al suo nome). I materiali,
insieme alle agende dei giovanissimi compagni, scompariranno
misteriosamente, apparentemente volatilizzati nell'incidente.
Data la provenienza dell'autista (che qualcuno dà alle
dipendenze di Borghese) e la "stranezza" della dinamica dell'incidente,
alcuni compagni salernitani, in primo luogo Giovanni Marini, si fanno
carico di indagare sull'ambiente salernitano neofascista. Il 7 luglio
1972, Marini ha appuntamento con Francesco Mastrogiovanni e Gennaro
Scariati per andare insieme ad uno spettacolo: lungo la strada trovano
ad aspettarli da un gruppo di neofascisti. Francesco cerca di evitare
lo scontro andando a parlare con gli aggressori e, in risposta, riceve
una coltellata: Marini interviene in sua difesa e, nella colluttazione,
muore uno degli aggressori, il giovane Carlo Falvella, legato
strettamente alle famiglie della "borghesia nera" salernitana. I tre
passano un lungo periodo di detenzione, dopo il quale Marini si
troverà caricato dal Tribunale (che accetta una oggettivamente
alquanto improbabile ricostruzione dei fatti ad opera dei fascisti) di
una pena detentiva di dodici anni per "omicidio preterintenzionale":
Mastrogiovanni e Scariati sono assolti.
Negli anni successivi, Mastrogiovanni si allontana dalla politica
attiva e, anche per andar via dal suo paese natio nel Cilento dove i
neofascisti lo minacciano a ripetizione, inizia a lavorare come maestro
elementare in varie scuole del nord Italia. Dopo molti anni,
però, ritorna a vivere e a lavorare nelle sue zone d'origine,
pensando che il tempo abbia oramai stemperato i furori di vendetta. Ma
forse si sbagliava: nonostante tutto e la stessa assoluzione che lo
dichiara vittima e non aggressore, la fama di "anarchico pericoloso" lo
segue. D'altronde, anche quando si era recato a lavorare al nord, la
locale stazione dei carabinieri era stata allertata dai colleghi
salernitani per "tenere d'occhio" questa persona "pericolosa".
La tragica esperienza lo ha segnato nell'animo e lo ha portato a
sviluppare una serie di sintomi nevrotici, in primo luogo un
apparentemente irrazionale timore delle forze dell'ordine in generale
ed in particolare verso l'Arma dei Carabinieri da cui si dichiara
minacciato e perseguitato. Certo, a guarirlo dalla nevrosi, non
contribuirà l'episodio di cui è vittima dieci anni fa.
Fermato da una pattuglia dei carabinieri, contesta una multa: per tutta
risposta viene arrestato, come testimonia il fratello Vincenzo,
"duramente, con ricorso alla forza, manganellate e calci". In primo
grado, in base alla testimonianza dei carabinieri, viene condannato a
tre anni di reclusione, ma la corte d'appello lo assolve in maniera
completa da ogni accusa, disconosce la versione dei carabinieri e,
addirittura, gli riconosce un risarcimento per l'ingiusta detenzione.
Nonostante la più che buona conclusione della vicenda, da allora
vive in un incubo ed il suo enorme timore verso le forze dell'ordine (a
questo punto niente affatto ingiustificato) si consolida. Io, che lo
conobbi all'epoca, mi ricordo come egli fosse convinto, a torto od a
ragione, di essere perseguitato dalla borghesia nera salernitana che,
diceva, non gli avrebbe mai perdonato di essere stato, sia pure
innocentemente, coinvolto nei fatti che portarono alla morte di
Falvella.
Giungiamo così al 31 luglio 2009. Francesco si trova lontano dal
suo paese (Castelnuovo Cilento), in vacanza a San Mauro Cilento:
all'alba il villaggio vacanze dove si trova viene circondato da una
ventina di appartenenti a diverse forze dell'ordine, ivi compresi
alcuni finanzieri che, su una motovedetta, bloccano una eventuale via
di fuga dal mare. Hanno scoperto che Mastrogiovanni era il grande
vecchio delle nuove BR? Oppure che apparteneva ai vertici di una cupola
mafiosa?
Niente di tutto ciò: quest'enorme spiegamento di forze deriva
dal fatto che il sindaco di un terzo paese, Pollica, ha emanato nei
suoi confronti un'ordinanza di Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Francesco fa resistenza (passiva) a lungo all'attuazione
dell'ordinanza, affermando che se fosse finito all'ospedale di Vallo
della Lucania, "ne sarebbe uscito morto". Alla fine si rassegna ed
entra nell'ambulanza: pochi giorni dopo, il 4 agosto, l'ospedale
comunica la notizia della sua morte ai familiari. Il magistrato apre
un'inchiesta e fa effettuare un'autopsia, dalla quale risulta che
Francesco è morto di edema polmonare e che, inoltre, è
stato tutti questi giorni legato strettissimamente al letto di
contenzione. Sin dal primo momento, la vicenda appare assai strana.
Innanzitutto, dal punto di vista normativo, il T.S.O. viene emanato dal
Sindaco del comune presso il quale si trova il paziente su proposta
motivata di un medico. Qualora il trattamento preveda un ricovero
ospedaliero, è necessaria la convalida di un secondo medico
appartenente ad una struttura pubblica e la procedura impone infine
l'informazione dell'avvenuto provvedimento al Giudice Tutelare di
competenza. Solo in tempi recentissimi gli elementi di questa procedura
sono comparsi (mentre sarebbe stato interesse del Sindaco di Pollica
farli conoscere immediatamente) ed al momento appaiono comunque, sotto
alcuni aspetti, dubbi.
Un Trattamento Sanitario Obbligatorio, poi, dovrebbe essere basato su
valutazioni di gravità clinica e di urgenza, e quindi essere una
procedura esclusivamente finalizzata alla tutela della salute. Ebbene,
i motivi che sono stati variamente chiamati in causa (per essere
immediatamente smentiti da fatti oggettivi e testimonianze e sostituiti
con la motivazione successiva), a mia memoria sono stati: Francesco, la
sera precedente, avrebbe
1. sfasciato quattro automobili;
2. urlato in una piazza di Pollica;
3. guidato contromano;
4. guidato la sua auto in un'isola pedonale;
5. proseguito ad un posto di blocco;
6. ricevuto una richiesta di Trattamento, in camera
caritatis, da amici e parenti che si sarebbero rivolti al sindaco di
Pollica.
In attesa di eventuali ulteriori versioni, il minimo che si possa dire
è che la mancanza di un chiaro resoconto fin dall'inizio lascia
aperti molti sospetti su quelle che possono essere state le reali
motivazioni alla base dell'ordinanza emessa, per di più,
da un sindaco nei confronti del cittadino di un altro paese
momentaneamente residente in un terzo.
Inoltre, anche la procedura del letto di contenzione appare del tutto
incongruente sia per la durata (ben quattro giorni), sia per la
mancanza di motivazioni apparenti: dai documenti sanitari in possesso
dei familiari e dei loro avvocati, non sembra apparire alcuna delle
condizioni che sono associate alla scelta di utilizzare i mezzi di
contenzione fisica, per di più per un periodo così lungo.
Amici e familiari hanno messo in piedi un Comitato Verità e
Giustizia per Francesco Mastrogiovanni e, dopo le prime iniziative di
controinformazione, si apprestano ad affrontare una difficile battaglia
legale. È il caso che il movimento cui Francesco, pur non
militando da tempo, continuava a guardare con grande simpatia, si
mobiliti per una battaglia politica su di un caso giudiziario i cui
risvolti politici sono evidenti.
Shevek dell'OACN-FAI