Continua dal numero precedente (n.38).
Nel giugno si apprendeva che "Nei giorni scorsi si era parlato
insistentemente della possibilità di spedire a Kabul una
cinquantina di truppe speciali" (Il manifesto, 17.06.06), ma l'ipotesi
veniva elusa dal ministro Parisi, mentre la sinistra della maggioranza
di governo si assumeva la responsabilità politica di non vedere
e non sapere. Durante i mesi estivi trapelavano notizie sull'avvenuta
entrata in azione dei reparti speciali facenti parte della Task Force
45 operante a Farah da fine luglio, così che al ritorno dalle
ferie il ministro Parisi ammetteva: "Abbiamo rafforzato la
capacità operativa del nostro contingente a Kabul e ad Herat con
la presenza di truppe speciali". I commenti di Russo Spena e di Angelo
Monelli, capogruppo dei Verdi alla Camera, erano improntati ad un
inqualificabile stupore, come se non avessero fatto parte
dell'esecutivo (Il Manifesto, 6.9.06). Pochi giorni dopo l'8 settembre
nella zona di Farah, in un attentato della guerriglia rimanevano feriti
4 commandos-incursori del Comsubin: così non era più
possibile nascondere il "segreto di Pulcinella" (Umanità Nova,
17.09.06) Lo stesso Parisi allora confermava: "le nostre truppe d'elite
sono state inviate come supporto di qualità per gli obiettivi
che ci siamo prefissi in sede NATO".
Alcuni mesi dopo, con l'aggravamento della situazione, l'impiego di
"contro-insorgenza" dei reparti speciali italiani torna ad essere
argomento di qualche interesse politico. Pateticamente, il segretario
del Prc, Franco Giordano, afferma di essere "contrario a qualsiasi
forma di coinvolgimento delle nostre truppe in azioni di guerra" (Il
Manifesto, 15.3.07) e nel novembre 2007, rispondendo ad
un'interrogazione parlamentare di Severino Garrone del Pdci sulle
azioni "combat" delle forze speciali, il governo ammette "mirate azioni
di risposta al fuoco" (Il manifesto, 17.11.07).
Ulteriore atto in cui si è palesato il ruolo risibile dei
partiti "pacifisti" fu quello andato in scena nell'aprile del 2007. Era
il primo di aprile quando il solito Russo Spena dichiarava
solennemente: "Al ministro Parisi diciamo chiaramente che avvertiamo il
governo: non cerchi di ciurlare nel manico, se accederà (sic)
alle richieste dei militari di inviare in Afganistan gli elicotteri
Mangusta, che sono senza dubbio armi offensive e non di difesa, noi
diremo seccamente no, nel rispetto del decreto e degli ordini del
giorno che abbiamo approvato". Dopo appena 45 giorni, come previsto, il
ministro della Difesa Parisi annunciava l'invio in Afganistan di 5
elicotteri per l'attacco al suolo A-129 Mangusta, oltre a ulteriori 8
veicoli corazzati da combattimento Dardo, con relativo cannoncino da 25
mm, e 10 veicoli blindati Lince assieme a 145 militari di rinforzo
(Umanità Nova, 27.05.2007).
Pochi mesi dopo, sempre col centrosinistra al governo, venne peraltro
attuata una misura persino di stampo coloniale, con l'impiego di 120
soldati dell'esercito albanese sotto le direttive italiane per la
difesa della base di Herat (Il Gazzettino, 24.09.2007).
Un altro capitolo inquietante da aprirsi sarebbe quello attorno al
ruolo di quasi tutte le Ong italiane che, nel luglio 2006, in occasione
del voto parlamentare per la proroga, il finanziamento e l'aumento
della presenza militare tricolore in Afghanistan, appoggiarono
apertamente le scelte, tutt'altro che di pace, del governo Prodi. Ma
come si suol dire: questa è un'altra storia.
Conclusasi la parentesi governativa del centrosinistra, con l'attuale
esecutivo con Berlusconi presidente e La Russa nella mimetica di
ministro della Difesa, il profilo dell'intervento italiano non è
sostanzialmente mutato, mentre gli aspetti più militaristi della
politica governativa adesso vengono persino virilmente sbandierati,
anche se solo una ridotta aliquota delle truppe italiane prende parte
alle azioni offensive.
Ad Herat la situazione intanto si fa ancor più critica, a causa
anche delle "gravi responsabilità" che il noto studioso e
giornalista Ahmed Rashid imputa ai militari italiani (Corriere della
Sera, 20.10.09).
Tra l'altro, superate le reticenze del governo Prodi, adesso viene
ammesso non solo che i militari italiani sparano, ma che uccidono pure:
"I talebani uccisi sono diverse decine, ma è difficile fare una
stima precisa perché gli insorti portano subito via i cadaveri"
(Panorama, 13.08.09). Tanto è vero che La Russa è giunto
a sostenere, quasi si trattasse di una partita di calcio, che "Di certo
il numero degli insorti […] è superiore alle perdite subite dai
contingenti internazionali. E di molto. Anche per i nostri il rapporto
è di sicuro più alto" (Corriere della Sera, 10.08.09).
L'ultimo caso è quello passato quasi sotto silenzio lo scorso 5
ottobre nella provincia di Herat, quando in un'operazione notturna
compiuta da forze dell'ISAF (e quindi italiane) e dell'esercito afgano
contro "una base dei ribelli" sono rimasti uccisi sei insorti, tra cui
tre di cittadinanza araba (Corriere della Sera, 7.10.09).
Come scontato, resta imprecisato il numero dei civili rimasti vittime
delle "azioni mirate" dei soldati italiani; basti ricordare la tragica
uccisione di una ragazzina di tredici anni sotto il fuoco di un
mitragliere della Folgore a Herat nel maggio scorso (Il Tirreno,
4.05.09).
Numericamente, dopo un temporaneo ridimensionamento, a seguito delle
richieste di Obama il contingente ha raggiunto il tetto di circa 3.200
unità (Corriere della Sera, 15.06.09; Il Sole-24 Ore, 15.07.09),
comprendenti 450 militari inviati come rinforzo per il periodo
elettorale dall'estate sino a fine dicembre 2009 e circa 50 carabinieri
impegnati nell'addestramento delle forze afgane di repressione presso
la base di Adraskan. I reparti sono dotati di mezzi corazzati (modelli
Lince, Dardo e, prossimamente, Freccia) ed usufruiscono oltre che della
copertura aerea fornita dagli elicotteri anche di quella dei
cacciabombardieri Tornado.
Nelle ultime settimane il quotidiano Times ha "rivelato" che i servizi
italiani avrebbero pagato i talebani, contrattando una sorta di accordo
reciproco per non subire attacchi. L'ipotesi, respinta con sdegno da La
Russa (ma sommessamente rivendicata dal presidente dei deputati PdL
della Camera Fabrizio Cicchitto: "lavorare per evitare guai alle nostre
truppe non è un crimine ma fa parte del lavoro degli 007"), in
realtà appare come una falsa notizia, dato che da sempre
risultano simili trattative tra i vari contingenti militari (non certo
escluso quello britannico, come riporta Il Giornale del 17.10.09) e i
diversi clan e gruppi armati afgani; così come è risaputo
che in molte zone -compresa quella di competenza italiana- i militari
stranieri hanno da tempo rinunciato ad opporsi alla coltivazione del
papavero da oppio (la Repubblica, 11.10.08), peraltro ancor più
rigogliosa nelle zone sotto controllo USA.
Infine può essere utile soffermarsi sulle retribuzioni medie
previste per i militari italiani operanti in Afghanistan, a fronte di
un costo di circa 1.000 euro per ogni minuto della missione italiana
(Corriere della Sera, 26.07.09). Oltre alla paga base i militari in
missione all'estero usufruiscono di sostanziose indennità che
possono arrivare sino al triplo dello stipendio mensile, facendo si che
la retribuzione totale mensile si aggiri attorno ai 6 mila euro per un
soldato semplice giungendo ad oltre 9 mila per un generale. Consistenti
anche le indennità per i familiari dei militari caduti in zona
di guerra, "risarciti" con un premio assicurativo pari a dieci volte lo
stipendio di un anno (Il Sole-24 Ore, 20.09.09).
Cifre sideralmente distanti dai salari operai e dai risarcimenti previsti per i morti nella quotidiana guerra sul lavoro.
U.F.