Umanità Nova, n.40 del 15 novembre 2009, anno 89

Fino a quando?


Sulla vicenda di Stefano Cucchi si è scritto da più parti, anche su alcuni quotidiani che hanno da troppi anni volutamente dimenticato il tema del carcere, dei soprusi e delle violenze che quotidianamente si consumano dentro. Forse in questo caso le foto, orribili, hanno scosso qualche coscienza; merito della coraggiosa decisione dei familiari di rendere pubbliche le immagini di un cadavere martoriato.
Il caso è noto: un uomo di 31 anni una sera, mentre porta a passeggio il cane in un parco di Roma, è arrestato per il possesso di qualche grammo di fumo; entra in caserma vivo e, dopo essere passato dalla galera, esce dall'ospedale morto. Il "mistero" è tale solo per chi ci vuole credere. La verità è lampante: per sei giorni è stato sequestrato, massacrato di botte per essere poi lasciato morire in una corsia di ospedale di un reparto per detenuti.
Sabato 7 novembre un corteo per la verità e la giustizia e contro l'autoritarismo ha attraversato Torpignattara, dove viveva Stefano. Migliaia di persone, tese, incazzate, hanno gridato basta alle violenze dei tutori dell'ordine che, da Genova 2001 ancor più di prima, si sentono evidentemente protetti da un sistema che coltiva quotidianamente servi pronti a trasformarsi in assassini. Un momento per dare voce a tutti coloro i quali sono decisi a mettersi in mezzo, con la propria testa e il proprio corpo, alla piena autoritaria che attraversa il paese.
Perché il caso di Stefano non è isolato: le cronache locali, i rapporti delle associazioni che lavorano sul carcere, le testimonianze di conoscenti e compagni parlano di vessazioni delle forze dell'ordine, più o meno gravi, più o meno frequenti, ma tremendamente "normali" anche quando - come accade sempre più spesso - "ci scappa il morto".
Questo omicidio, la sua efferatezza, non è solo opera di chi materialmente in quei sei giorni ha ucciso Stefano. È il prodotto di una cultura profondamente autoritaria e fascista delle forze di polizia, una brace sempre accesa di odio su cui – a folate – i Ministeri dell'interno e della giustizia buttano benzina. Come nel caso della legge Fini-Giovanardi sulle droghe e dell'ultimo pacchetto sicurezza: modi per dare via libera al sopruso contro i senza carte, i deboli, i ribelli. I carabinieri sono colpevoli tanto quanto gli Alfano e i Maroni, quanto gli amministratori locali che dal Nord al Sud cavalcano l'onda e firmano ordinanze sempre più restrittive.
Dall'uccisione di Carlo Giuliani in avanti, la piazza e, più spesso il chiuso delle caserme e delle carceri, sono sempre più luoghi di terrore. Gli omicidi, più o meno noti, di Federico Aldrovandi, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino, Riccardo Rasman, Manuel Eliantonio, ma anche di Francesco Mastrogiovanni sono solo alcuni dei tanti: gli immigrati che "si suicidano" da una finestra della questura di Genova o che muoiono in caserma a Pistoia dopo un fermo dei carabinieri non fanno notizia, ma gridano anch'essi giustizia.
Qualcuno diceva che la civiltà di un paese si vede dalle carceri. Noi anarchici alla "civiltà" statale e capitalista non abbiamo mai creduto. Come crederci del resto?
Oggi in Italia più della metà delle persone in galera, sebbene sia in attesa di sentenza definitiva, è "presunta innocente"; una persona su tre è dentro per delitti contro il patrimonio e solo il 15% è in galera per delitti contro le persone. Circa 65 mila sono i carcerati e poco più di 50mila sarebbero i posti disponibili nelle carceri italiane; ma il pensiero feroce del potere, il solo possibile, ha la soluzione in mano: 17 mila nuovi posti entro il 2012, ovvero nuove carceri. Ancora, il recente suicidio recente della brigatista Diana Blefari a Rebibbia è uno dei tanti. Dal 2000 ci sono stati oltre 500  suicidi; la disperazione, le violenze fanno sì che in galera ci si uccida 20 volte più che fuori.
Kropotkin scriveva: "c'è una sola risposta nel chiedersi cosa possa essere fatto per riformare il sistema penale: niente. Una prigione non può essere migliorata. A parte insignificanti cambiamenti non resta altro da fare che distruggerla".
La nostra linea d'azione ci pare più attuale e necessaria che mai; il 14 novembre l'Internazionale di Federazioni Anarchiche ha indetto una giornata di mobilitazione contro le politiche razziste e segregazioniste dei governi. Un'occasione, tra le altre, per rafforzare un percorso di lotta in grado di fare piazza pulita dei lager per migranti, delle galere, delle caserme, dei commissariati. Dello Stato.

A. Soto

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