Sulla vicenda di Stefano Cucchi si è scritto da più
parti, anche su alcuni quotidiani che hanno da troppi anni volutamente
dimenticato il tema del carcere, dei soprusi e delle violenze che
quotidianamente si consumano dentro. Forse in questo caso le foto,
orribili, hanno scosso qualche coscienza; merito della coraggiosa
decisione dei familiari di rendere pubbliche le immagini di un cadavere
martoriato.
Il caso è noto: un uomo di 31 anni una sera, mentre porta a
passeggio il cane in un parco di Roma, è arrestato per il
possesso di qualche grammo di fumo; entra in caserma vivo e, dopo
essere passato dalla galera, esce dall'ospedale morto. Il "mistero"
è tale solo per chi ci vuole credere. La verità è
lampante: per sei giorni è stato sequestrato, massacrato di
botte per essere poi lasciato morire in una corsia di ospedale di un
reparto per detenuti.
Sabato 7 novembre un corteo per la verità e la giustizia e
contro l'autoritarismo ha attraversato Torpignattara, dove viveva
Stefano. Migliaia di persone, tese, incazzate, hanno gridato basta alle
violenze dei tutori dell'ordine che, da Genova 2001 ancor più di
prima, si sentono evidentemente protetti da un sistema che coltiva
quotidianamente servi pronti a trasformarsi in assassini. Un momento
per dare voce a tutti coloro i quali sono decisi a mettersi in mezzo,
con la propria testa e il proprio corpo, alla piena autoritaria che
attraversa il paese.
Perché il caso di Stefano non è isolato: le cronache
locali, i rapporti delle associazioni che lavorano sul carcere, le
testimonianze di conoscenti e compagni parlano di vessazioni delle
forze dell'ordine, più o meno gravi, più o meno
frequenti, ma tremendamente "normali" anche quando - come accade sempre
più spesso - "ci scappa il morto".
Questo omicidio, la sua efferatezza, non è solo opera di chi
materialmente in quei sei giorni ha ucciso Stefano. È il
prodotto di una cultura profondamente autoritaria e fascista delle
forze di polizia, una brace sempre accesa di odio su cui – a folate – i
Ministeri dell'interno e della giustizia buttano benzina. Come nel caso
della legge Fini-Giovanardi sulle droghe e dell'ultimo pacchetto
sicurezza: modi per dare via libera al sopruso contro i senza carte, i
deboli, i ribelli. I carabinieri sono colpevoli tanto quanto gli Alfano
e i Maroni, quanto gli amministratori locali che dal Nord al Sud
cavalcano l'onda e firmano ordinanze sempre più restrittive.
Dall'uccisione di Carlo Giuliani in avanti, la piazza e, più
spesso il chiuso delle caserme e delle carceri, sono sempre più
luoghi di terrore. Gli omicidi, più o meno noti, di Federico
Aldrovandi, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino, Riccardo Rasman, Manuel
Eliantonio, ma anche di Francesco Mastrogiovanni sono solo alcuni dei
tanti: gli immigrati che "si suicidano" da una finestra della questura
di Genova o che muoiono in caserma a Pistoia dopo un fermo dei
carabinieri non fanno notizia, ma gridano anch'essi giustizia.
Qualcuno diceva che la civiltà di un paese si vede dalle
carceri. Noi anarchici alla "civiltà" statale e capitalista non
abbiamo mai creduto. Come crederci del resto?
Oggi in Italia più della metà delle persone in galera,
sebbene sia in attesa di sentenza definitiva, è "presunta
innocente"; una persona su tre è dentro per delitti contro il
patrimonio e solo il 15% è in galera per delitti contro le
persone. Circa 65 mila sono i carcerati e poco più di 50mila
sarebbero i posti disponibili nelle carceri italiane; ma il pensiero
feroce del potere, il solo possibile, ha la soluzione in mano: 17 mila
nuovi posti entro il 2012, ovvero nuove carceri. Ancora, il recente
suicidio recente della brigatista Diana Blefari a Rebibbia è uno
dei tanti. Dal 2000 ci sono stati oltre 500 suicidi; la
disperazione, le violenze fanno sì che in galera ci si uccida 20
volte più che fuori.
Kropotkin scriveva: "c'è una sola risposta nel chiedersi cosa
possa essere fatto per riformare il sistema penale: niente. Una
prigione non può essere migliorata. A parte insignificanti
cambiamenti non resta altro da fare che distruggerla".
La nostra linea d'azione ci pare più attuale e necessaria che
mai; il 14 novembre l'Internazionale di Federazioni Anarchiche ha
indetto una giornata di mobilitazione contro le politiche razziste e
segregazioniste dei governi. Un'occasione, tra le altre, per rafforzare
un percorso di lotta in grado di fare piazza pulita dei lager per
migranti, delle galere, delle caserme, dei commissariati. Dello Stato.
A. Soto