Pubblichiamo la prima parte di un reportage sulla situazione in Messico.
L'Osservatorio America Latina del centro sociale XM24 di Bologna e il
collettivo Nodo Solidale di Roma stanno realizzando un progetto di
formazione e documentazione tra le comunità messicane in
resistenza.
Da Oaxaca, al Chiapas a Città del Messico, incontriamo i
protagonisti di un variegato movimento che sta proponendo un cambio
sociale come reale alternativa al modello neoliberale. Un movimento di
movimenti che subisce costantemente una brutale repressione per ordine
incondizionato di governi di destra e di sinistra: sparizioni,
pestaggi, torture, stupri, omicidi, sono le pratiche usuali delle forze
di polizia, dell'esercito e delle squadre paramilitari al soldo della
classe politica e dei grandi impresari.
Un viaggio che ha il colore della terra indigena, per anni espropriata
ed indiscriminatamente sfruttata senza scrupoli dal potere coloniale.
Un viaggio che ha il sapore del mais di una tradizione di lotta e di
resistenza che vuol affermare l'autonomia in un territorio conteso
dallo sfruttamento delle grandi multinazionali.
Con STORIE DI (stra)ORDINARIO MESSICO vorremmo raccontarvi un
laboratorio sociale in resistenza che propone interessanti forme di
autorganizzazione popolare.
PRIMA TAPPA OAXACA
Quasi all'alba arriviamo a Oaxaca, capitale dello stato omonimo, dopo sei ore di viaggio con il bus da Città del Messico.
Dopo la colazione ad un baracchino sulla strada con cioccolato e pane
dolce, andiamo a sederci nella piazza principale della città,
che i messicani chiamano Zócalo.
Qui nel 2006 gli scioperi dei maestri per le contrattazioni salariali
annuali, a causa delle inaccettabili posizioni dell'autoritario e
impopolare governatore Ulises Ruiz del PRI, sfociarono in una massiccia
contestazione che vide migliaia di maestri in planton, in presidio
permanente, nel centro della città, di fronte al palazzo del
governatore.
Il 14 giugno, dopo quasi un mese di presidio, Ruiz ordinò ad un
imponente contingente di polizia, di distruggere accampamenti e
barricate, senza fermarsi neanche di fronte ad anziani, donne e
bambini. Nel giro di alcune ore la città combatté e
riconquistò il presidio: la violenza delle forze dell'ordine non
fece altro che rendere il movimento assai più vasto. Non solo i
maestri, ma migliaia di persone occuparono tutto il centro della
città, facendo barricate e manifestazioni con centinaia di
migliaia di partecipanti. Parlando di giustizia, di autorganizzazione,
di diritti per tutti, la città intera e tutti i villaggi intorno
si riunirono per dare vita a uno dei più grandi movimenti
popolari che il Messico ricordi negli ultimi dieci anni.
Nacque così l'APPO, l'Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca.
Al suo interno l'APPO ha differenti pareri sulle cause del conflitto.
C'è chi ritiene che la repressione del 14 Giugno fu un detonante
in quanto le organizzazioni sociali e le comunità non
ricevettero risposte adeguate dal governo di Ruiz.
C'è poi la visione delle organizzazioni indigene: la lotta dei
loro popoli iniziò molti secoli fa, da sempre, però non
riuscì mai a trovare la giusta forma e il livello di movimento
sociale come invece successe in quest'ultima tappa. Loro hanno sperato
con ansia una lotta di queste dimensioni, per dare un messaggio al
sistema e ai suoi governatori. Il popolo e la cultura indigena non sono
rovine tenute in piedi da fossili viventi: hanno custodito gelosamente
in tutti questi anni il coraggio e la dignità che oggi si fa
ribellione, come tributo ai morti di tutta una storia fatta di
oppressione.
LE MEGAMARCHAS
Quando il movimento si estese a tutta la popolazione, vennero
organizzate numerose manifestazioni di massa chiamate megamarchas. Le
dimostrazioni riempirono Oaxaca di centinaia di migliaia di persone che
chiedevano diritti e giustizia per tutte e tutti.
Un compagno di una comunità indigena che ha partecipato alle
iniziative, ci ha fatto un report di una delle più partecipate
megamarchas, la settima, del 25 Novembre 2006.
«L'appuntamento era per le 9 del mattino di sabato 25 novembre
2006 attorno al palazzo del governo nel municipio di Santa Maria
Coyotepec.
Gli organizzatori, appartenenti all'Assemblea Popolare dei Popoli di
Oaxaca conosciuta come APPO, hanno invitato tutta la cittadinanza a
circondare per 48 ore, con una grande manifestazione, il centro della
città di Oaxaca dove dallo scorso 29 di ottobre si è
installata, su richiesta del governo dello stato e per ordine del
governo federale, la Polizia Federale Preventiva (PFP) per ristabilire
l'ordine dopo sette mesi di proteste in tutto lo stato di Oaxaca.
Come si ricorderà, in tutti i mezzi di comunicazione è
stato pubblicato il documento firmato dal presidente della camera dei
deputati Bulmaro Rito Salinas, dove si esigeva dal governo federale
l'immediata presenza della Polizia Federale e delle forze armate
dell'esercito messicano per reprimere le migliaia di manifestanti di
Oaxaca che si stavano ribellando al mal funzionamento della presente
amministrazione e, soprattutto, contro la dura repressione che stavano
subendo.
Da giorni già si annunciavano scontri tra la Polizia Federale e
i manifestanti e per questo, come avevano fatto già nelle
precedenti manifestazioni, la polizia si era munita di fionde, di
blindati, di bombe con gas lacrimogeno lanciate da potenti cannoni,
manganelli, scudi, giubbotti antiproiettili, ecc…
Pur sapendo quale sarebbe stata la risposta del governo, i manifestanti
cominciavano ad arrivare, chi in autobus, chi con mezzi propri o
camminando tra la folla che già si accalcava lungo le strade
aspettando la manifestazione.
Al concentramento il tempo trascorreva tra coperte, appunti, canzoni di
protesta, bibite rinfrescanti e intanto si preparavano acqua con aceto,
bandane, carriole con pietre, bottiglie molotov e bombe carta.
Dopo tre ore di attesa la settima megamarcia cominciò ad avanzare verso il centro della città di Oaxaca.
C'erano universitari, gente di quartiere, maestri, bambini, casalinghe, commercianti, contadini, e tanti altri.
In testa al corteo c'erano tra gli altri Flavio Sosa Villavicenzio, Erangelio Mendoza, Felipe Martinez Soriano.
Accompagnati da canti, più di 20mila manifestanti avanzavano.
Giunti alla barricata dei simboli della patria la manifestazione si
fermò per rendere un combattivo omaggio al signor Alejandro
Garcia Hernandez che fu ucciso dall'esercito messicano. Sulla croce che
indica il luogo dell'assassinio sono state deposte umili corone di
fiori ed è stato intonato il canto "Venceremos".
Da lì la manifestazione proseguì per le strade calle de
Fiallo, Reforma, Abrasolo, passando per la chiesa del Sangue di Cristo
e continuando per M. Bravo, Tinoco y Palacios, J.P. Garcia e infine
ritornò a Reforma. I cordoni arrivarono fino a calle de Guerrero
e il blocco riuscì quasi a coprire l'intera area programmata.
Mancavano circa 20 minuti alle 5 del pomeriggio. I toni cominciarono a
infiammarsi quando nella calle de Guerrero la Polizia Federale
ordinò a un gruppo di manifestanti, che avevano messo di
traverso un autobus di fronte alla scuola elementare Basilio Rojas, di
sciogliersi se no li avrebbero caricati.
Intanto a Morelos, Alcala e Garcia Vigil erano cominciati gli scontri.
Poco dopo le 5 del pomeriggio la Polizia Federale comincia a lanciare
lacrimogeni a cui i manifestanti rispondevano lanciando bombe carta,
molotov e pietre che colpivano i blindati, i corpi, le macchine
fotografiche e le telecamere della polizia.
Le donne, con stracci imbevuti di acqua e aceto, bagnavano gli occhi
rossi dei combattenti. Altre, con gran coraggio, caricavano le bombe
carta e si avvicinavano alle carriole colme di pietre.
Non erano queste immagini di un film, ma scene reali di uno scontro
annunciato che è esploso quando i potenti spruzzi d'acqua con
elementi chimici cominciarono ad investire i manifestanti.
Tutto questo succedeva mentre il sole illuminava il pomeriggio.
Pochi minuti prima delle 6 una bottiglia molotov veniva lanciata per
sbaglio su una casa tra la calle 5 de Mayo e Morelos. Inoltre in calle
de Murgia stava bruciando la porta di un negozio di strumenti musicali.
Intanto a Morelos, Garcia Vigil e Porfido Diaz gli scontri con gas e
pietre lasciavano feriti ed entrambe le parti si lanciavano grida
minacciose.
Sul far della notte i ribelli, con un piano suicida, si lanciavano con
gli autobus contro gli schieramenti della polizia, rotolando fuori poco
prima dell'impatto come in un film di 007. Perdendo il controllo della
situazione, i reparti di polizia si buttavano contro i muri delle case.
La strada pedonale Macedonio Alcalà diventò un campo di
battaglia. Da quel momento la polizia cominciò ad avanzare da
più parti verso il nord della città. Centinaia di
poliziotti invasero le strade inseguendo e catturando i manifestanti
molti dei quali furono brutalmente feriti.
La schiacciante avanzata arrivò fino a Santo Domingo de Guzman
dove attaccarono il presidio della APPO distruggendo viveri e
picchiando la gente dell'Istituto di Arti Grafiche di Oaxaca.
Nel frattempo c'erano macchine in fiamme in Garcia Vigil, Abrasolo,
Constitucion e in molte altre parti della città. L'associazione
degli hotel e dei motel situata nei quartieri Ozbal e Reforma stava
bruciando.
Verso le 8 della sera le fiamme consumano la sede del tribunale in Avenida Indipendencia e Melchor Ocampo.
Alle 8.30 i blindati della polizia arrivarono fino al seminario pontificio di Garcia Vigil.
Nello stesso momento vengono dati alle fiamme 13 veicoli di proprietà del tribunale federale.
Lo stesso spettacolo si osserva al teatro Juarez mentre la segreteria del turismo vomita fuoco».
Osservatorio America Latina XM24 e Nodo Solidale