Umanità Nova, n.40 del 15 novembre 2009, anno 89

Storie di (stra)ordinario Messico


Pubblichiamo la prima parte di un reportage sulla situazione in Messico.

L'Osservatorio America Latina del centro sociale XM24 di Bologna e il collettivo Nodo Solidale di Roma stanno realizzando un progetto di formazione e documentazione tra le comunità messicane in resistenza.
Da Oaxaca, al Chiapas a Città del Messico, incontriamo i protagonisti di un variegato movimento che sta proponendo un cambio sociale come reale alternativa al modello neoliberale. Un movimento di movimenti che subisce costantemente una brutale repressione per ordine incondizionato di governi di destra e di sinistra: sparizioni, pestaggi, torture, stupri, omicidi, sono le pratiche usuali delle forze di polizia, dell'esercito e delle squadre paramilitari al soldo della classe politica e dei grandi impresari.
Un viaggio che ha il colore della terra indigena, per anni espropriata ed indiscriminatamente sfruttata senza scrupoli dal potere coloniale.
Un viaggio che ha il sapore del mais di una tradizione di lotta e di resistenza che vuol affermare l'autonomia in un territorio conteso dallo sfruttamento delle grandi multinazionali.
Con STORIE DI (stra)ORDINARIO MESSICO vorremmo raccontarvi un laboratorio sociale in resistenza che propone interessanti forme di autorganizzazione popolare.

PRIMA TAPPA OAXACA

Quasi all'alba arriviamo a Oaxaca, capitale dello stato omonimo, dopo sei ore di viaggio con il bus da Città del Messico.
Dopo la colazione ad un baracchino sulla strada con cioccolato e pane dolce, andiamo a sederci nella piazza principale della città, che i messicani chiamano Zócalo.
Qui nel 2006 gli scioperi dei maestri per le contrattazioni salariali annuali, a causa delle inaccettabili posizioni dell'autoritario e impopolare governatore Ulises Ruiz del PRI, sfociarono in una massiccia contestazione che vide migliaia di maestri in planton, in presidio permanente, nel centro della città, di fronte al palazzo del governatore.
Il 14 giugno, dopo quasi un mese di presidio, Ruiz ordinò ad un imponente contingente di polizia, di distruggere accampamenti e barricate, senza fermarsi neanche di fronte ad anziani, donne e bambini. Nel giro di alcune ore la città combatté e riconquistò il presidio: la violenza delle forze dell'ordine non fece altro che rendere il movimento assai più vasto. Non solo i maestri, ma migliaia di persone occuparono tutto il centro della città, facendo barricate e manifestazioni con centinaia di migliaia di partecipanti. Parlando di giustizia, di autorganizzazione, di diritti per tutti, la città intera e tutti i villaggi intorno si riunirono per dare vita a uno dei più grandi movimenti popolari che il Messico ricordi negli ultimi dieci anni.
Nacque così l'APPO, l'Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca.
Al suo interno l'APPO ha differenti pareri sulle cause del conflitto.
C'è chi ritiene che la repressione del 14 Giugno fu un detonante in quanto le organizzazioni sociali e le comunità non ricevettero risposte adeguate dal governo di Ruiz.
C'è poi la visione delle organizzazioni indigene: la lotta dei loro popoli iniziò molti secoli fa, da sempre, però non riuscì mai a trovare la giusta forma e il livello di movimento sociale come invece successe in quest'ultima tappa. Loro hanno sperato con ansia una lotta di queste dimensioni, per dare un messaggio al sistema e ai suoi governatori. Il popolo e la cultura indigena non sono rovine tenute in piedi da fossili viventi: hanno custodito gelosamente in tutti questi anni il coraggio e la dignità che oggi si fa ribellione, come tributo ai morti di tutta una storia fatta di oppressione.

LE MEGAMARCHAS

Quando il movimento si estese a tutta la popolazione, vennero organizzate numerose manifestazioni di massa chiamate megamarchas. Le dimostrazioni riempirono Oaxaca di centinaia di migliaia di persone che chiedevano diritti e giustizia per tutte e tutti.
Un compagno di una comunità indigena che ha partecipato alle iniziative, ci ha fatto un report di una delle più partecipate megamarchas, la settima, del 25 Novembre 2006.

«L'appuntamento era per le 9 del mattino di sabato 25 novembre 2006 attorno al palazzo del governo nel municipio di Santa Maria Coyotepec.
Gli organizzatori, appartenenti all'Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca conosciuta come APPO, hanno invitato tutta la cittadinanza a circondare per 48 ore, con una grande manifestazione, il centro della città di Oaxaca dove dallo scorso 29 di ottobre si è installata, su richiesta del governo dello stato e per ordine del governo federale, la Polizia Federale Preventiva (PFP) per ristabilire l'ordine dopo sette mesi di proteste in tutto lo stato di Oaxaca.
Come si ricorderà, in tutti i mezzi di comunicazione è stato pubblicato il documento firmato dal presidente della camera dei deputati Bulmaro Rito Salinas, dove si esigeva dal governo federale l'immediata presenza della Polizia Federale e delle forze armate dell'esercito messicano per reprimere le migliaia di manifestanti di Oaxaca che si stavano ribellando al mal funzionamento della presente amministrazione e, soprattutto, contro la dura repressione che stavano subendo.
Da giorni già si annunciavano scontri tra la Polizia Federale e i manifestanti e per questo, come avevano fatto già nelle precedenti manifestazioni, la polizia si era munita di fionde, di blindati, di bombe con gas lacrimogeno lanciate da potenti cannoni, manganelli, scudi, giubbotti antiproiettili, ecc…
Pur sapendo quale sarebbe stata la risposta del governo, i manifestanti cominciavano ad arrivare, chi in autobus, chi con mezzi propri o camminando tra la folla che già si accalcava lungo le strade aspettando la manifestazione.
Al concentramento il tempo trascorreva tra coperte, appunti, canzoni di protesta, bibite rinfrescanti e intanto si preparavano acqua con aceto, bandane, carriole con pietre, bottiglie molotov e bombe carta.
Dopo tre ore di attesa la settima megamarcia cominciò ad avanzare verso il centro della città di Oaxaca.
C'erano universitari, gente di quartiere, maestri, bambini, casalinghe, commercianti, contadini, e tanti altri.
In testa al corteo c'erano tra gli altri Flavio Sosa Villavicenzio, Erangelio Mendoza, Felipe Martinez Soriano.
Accompagnati da canti, più di 20mila manifestanti avanzavano. Giunti alla barricata dei simboli della patria la manifestazione si fermò per rendere un combattivo omaggio al signor Alejandro Garcia Hernandez che fu ucciso dall'esercito messicano. Sulla croce che indica il luogo dell'assassinio sono state deposte umili corone di fiori ed è stato intonato il canto "Venceremos".
Da lì la manifestazione proseguì per le strade calle de Fiallo, Reforma, Abrasolo, passando per la chiesa del Sangue di Cristo e continuando per M. Bravo, Tinoco y Palacios, J.P. Garcia e infine ritornò a Reforma. I cordoni arrivarono fino a calle de Guerrero e il blocco riuscì quasi a coprire l'intera area programmata.
Mancavano circa 20 minuti alle 5 del pomeriggio. I toni cominciarono a infiammarsi quando nella calle de Guerrero la Polizia Federale ordinò a un gruppo di manifestanti, che avevano messo di traverso un autobus di fronte alla scuola elementare Basilio Rojas, di sciogliersi se no li avrebbero caricati.
Intanto a Morelos, Alcala e Garcia Vigil erano cominciati gli scontri. Poco dopo le 5 del pomeriggio la Polizia Federale comincia a lanciare lacrimogeni a cui i manifestanti rispondevano lanciando bombe carta, molotov e pietre che colpivano i blindati, i corpi, le macchine fotografiche e le telecamere della polizia.
Le donne, con stracci imbevuti di acqua e aceto, bagnavano gli occhi rossi dei combattenti. Altre, con gran coraggio, caricavano le bombe carta e si avvicinavano alle carriole colme di pietre.
Non erano queste immagini di un film, ma scene reali di uno scontro annunciato che è esploso quando i potenti spruzzi d'acqua con elementi chimici cominciarono ad investire i manifestanti.
Tutto questo succedeva mentre il sole illuminava il pomeriggio.
Pochi minuti prima delle 6 una bottiglia molotov veniva lanciata per sbaglio su una casa tra la calle 5 de Mayo e Morelos. Inoltre in calle de Murgia stava bruciando la porta di un negozio di strumenti musicali.
Intanto a Morelos, Garcia Vigil e Porfido Diaz gli scontri con gas e pietre lasciavano feriti ed entrambe le parti si lanciavano grida minacciose.
Sul far della notte i ribelli, con un piano suicida, si lanciavano con gli autobus contro gli schieramenti della polizia, rotolando fuori poco prima dell'impatto come in un film di 007. Perdendo il controllo della situazione, i reparti di polizia si buttavano contro i muri delle case.
La strada pedonale Macedonio Alcalà diventò un campo di battaglia. Da quel momento la polizia cominciò ad avanzare da più parti verso il nord della città. Centinaia di poliziotti invasero le strade inseguendo e catturando i manifestanti molti dei quali furono brutalmente feriti.
La schiacciante avanzata arrivò fino a Santo Domingo de Guzman dove attaccarono il presidio della APPO distruggendo viveri e picchiando la gente dell'Istituto di Arti Grafiche di Oaxaca.
Nel frattempo c'erano macchine in fiamme in Garcia Vigil, Abrasolo, Constitucion e in molte altre parti della città. L'associazione degli hotel e dei motel situata nei quartieri Ozbal e Reforma stava bruciando.
Verso le 8 della sera le fiamme consumano la sede del tribunale in Avenida Indipendencia e Melchor Ocampo.
Alle 8.30 i blindati della polizia arrivarono fino al seminario pontificio di Garcia Vigil.
Nello stesso momento vengono dati alle fiamme 13 veicoli di proprietà del tribunale federale.
Lo stesso spettacolo si osserva al teatro Juarez mentre la segreteria del turismo vomita fuoco».

Osservatorio America Latina XM24 e Nodo Solidale

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