Le sapeva fare anche precise: in seconda media inferiore, avevo un
compagno di classe che si dilettava a disegnare svastiche. Non
dimostrava alcuna attitudine alla sopraffazione e alla violenza, anzi;
ma poiché quel simbolo era generalmente esecrato, per lui doveva
rappresentare un dispetto contro tutte le obbedienze che ci venivano
imposte in famiglia, a scuola o al giardino pubblico.
Un gesto di rivalsa infantile destinato a lasciare il posto ad altre
consapevolezze tanto che, diversi anni dopo, lo rincontrai ad una
manifestazione antifascista.
Quel ricordo lontano si fa sfumato, lasciando il posto ad un altro assai recente.
Era la notte, tragica, tra il 30 aprile e il 1° maggio 2008, quando
Nicola Tommasoli veniva atrocemente aggredito nel centro storico di
Verona. I responsabili del suo assassinio sono noti: giovani fascisti
tanto perbene, tra cui un candidato nelle liste elettorali di Forza
Nuova e un attivista del Blocco Studentesco. Due di loro furono
"favoriti" nella fuga alla volta di Londra da tre esponenti locali di
Forza Nuova, anch'essi candidati alle ultime amministrative per il
partitino tricolorato di Fiore e dell'avvocato veronese Roberto
Bussinello prodigatosi nella difesa degli accusati.
Eppure, in quelle settimane, da più parti si era cercato, con
pervicacia, di "depoliticizzare" l'omicidio compiuto da estremisti di
destra in una logica di punizione e annientamento del soggetto
"diverso", pienamente iscrivibile nella "visione del mondo"
nazifascista. Infatti, come è stato osservato a riguardo, "non
si tratta di un'opinione filosofica, né di una scelta politica,
ma della necessità stessa della creazione, del sangue creatore"
(P. Lacoue-Labarthe e J. Nancy).
Eppure, in tanti provarono a sostenere, contro ogni evidenza, che non
era un assassinio politico e non vi era alcuna ideologia come movente.
E che, quindi, non aveva alcun senso parlare di antifascismo. Ci
provarono a minimizzare, ovviamente, i dirigenti della Digos e il
sindaco leghista Tosi (poi condannato per istigazione all'odio
razziale), ma anche l'acuto sindaco-filosofo di Venezia Cacciari e il
leader dei disobbedienti del nord-est Casarini, ambedue da tempo
erranti nei mari post-ideologici.
Così, anche su tanta stampa, l'uccisione di Nicola venne
derubricata a sintomo di un imprecisato disagio giovanile; nonostante
che i responsabili fossero tutt'altro che degli emarginati, né
privi di opinioni politiche. Persino la loro relativa giovane
età, addotta spesso come scusante, risultava analoga a quella
dei militanti dei Nar o di Terza Posizione negli anni Ottanta, e
persino maggiore della media dei primi squadristi degli anni Venti.
Per questi motivi, come avverte Saverio Ferrari, autore del pamphlet
"Le nuove camicie nere" (BFS edizioni, Pisa 2009), è del tutto
necessario continuare a "lanciare un grido d'allarme" riguardo gli
sviluppi, sempre più violenti e sempre meno contrastati, della
destra estrema. A partire da un'analisi critica della fascinazione
simbolica e della penetrazione dei miti che l'apparente radicalismo di
destra esercita in aree giovanili, minoritarie ma non irrilevanti,
attratte dalla vernice controculturale e antisistemica con cui viene
ammantato l'armamentario politico che fu dei regimi di Hitler e
Mussolini.
L'inadeguatezza della resistenza all'aggressivo dilagare del
neo-fascismo riguarda diversi piani. Si sconta, in primo luogo, una
perdita di memoria collettiva e capacità di riconoscere, sotto i
mascheramenti occasionali, l'essenza di quell'ideologia autoritaria che
produsse guerre, dittature, genocidi, orrori concentrazionari e mortale
sfruttamento, nel nome di un Nuovo Ordine e della presunta
superiorità di una razza inesistente come tutte le razze. "Un
ordine - come recita un verso di Bertolt Brecht - che fa piazza pulita
di ogni resistenza della vita". Così come l'identità
della sinistra - e non soltanto riformista - ha finito per perdere
appeal nella misura in cui ha rinunciato a parlare di rivoluzione,
ossia – riprendendo le parole di J.Beck - "dell'unica cosa valida da
discutere nella nostra epoca", in un mondo messo a repentaglio da un
potere economico iniquo quanto irriformabile.
Così da una prevalenza di simboli, segni e linguaggi che
implicavano la sovversione sociale, si è passati ad un dominio
simbolico rovesciato, in cui persino la libertà diventa un fine
che solo la sottomissione (alla violenza iniziatica, ai legami del
sangue e del suolo, alla legge del più forte, al predominio
maschile…) può garantire. Infatti, dentro questo universo, i
simboli dell'ordine mitico, le uniformi, i gesti, le parate e i rituali
di guerra non sono solo dei reperti, ma assumono il carattere del sogno
fattosi realtà e a portata di mano.
Simboli tragici oggi banalmente acquistabili via internet, tramite i
siti del lucroso merchandising per aspiranti soldati politici del Terzo
Reich o della Rsi, oppure disponibili in versione gadget presso le
stazioni di servizio lungo l'autostrada.
Così, se un tempo le croci di ferro si conquistavano sul fronte
russo, oggi ogni frustrato le può acquistare in edicola a pochi
euro.
Dai cataloghi di tale paccottiglia emerge comunque un paradosso, ossia
la prevalenza della simbologia dei fascismi stranieri (tedesco, rumeno,
belga, francese, spagnolo, inglese, statunitense…) a dimostrazione che,
tutto sommato, persino l'identità dei camerati di casa nostra
soffre di un certo senso d'inferiorità storica. Aspetto questo
peraltro riscontrabile sin dagli anni 60, quando le principali
formazioni neofasciste italiane (Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo,
Giovane Europa, Europa-Civiltà…) adottarono simboli estranei
alla tradizione nazionale.
Unica parziale eccezione è rappresentata dal recente tentativo
di recupero da parte di Casa Pound Italia di alcune tendenze
politico-culturali che già il movimento fascista delle origini,
quello "diciannovista", aveva cercato di fare proprie (arditismo,
futurismo, interventismo. fiumanesimo…).
Se non si coglie il funzionamento di questi meccanismi - solo
parzialmente irrazionali - non si può comprendere come un
giovane, nato nei disimpegnati anni 80, possa oggi non solo
appassionarsi per le divise, gli stemmi e le nefaste imprese della
Guardia di Ferro, della X Mas o delle SS, ma anche essere mosso dalla
luce proveniente da un pianeta ormai disintegrato.
Lo sfortunato Nicola, da questo punto di vista, è come se fosse
stato assassinato da morti viventi anche se con la faccia da bravi
ragazzi, proprio nella città che, a pochi chilometri da
Salò, nel 1943 vide già la macabra rinascita di un
fascismo ormai defunto. Una città che sembra traviata da una
vocazione mortifera che soffoca e stritola tutto ciò che non
è ancora sepolcro.
Purtroppo Verona si sta riproducendo anche altrove, con il prosperare
di gruppi funerei che, pur vantando la loro ribellione contro il
sistema, sono corteggiati da politici istituzionali, giornalisti e
intellettuali - non soltanto di destra - come portatori di improbabili
novità culturali; mentre "la tolleranza è estesa alle
politiche, alle condizioni e ai modi di comportamento che non
dovrebbero esser tollerati perché impediscono, se non
distruggono, le probabilità di creare un'esistenza senza paura e
sofferenza" (H. Marcuse).
emmerre
Saverio Ferrari, Le nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in italia, BFS Edizioni, Pisa 2009, Euro 7.