Un medievista di fama internazionale, Giovanni Cherubini, in un
convegno al quale partecipò a S.Casciano (Firenze),
chiosò il proprio intervento all'interno della pubblicazione
degli atti che curai nella prima metà degli anni Novanta,
parlando di "amore ai luoghi". Fascinosa poetica definizione che a suo
tempo mi lasciò qualche dubbio. Mi ci volle abbastanza per
comprenderne in profondità il senso. E' molto di più e di
più intenso rispetto ad esempio ad "amore verso i luoghi", o per
i luoghi. C'è un rapporto di intimità che nasce dalla
conoscenza e di rispetto verso, per, anzi ai, a quegli
conosciuti, propri, da difendere come se stessi, perché se
medesimi. Luoghi come ambienti, spazi connotati e riconoscibili, di cui
facciamo parte e dei quali siamo custodi in divenire. Ripensavo a
Cherubini, avendo fra le mani tre pubblicazioni di Elèuthera.
Franco la Cecla (Saperci fare, 2009); Carlo Cellamare (Fare
città, 2008) e la nuova edizione (19931) di Nonluoghi (Marc
Augè, 2009).
Quando procedevo nella lettura di La Cecla, notavo una certa
familiarità. La lettura di contesti urbani, di facce e posture,
di paesaggi conosciuti, di interpretazione di segni distintivi
dell'abitatore di luoghi di colui/coloro che erano parte del contesto,
a loro agio, perché avevano capito come fare ad avere
cittadinanza, mi pareva noto, parte del mio vissuto. Non solo, con lo
stratagemma della descrizione di scatti di Enzo Sellerio e Franco
Zecchin mi pareva di leggere la premessa molto ben fatta di una mostra
fotografica, di un catalogo. Via via che procedevo nella lettura,
l'aspetto antropologico, la comunicazione dei segni, il/in rapporto con
lo spazio collettivo, dava autonomia al testo sempre più saggio
di sociologia urbana, territorio di studio di La Cecla, e le funzioni,
come standard urbanistico, divenivano vita non catalogabile. Dormire in
strada, appoggiati alla propria mano, reclinati su un braccio su tavoli
di bar, bettole, luoghi pubblici, si scontravano con quanto descriveva
Cellamare. Il cuore di Roma rendeva estranei, la città espugnata
diventava ostile, non era più immaginabile dormire ad un
tavolino, quando questi era uno strumento di ex-proprio di spazi
pubblici. Il quartiere Monti, centralissimo, ed un tempo marginale al
contempo, scusate la cacofonia, prevedeva e garantiva vita. Ogni
contesto, se in uso pubblico, e collettivo, se garantisce senso:
è Luogo. Luogo diventa lo spazio da occupare, lo spazio da
usare, condividere, immaginare differente e quindi vivo e vitale. Vivo
e vitale indipendentemente dalle condizioni di degrado, dalla
legalità o meno dei comportamenti d'uso. Come ricorda Marc
Augè nella nuova Prefazione, "non esistono
«nonluoghi» nel senso assoluto del termine." Gli spazi
possibili, i contesti dei quali ci si può appropriare
collettivamente ed individualmente, sentirsi "a casa propria", perdono
il connotato di nonluogo proprio perché abitati e non privati
dell'uso se non a "certe condizioni". Cos'è un "contenitore"
dismesso in un porto? Può essere uno spazio suscettibile di
speculazione edilizia (sostituzione, trasformazione, ristrutturazione,
frazionamento e cambio d'uso) di geografia sociale legata a vite di
occupanti, aree temporaneamente liberate, o ancora rifugio, magari
assieme, di una vita animale che difficilmente potrebbe avere
dignità fra palazzi sulle vie principali o negozianti affamati
più dei randagi, avendo i primi mangiato a sazietà ed i
secondi in attesa di un avanzo della società opulenta.
La progressiva espugnazione dello spazio urbano da parte della
speculazione edilizia e del commercio, con l'occhiuto controllo
poliziesco, municipale o statale, assieme alla omologazione dei
benpensanti, rendono deserto ogni giardino ancorché immaginato.
Le stesse ostentazioni del latin lover raccontato da La Cecla, ed il
suo "saper fare", diviene impossibile da praticare in nuovi
nonluoghi quali gli spazi obbligati all'acquisto, le superfici
"riqualificate", i "salotti" urbani, dove si deve chiedere permesso ed
esibire la carta di credito per accedere.
Trittico di ottimi lavori di analisi urbanistica, di sociologia e
antropologia culturale che offrono chiavi di lettura di un
paesaggio urbano sempre più ostile ed espulsivo che
marginalizza. Le letture "siciliane" di La Cecla, con l'analisi a
posteriori delle nefandezze operate nel cuore di Roma descritte da
Cellamare, riportano, quasi ribaltando e notando l'ulteriore riduzione
di spazi, a quelle descritte oltre quindici anni fa da
Augè. I tavolini che tolgono la spazio al gioco, al
passeggio, alla chiacchiera, financo alla sosta, rendono nonluogo
ciò che lo era per antonomasia, la strada e la piazza. Dove
"somigliare agli autentici", siano esse persone, cose, emozioni, spazi,
diventa sempre più difficile. La riproducibilità diventa
il leit motiv del consumo e la distruzione delle differenze, per cui
tutti tendono ad essere fac-simile di qualcun altro non per scelta
individuale ma per condizione imposta. Tutte fotocopie di qualcosa di
cui si è perduto l'originale, nella corsa alla identicità
attraverso la perdita dell'identità.
Libri da leggere o rileggere come anticorpi che possano garantire o
offrire elementi di resistenza a fronte della distruzione del luogo e
con esso chi ci abita.
Info www.eleuthera.it mail eleuthera@eleuthera.it
Alberto Ciampi