Umanità Nova, n.40 del 15 novembre 2009, anno 89

Luoghi e non da elèuthera


Un medievista di fama internazionale, Giovanni Cherubini, in un convegno al quale partecipò a S.Casciano (Firenze), chiosò il proprio intervento all'interno della pubblicazione degli atti che curai nella prima metà degli anni Novanta, parlando di "amore ai luoghi". Fascinosa poetica definizione che a suo tempo mi lasciò qualche dubbio. Mi ci volle abbastanza per comprenderne in profondità il senso. E' molto di più e di più intenso rispetto ad esempio ad "amore verso i luoghi", o per i luoghi. C'è un rapporto di intimità che nasce dalla conoscenza  e di rispetto verso, per, anzi ai, a quegli conosciuti, propri, da difendere come se stessi, perché se medesimi. Luoghi come ambienti, spazi connotati e riconoscibili, di cui facciamo parte e dei quali siamo custodi in divenire. Ripensavo a Cherubini, avendo fra le mani tre pubblicazioni di Elèuthera. Franco la Cecla (Saperci fare, 2009); Carlo Cellamare (Fare città, 2008) e la nuova edizione (19931) di Nonluoghi (Marc Augè, 2009).
Quando procedevo nella lettura di La Cecla, notavo una certa familiarità. La lettura di contesti urbani, di facce e posture, di paesaggi conosciuti, di interpretazione di segni distintivi dell'abitatore di luoghi di colui/coloro che erano parte del contesto, a loro agio, perché avevano capito come fare ad avere cittadinanza, mi pareva noto, parte del mio vissuto. Non solo, con lo stratagemma della descrizione di scatti di Enzo Sellerio e Franco Zecchin mi pareva di leggere la premessa molto ben fatta di una mostra fotografica, di un catalogo. Via via che procedevo nella lettura, l'aspetto antropologico, la comunicazione dei segni, il/in rapporto con lo spazio collettivo, dava autonomia al testo sempre più saggio di sociologia urbana, territorio di studio di La Cecla, e le funzioni, come standard urbanistico, divenivano vita non catalogabile. Dormire in strada, appoggiati alla propria mano, reclinati su un braccio su tavoli di bar, bettole, luoghi pubblici, si scontravano con quanto descriveva Cellamare. Il cuore di Roma rendeva estranei, la città espugnata diventava ostile, non era più immaginabile dormire ad un tavolino, quando questi era uno strumento di ex-proprio di spazi pubblici. Il quartiere Monti, centralissimo, ed un tempo marginale al contempo, scusate la cacofonia, prevedeva e garantiva vita. Ogni contesto, se in uso pubblico, e collettivo, se garantisce senso: è Luogo. Luogo diventa lo spazio da occupare, lo spazio da usare, condividere, immaginare differente e quindi vivo e vitale. Vivo e vitale indipendentemente dalle condizioni di degrado, dalla legalità o meno dei comportamenti d'uso. Come ricorda Marc Augè nella nuova Prefazione, "non esistono «nonluoghi» nel senso assoluto del termine." Gli spazi possibili, i contesti dei quali ci si può appropriare collettivamente ed individualmente, sentirsi "a casa propria", perdono il connotato di nonluogo proprio perché abitati e non privati dell'uso se non a "certe condizioni". Cos'è un "contenitore" dismesso in un porto? Può essere uno spazio suscettibile di speculazione edilizia (sostituzione, trasformazione, ristrutturazione, frazionamento e cambio d'uso) di geografia sociale legata a vite di occupanti, aree temporaneamente liberate, o ancora rifugio, magari assieme, di una vita animale che difficilmente potrebbe avere dignità fra palazzi sulle vie principali o negozianti affamati più dei randagi, avendo i primi mangiato a sazietà ed i secondi in attesa di un avanzo della società opulenta.
La progressiva espugnazione dello spazio urbano da parte della speculazione edilizia e del commercio, con l'occhiuto controllo poliziesco, municipale o statale, assieme alla omologazione dei benpensanti, rendono deserto ogni giardino ancorché immaginato.
Le stesse ostentazioni del latin lover raccontato da La Cecla, ed il suo "saper fare", diviene impossibile da praticare in  nuovi nonluoghi quali gli spazi obbligati all'acquisto, le superfici "riqualificate", i "salotti" urbani, dove si deve chiedere permesso ed esibire la carta di credito per accedere.
Trittico di ottimi lavori di analisi urbanistica, di sociologia e antropologia culturale che offrono chiavi di lettura di un paesaggio  urbano sempre più ostile ed espulsivo che marginalizza. Le letture "siciliane" di La Cecla, con l'analisi a posteriori delle nefandezze operate nel cuore di Roma descritte da Cellamare, riportano, quasi ribaltando e notando l'ulteriore riduzione di spazi, a quelle descritte oltre quindici anni fa da Augè.  I tavolini che tolgono la spazio al gioco, al passeggio, alla chiacchiera, financo alla sosta, rendono nonluogo ciò che lo era per antonomasia, la strada e la piazza. Dove "somigliare agli autentici", siano esse persone, cose, emozioni, spazi, diventa sempre più difficile. La riproducibilità diventa il leit motiv del consumo e la distruzione delle differenze, per cui tutti tendono ad essere fac-simile di qualcun altro non per scelta individuale ma per condizione imposta. Tutte fotocopie di qualcosa di cui si è perduto l'originale, nella corsa alla identicità attraverso la perdita dell'identità.
Libri da leggere o rileggere come anticorpi che possano garantire o offrire elementi di resistenza a fronte della distruzione del luogo e con esso chi ci abita.
Info www.eleuthera.it mail eleuthera@eleuthera.it

Alberto Ciampi

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