«No alla deportazione». Dopo sette mesi, all'Aquila le
tende sono ancora montate. Su alcune di esse sono stati appesi
striscioni in cui si legge «No alle deportazioni»,
«Non vogliamo lasciare la nostra terra». Al 10 novembre,
fonti istituzionali indicano il numero della popolazione cosiddetta
«assistita» pari a 22.241: 23 sono le tendopoli ancora
montate, per un totale di 603 tende e di 859 persone alloggiatevi;
12.425 sono gli sfollati alloggiati nella provincia di Teramo, 3.020 in
quella di Pescara, 848 in quella di Chieti, 4.885 in quella
dell'Aquila. In un assemblea dell'11 novembre, seguita da un incontro
con la stampa presso il campo Italtel2, gli sfollati presentano un
appello da inviare al presidente Giorgio Napolitano in cui, tra
l'altro, si legge: «Abbiamo vissuto mesi nelle tende per non
abbandonare la nostra Aquila e siamo andati avanti con la promessa 'a
settembre un tetto per tutti', [dalle tende alle C.A.S.E. …. Ricordate?
Così recitava allora la propaganda di governo]. Ma settembre
è passato da un pezzo, siamo entrati nell'ottavo mese di tenda,
le promesse non sono state mantenute e la temperatura, come la fiducia,
inevitabilmente scende sotto lo zero». Nei campi resta ancora
molta gente, anche anziani, costretti a dormirvi con queste
temperature. Gli attendati nella lettera chiedono a Napolitano moduli
removibili, container, qualsiasi cosa per uscire dalle tende e rimanere
nella propria terra; «ci viene proposto di trasferirci in
alberghi lontani dalla nostra città», si legge ancora,
«abbiamo vissuto per mesi nelle tende per non abbandonare la
nostra terra perché ognuno di noi aveva ed ha i suoi buoni
motivi per restare». Un'intervistata che ha perso la propria
abitazione spiega: «abbiamo dovuto sopportare di tutto, dalle
piogge agli insetti, al caldo torrido, all'umidità e ora il
freddo. La maggior parte delle persone ancora presenti nelle tende non
vorrebbe spostarsi a causa di lavori che impediscono la lontananza,
oppure a causa dei figli che oggi hanno cominciato a frequentare la
scuola nelle aule aquilane». A ciò bisogna aggiungere la
disinformazione, la burocratizzazione portata all'estremo per qualunque
tipo di intervento o procedura, tanto che c'è anche chi si
rifiuta di lasciare le tende perché crede addirittura di avere
una qualche priorità o un qualche diritto in più
nell'assegnazione degli alloggi. Una situazione che diventa paradossale
se si pensa che l'amministrazione comunale stessa ha dovuto sollecitare
la Protezione civile a fornire informazioni sulle assegnazioni delle
case. Gli attendati in assemblea/conferenza stampa parlano anche di
«pressioni psicologiche» da parte della Protezione, civile
che «minaccia di staccare la corrente elettrica, togli[ere] i
servizi di assistenza essenziali, abbassa[re] paurosamente la
qualità del cibo, con visite delle forze dell'ordine che si
fanno sempre più frequenti. Quale fiducia dobbiamo riporre in
queste istituzioni?», rimarcano più volte, dato che
«appare inaudito che dei cittadini che chiedono il minimo per la
sopravvivenza debbono essere percepiti dalle istituzioni come un
problema da eliminare». Dicono quindi di affidare l'ultimo loro
tentativo e l'ultima loro speranza in un intervento di Napolitano;
così chiude la lettera indirizzata al presidente della
repubblica italiana, «e se anche questo risulterà
vano» – spiegano – «inviteremo il presidente nelle tende
dove riconsegneremo le nostre schede elettorali. In una democrazia che
nega i bisogni fondamentali non ha alcun senso andare a votare».
D'altro parere è Guido Bertolaso, capo della Protezione civile:
«Abbiamo fatto un lavoro innovativo». È ovvio,
risponderemmo noi, in qualche modo deve pur giustificare perché,
del miliardo stanziato per il 2009 per la ricostruzione del territorio,
più di 550milioni di euro sono stati assegnati e/o gestiti dalla
Protezione civile. Il tiranno dell'Aquila dichiara anche che a fine
anno andrà in pensione.
«Soldi di Stato, affari di Chiesa». Così si legge su
uno striscione degli studenti universitari in protesta. In qualche
modo, infatti, nel banchetto della ricostruzione bisognava aggiungere
un posto a tavola anche per i preti, che, come da sempre, continuano
l'assalto alle misure previste per la tutela del diritto allo studio.
La nuova Casa dello studente, intitolata a San Carlo Borromeo, è
stata realizzata con un finanziamento di 7,5 milioni di euro coperto
quasi per intero dalla regione Lombardia e potrà ospitare 122
studenti. L'accordo di programma stipulato con la regione Abruzzo
prevede che la struttura verrà gestita per 30 anni dalla
fondazione Piergiorgio Falciola, diretta emanazione della curia. Al
termine dei 30 anni, la gestione passerà dalla diocesi
all'Azienda per il diritto allo studio, ma l'intera struttura e tutti i
suoi beni entreranno in possesso della chiesa. Gli studenti si
dichiarano pronti a denunciare la regione Abruzzo, visti i dubbi che
accompagnano fin da subito la gestione dei 122 posti letto (gli unici
disponibili); dubbi sollevati perfino dal rettore, personalità
di certo non sospetta di tendenze anticlericali. I posti letto saranno
assegnati in base ad una precisa graduatoria che terrà conto
delle condizioni economiche degli studenti? Su questo interrogativo
né la regione né la diocesi hanno saputo far chiarezza.
Interessanti in merito le affermazioni di don Luigi Epicoco, che
sottolinea che il bisogno non può essere «recensito da una
graduatoria». Quello che ci permettiamo di consigliare agli
studenti in mobilitazione è innanzitutto di approfondire
l'analisi al fatto, e cioè provare a capire dove effettivamente
finisce lo stato e comincia la chiesa, dove finisce la chiesa e
comincia lo stato. A titolo di cronaca, segnaliamo che la protesta
degli universitari verte anche sul fatto che nelle nuove sedi (per lo
più ex-fabbriche) mancano servizi quali trasporti, mense,
biblioteche.
Ospedale senza posti letto. A fronte di 460 posti letto esistenti prima
del sisma, nell'ospedale San Salvatore dell'Aquila ora ce ne sono circa
170. L'ospedale è praticamente ormai chiuso ai ricoveri. Si
susseguono a ritmo ininterrotto i trasferimenti verso altri ospedali
con due ambulanza che sono costantemente in attività e, quando
le condizioni meteorologiche lo permettono, anche con l'elicottero. La
grande maggioranza di pazienti viene trasferita negli ospedali di
Castel di Sangro, Sulmona, Avezzano, con dei tempi lunghissimi, grande
disagio per i pazienti e per i familiari. È una situazione
questa che ormai si sta facendo pericolosa. A ciò si aggiunge il
problema della sala di aspetto del pronto soccorso, dove fa freddo al
punto che qualcuno nei giorni scorsi è andato a fare delle
rimostranze addirittura al posto di polizia lì stanziato.
L'incaricato del Partito della montagna