A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
bel-lavoro@federazioneanarchica.org
Le voci che filtrano da Torino sono sempre più inquietanti e
– a dispetto di quanto dichiarato in primavera da Marchionne – si parla
ora di un trasferimento della produzione delle Y10 Lancia in Polonia
con la conseguente chiusura dello stabilimento siciliano.
Il 18 novembre 300 operai dello stabilimento FIAT di Termini Imerese
hanno quindi occupato il municipio della cittadina. Al termine di
un'assemblea, davanti ai cancelli dello stabilimento, le tute blu si
sono dirette a passo spedito verso il centro abitato dove sono entrati
in massa nell'edificio del Comune.
Qui, hanno "eletto" simbolicamente un proprio sindaco, che ha indossato
la striscia tricolore. "Se le istituzioni non prendono in
considerazione i nostri problemi – hanno dichiarato gli occupanti -
cercheremo di fare da soli" e hanno chiesto al Comune di fissare un
incontro con il Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola,
prima che la Fiat presenti ufficialmente il piano industriale,
altrimenti – hanno detto - "resteremo qui ad oltranza". "Questa non
vuole essere un'occupazione simbolica, ma un blocco reale
dell'attività amministrativa. Si deve comprendere che la fine
dello stabilimento significa la morte dell'economia di Termini".
Giovedì 19 novembre 3 operai della Vinyls di Porto Marghera
sono saliti sulla "torre-tocia", a 200 metri di altezza, mentre gli
operai della Vinyls di Porto Torres hanno occupato una sezione
dell'impianto. Queste forti proteste sono state messe in atto dopo che
l'azienda non ha mantenuto l'accordo per il ravvio degli impianti e ha
annunciato la cassa integrazione per buona parte dei dipendenti: 176 su
230 a Porto Marghera, 35 su 51 a Ravenna, 101 su 132 a Porto Torres.
Una brutta sorpresa per CGIL, CISL e UIL è arrivata
dall'assemblea che si è tenuta l'11 novembre scorso alla Manuli
Rubbers di Ascoli Piceno. I dipendenti hanno infatti bocciato a grande
maggioranza il piano aziendale presentato dai vertici della
multinazionale della gomma. Sottoscritto dai sindacati confederali
prevede il reintegro per soli 140 operai, mentre gli altri 237
dovrebbero invece affidarsi agli ammortizzatori sociali. I lavoratori
erano molto arrabbiati con i rappresentanti dei sindacati confederali.
Il dirigente sindacale della CISL, al termine dell'assemblea indetta
per vagliare l'ipotesi di accordo sul futuro della Manuli, è
stato contestato duramente. La maggioranza degli operai presenti,
alcune centinaia, ha votato per il no all'intesa. I dirigenti di CGIL,
CISL e UIL hanno dovuto lasciare la sala scortati dagli agenti della
Digos, accompagnati da urla e cori di "buffoni" e "venduti".
Della vicenda della "Nerviano Medical Sciences" (NMS), hinterland
milanese, ce ne siamo occupati già nel n.17 del 3/5/09. Si
tratta di un importante centro di ricerca europeo di farmaci
antitumorali che, dalla multinazionale "Pfizer", era stato ceduto nel
2004 alla "Congregazione dei figli della immacolata concezione", ente
di diritto vaticano, assieme ad una dote di 250 milioni di euro. Di
fronte alla minaccia di chiusura dell'azienda i 650 lavoratori si erano
mobilitati, anche nei confronti della regione e del governo, per i
finanziamenti promessi. La situazione sembrava per il momento
tranquilla, ma poco tempo fa l'azienda, in modo immotivato ed
unilaterale, ha licenziato tre lavoratrici degli enti centrali con la
"motivazione che l'attività dei loro uffici è stata
affidata a società esterne". Questo modo di calpestare i diritti
dei lavoratori è confermato dalla recente decisione
dell'assorbimento degli aumenti previsti dal contratto. Per tutto
ciò, e di fronte anche "alla mancanza di una chiara prospettiva
di rilancio delle attività del centro", è stato
effettuato un primo momento di lotta nella giornata del 27 ottobre con
uno sciopero e assemblea nel piazzale dell'azienda.
"L'innovazione per la salute: Sviluppiamo servizi terapeutici e
diagnostici innovativi volti a soddisfare importanti esigenze mediche
tuttora insoddisfatte. Questo il nostro contributo al miglioramento
della vita di milioni di pazienti nel mondo". Sul sito della Roche di
Segrate (Milano) si leggono queste belle parole. Per lavorare alla
Roche ci vogliono abiti professionali obbligatori e il tempo per
indossarli è regolato da indicazioni molto precise,
organizzative e di controllo. Non è una cosa che si può
fare con leggerezza e velocemente, richiede insomma tempo e attenzione.
Eppure la Roche, nonostante intenti così nobili nei confronti
del mondo intero, come quelli dichiarati nel sito, chiede di
considerare il tempo della vestizione al di fuori dell'orario di
lavoro, dunque in uno spazio di vita privata dei lavoratori. E questa
volta non regge neppure la solita scusa della crisi, visto che la
proposta aziendale è quella di introdurre lavoro straordinario
il sabato. I lavoratori dell'ALCA – CUB non ci stanno e hanno
già proclamato, la scorsa settimana, un'ora di sciopero e sono
pronti al blocco dello straordinario. Vedremo se l'azienda si
ricorderà, al momento di valutare le richieste dei lavoratori,
che l'obiettivo che la anima è "il miglioramento della vita di
milioni di persone".
È accaduto a Saidur Rahman, lavoratore di una società
di pulizie appalti ferroviari che, assieme a una sessantina di
colleghi, è stato lasciato a casa. La vicenda inizia
lunedì 19 ottobre, giorno in cui la Tim Service nell'appalto di
pulizie per Trenitalia, presso lo scalo stazione centrale di Milano,
subentra alla PMA (Pietro Mazzone Ambiente). "Va detto che nel cambio
tra una società e l'altra – si afferma in un comunicato della
CUB - non sono stati rispettati i criteri di anzianità, di
carichi familiari e nemmeno l'art. 2 del contratto Attività
Ferroviarie, che stabilisce l'assunzione automatica di tutti i
lavoratori nel caso di passaggi di appalti." Saidur Rahman, con moglie
e 3 figli, malgrado le assicurazioni dei colleghi, con una salute
già parzialmente compromessa, si è gradualmente aggravato
per l'angoscia della perdita del posto di lavoro e, ricoverato una
decina di giorni dopo, è tragicamente deceduto. Un'altra morte
per "colpa del lavoro".
Torniamo a parlare dei lavoratori del calzaturificio Adelchi di Tricase, Lecce (vedi n.35 del 11/10/09). Cinque di essi a fine settembre erano saliti sul tetto del municipio della cittadina, per protestare contro l'azienda che, dopo 6 mesi di cassa integrazione, non aveva rispettato l'impegno sottoscritto di riaprire l'attività. Il 7 ottobre viene firmato un nuovo accordo tra CGIL, CISL e UIL e l'imprenditore, sulla base del quale però solo 10 lavoratori rientrano al lavoro, altri 30 potrebbero rientrare nel mese di novembre mentre, per tutti gli altri, non si intravedono soluzioni se non in un possibile subentro a rotazione per i più fortunati. Una vera beffa che dopo tante speranze provoca l'ira dei lavoratori. Per arrivare alla ratifica dell'accordo i sindacati concertativi le hanno provate tutte, dalle lusinghe alle minacce, ma questa volta l'accordo non viene ratificato dagli operai che, per protestare contro questa buffonata, promuovono il 5 novembre una assemblea pubblica autoconvocata nella piazza principale di Trifase per "alzare la testa e ottenere giustizia".