Umanità Nova, n.42 del 29 novembre 2009, anno 89

Bel lAvoro


A cura della Commissione Lavoro della Federazione Anarchica Milanese
bel-lavoro@federazioneanarchica.org

Gli operai della FIAT di Termini Imerese occupano il Comune

Le voci che filtrano da Torino sono sempre più inquietanti e – a dispetto di quanto dichiarato in primavera da Marchionne – si parla ora di un trasferimento della produzione delle Y10 Lancia in Polonia con la conseguente chiusura dello stabilimento siciliano.
Il 18 novembre 300 operai dello stabilimento FIAT di Termini Imerese hanno quindi occupato il municipio della cittadina. Al termine di un'assemblea, davanti ai cancelli dello stabilimento, le tute blu si sono dirette a passo spedito verso il centro abitato dove sono entrati in massa nell'edificio del Comune.
Qui, hanno "eletto" simbolicamente un proprio sindaco, che ha indossato la striscia tricolore. "Se le istituzioni non prendono in considerazione i nostri problemi – hanno dichiarato gli occupanti - cercheremo di fare da soli" e hanno chiesto al Comune di fissare un incontro con il Ministro dello sviluppo economico, Claudio Scajola, prima che la Fiat presenti ufficialmente il piano industriale, altrimenti – hanno detto - "resteremo qui ad oltranza". "Questa non vuole essere un'occupazione simbolica, ma un blocco reale dell'attività amministrativa. Si deve comprendere che la fine dello stabilimento significa la morte dell'economia di Termini".

Operai di Marghera sulla torre

Giovedì 19 novembre 3 operai della Vinyls di Porto Marghera sono saliti sulla "torre-tocia", a 200 metri di altezza, mentre gli operai della Vinyls di Porto Torres hanno occupato una sezione dell'impianto. Queste forti proteste sono state messe in atto dopo che l'azienda non ha mantenuto l'accordo per il ravvio degli impianti e ha annunciato la cassa integrazione per buona parte dei dipendenti: 176 su 230 a Porto Marghera, 35 su 51 a Ravenna, 101 su 132 a Porto Torres.

Ascoli: i lavoratori della Manuli respingono l'accordo

Una brutta sorpresa per CGIL, CISL e UIL è arrivata dall'assemblea che si è tenuta l'11 novembre scorso alla Manuli Rubbers di Ascoli Piceno. I dipendenti hanno infatti bocciato a grande maggioranza il piano aziendale presentato dai vertici della multinazionale della gomma. Sottoscritto dai sindacati confederali prevede il reintegro per soli 140 operai, mentre gli altri 237 dovrebbero invece affidarsi agli ammortizzatori sociali. I lavoratori erano molto arrabbiati con i rappresentanti dei sindacati confederali. Il dirigente sindacale della CISL, al termine dell'assemblea indetta per vagliare l'ipotesi di accordo sul futuro della Manuli, è stato contestato duramente. La maggioranza degli operai presenti, alcune centinaia, ha votato per il no all'intesa. I dirigenti di CGIL, CISL e UIL hanno dovuto lasciare la sala scortati dagli agenti della Digos, accompagnati da urla e cori di "buffoni" e "venduti".

Licenziate in tronco 3 lavoratrici a Nerviano

Della vicenda della "Nerviano Medical Sciences" (NMS), hinterland milanese, ce ne siamo occupati già nel n.17 del 3/5/09. Si tratta di un importante centro di ricerca europeo di farmaci antitumorali che, dalla multinazionale "Pfizer", era stato ceduto nel 2004 alla "Congregazione dei figli della immacolata concezione", ente di diritto vaticano, assieme ad una dote di 250 milioni di euro. Di fronte alla minaccia di chiusura dell'azienda i 650 lavoratori si erano mobilitati, anche nei confronti della regione e del governo, per i finanziamenti promessi. La situazione sembrava per il momento tranquilla, ma poco tempo fa l'azienda, in modo immotivato ed unilaterale, ha licenziato tre lavoratrici degli enti centrali con la "motivazione che l'attività dei loro uffici è stata affidata a società esterne". Questo modo di calpestare i diritti dei lavoratori è confermato dalla recente decisione dell'assorbimento degli aumenti previsti dal contratto. Per tutto ciò, e di fronte anche "alla mancanza di una chiara prospettiva di rilancio delle attività del centro", è stato effettuato un primo momento di lotta nella giornata del 27 ottobre con uno sciopero e assemblea nel piazzale dell'azienda.

Alla Roche i lavoratori rivendicano: la "vestizione" nell'orario di lavoro

"L'innovazione per la salute: Sviluppiamo servizi terapeutici e diagnostici innovativi volti a soddisfare importanti esigenze mediche tuttora insoddisfatte. Questo il nostro contributo al miglioramento della vita di milioni di pazienti nel mondo". Sul sito della Roche di Segrate (Milano) si leggono queste belle parole. Per lavorare alla Roche ci vogliono abiti professionali obbligatori e il tempo per indossarli è regolato da indicazioni molto precise, organizzative e di controllo. Non è una cosa che si può fare con leggerezza e velocemente, richiede insomma tempo e attenzione. Eppure la Roche, nonostante intenti così nobili nei confronti del mondo intero, come quelli dichiarati nel sito, chiede di considerare il tempo della vestizione al di fuori dell'orario di lavoro, dunque in uno spazio di vita privata dei lavoratori. E questa volta non regge neppure la solita scusa della crisi, visto che la proposta aziendale è quella di introdurre lavoro straordinario il sabato. I lavoratori dell'ALCA – CUB non ci stanno e hanno già proclamato, la scorsa settimana, un'ora di sciopero e sono pronti al blocco dello straordinario. Vedremo se l'azienda si ricorderà, al momento di valutare le richieste dei lavoratori, che l'obiettivo che la anima è "il miglioramento della vita di milioni di persone".

Muore di crepacuore per la perdita del lavoro

È accaduto a Saidur Rahman, lavoratore di una società di pulizie appalti ferroviari che, assieme a una sessantina di colleghi, è stato lasciato a casa. La vicenda inizia lunedì 19 ottobre, giorno in cui la Tim Service nell'appalto di pulizie per Trenitalia, presso lo scalo stazione centrale di Milano, subentra alla PMA (Pietro Mazzone Ambiente). "Va detto che nel cambio tra una società e l'altra – si afferma in un comunicato della CUB - non sono stati rispettati i criteri di anzianità, di carichi familiari e nemmeno l'art. 2 del contratto Attività Ferroviarie, che stabilisce l'assunzione automatica di tutti i lavoratori nel caso di passaggi di appalti." Saidur Rahman, con moglie e 3 figli, malgrado le assicurazioni dei colleghi, con una salute già parzialmente compromessa, si è gradualmente aggravato per l'angoscia della perdita del posto di lavoro e, ricoverato una decina di giorni dopo, è tragicamente deceduto. Un'altra morte per "colpa del lavoro".

Autoconvocata dai lavoratori della Adelchi

Torniamo a parlare dei lavoratori del calzaturificio Adelchi di Tricase, Lecce (vedi n.35 del 11/10/09). Cinque di essi a fine settembre erano saliti sul tetto del municipio della cittadina, per protestare contro l'azienda che, dopo 6 mesi di cassa integrazione, non aveva rispettato l'impegno sottoscritto di riaprire l'attività. Il 7 ottobre viene firmato un nuovo accordo tra CGIL, CISL e UIL e l'imprenditore, sulla base del quale però solo 10 lavoratori rientrano al lavoro, altri 30 potrebbero rientrare nel mese di novembre mentre, per tutti gli altri, non si intravedono soluzioni se non in un possibile subentro a rotazione per i più fortunati. Una vera beffa che dopo tante speranze provoca l'ira dei lavoratori. Per arrivare alla ratifica dell'accordo i sindacati concertativi le hanno provate tutte, dalle lusinghe alle minacce, ma questa volta l'accordo non viene ratificato dagli operai che, per protestare contro questa buffonata, promuovono il 5 novembre una assemblea pubblica autoconvocata nella piazza principale di Trifase per "alzare la testa e ottenere giustizia".

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